Lettera ai Galati 2:1-21

2  Quindi, dopo 14 anni, tornai a Gerusalemme con Bàrnaba,+ portando con me anche Tito.+  Vi andai in seguito a una rivelazione, ed esposi loro la buona notizia che predico fra le nazioni. Comunque lo feci in privato, davanti a quelli che godevano di grande stima, per assicurarmi che non stessi correndo o avessi corso inutilmente.  Eppure nemmeno Tito,+ che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere.+  Ma la questione nacque a causa dei falsi fratelli,+ intrusi che si erano infiltrati per spiare la libertà+ che abbiamo in Cristo Gesù e ridurci in completa schiavitù.+  A questi non cedemmo né ci sottomettemmo+ neppure per un istante,* affinché la verità della buona notizia rimanesse salda fra voi.  Ma quanto a coloro che erano considerati importanti+ — quello che erano non conta per me, dato che Dio non bada all’esteriorità dell’uomo — ebbene, quegli uomini stimati non mi imposero nulla di più.  Anzi, vedendo che mi era stata affidata la buona notizia per gli incirconcisi,+ come a Pietro era stata affidata per i circoncisi  (infatti colui che ha dato a Pietro la facoltà di agire come apostolo dei circoncisi ha dato anche a me la facoltà di agire come apostolo per quelli delle nazioni),+  e riconoscendo l’immeritata bontà che mi era stata mostrata,+ Giacomo,+ Cefa e Giovanni, che venivano considerati colonne, diedero la mano a me e a Bàrnaba+ indicando che erano d’accordo che noi andassimo dalle nazioni e loro dai circoncisi. 10  Ci chiesero solo di ricordarci dei poveri, cosa che mi sono sinceramente sforzato di fare.+ 11  Comunque, quando Cefa+ venne ad Antiòchia+ lo affrontai di persona, perché era chiaramente nel torto. 12  Prima che arrivassero alcuni da parte di Giacomo,+ infatti, mangiava con persone delle nazioni;+ ma quando questi arrivarono smise di farlo e si separò per timore dei circoncisi.+ 13  Anche gli altri giudei si unirono a lui in quella finzione; perfino Bàrnaba si fece trascinare nella loro finzione. 14  Ma quando vidi che non si comportavano* secondo la verità della buona notizia,+ dissi a Cefa davanti a tutti: “Se tu che sei un giudeo vivi come le nazioni e non come i giudei, come puoi costringere quelli delle nazioni a vivere secondo le consuetudini giudaiche?”+ 15  Noi che per nascita siamo giudei, e non peccatori delle nazioni, 16  riconosciamo che l’uomo è dichiarato giusto non grazie alle opere della legge, ma solo per mezzo della fede+ in Gesù Cristo.+ Quindi abbiamo riposto fede in Cristo Gesù, così da essere dichiarati giusti grazie alla fede in Cristo e non grazie alle opere della legge; nessuno, infatti, sarà dichiarato giusto grazie alle opere della legge.+ 17  Ora, se anche noi che cerchiamo di essere dichiarati giusti per mezzo di Cristo siamo considerati peccatori, significa forse che Cristo sia ministro del peccato? No di certo! 18  Se io ricostruisco quello che ho demolito, dimostro di essere un trasgressore.+ 19  In realtà mediante la legge io sono morto rispetto alla legge,+ affinché possa vivere per Dio. 20  Sono messo al palo con Cristo.+ Non sono più io a vivere,+ ma è Cristo che vive unito a me. La vita che ora vivo nella carne la vivo secondo la fede nel Figlio di Dio,+ che mi ha amato e ha dato sé stesso per me.+ 21  Io non rifiuto l’immeritata bontà di Dio,+ perché se la giustizia si ottiene per mezzo della legge, allora Cristo è morto inutilmente.+

Note in calce

Lett. “un’ora”.
O “non camminavano”.

Approfondimenti

Tre anni dopo Forse Paolo intende dire che dopo la sua conversione passarono parte di tre anni; potrebbe quindi essere arrivato a Gerusalemme nel 36. Quella sarà stata la sua prima volta a Gerusalemme da cristiano.

dopo 14 anni Alcuni studiosi sostengono che Paolo intendesse dire “nel 14º anno”, cioè un periodo composto da un anno incompleto seguito da 12 anni interi e da un altro anno incompleto. (Confronta 1 Re 12:5, 12; vedi approfondimento a Gal 1:18.) Probabilmente questo periodo va dal 36, quando Paolo andò per la prima volta a Gerusalemme da cristiano, al 49, quando vi tornò con Tito e Barnaba per sottoporre la questione della circoncisione agli apostoli e agli anziani che erano lì (At 15:2).

in seguito a una rivelazione Qui Paolo aggiunge un particolare che non si trova nella narrazione che Luca fa nel libro degli Atti (At 15:1, 2). A quanto pare Cristo, in qualità di capo della congregazione cristiana, si servì di una rivelazione per dire a Paolo di presentare l’importante questione della circoncisione agli apostoli e agli anziani di Gerusalemme (Ef 5:23). Quello storico incontro ebbe luogo intorno al 49. Qui, menzionando questa rivelazione, Paolo ribatte l’accusa dei giudaizzanti, che insistevano nel dire che non era un vero apostolo. Infatti era stato Gesù stesso a dare a Paolo il suo incarico e anche a fornirgli indicazioni precise attraverso delle rivelazioni, dimostrando così che era un vero apostolo (Gal 1:1, 15, 16).

predico Il termine greco significa fondamentalmente “proclamare come araldo”. Sottolinea il modo in cui avviene la proclamazione, dando l’idea di una dichiarazione pubblica, estesa, e non di un discorso rivolto solo a un gruppo di persone. (Vedi approfondimento a Mt 3:1.)

predicare Il termine greco significa fondamentalmente “proclamare come araldo”. Sottolinea il modo in cui avviene la proclamazione, dando l’idea di una dichiarazione pubblica, estesa, e non di un discorso rivolto solo a un gruppo di persone.

lo circoncise Paolo sapeva bene che la circoncisione non era un requisito per i cristiani (At 15:6-29). Timoteo, il cui padre non era credente, non era stato circonciso; Paolo si rendeva conto che questo avrebbe potuto turbare alcuni degli ebrei a cui avrebbero fatto visita durante il loro giro di predicazione. Invece di lasciare che questo ostacolasse la loro opera, Paolo chiese a Timoteo di sottoporsi a quel doloroso intervento chirurgico. In questo modo, entrambi dimostrarono con le azioni il senso delle parole che in seguito Paolo stesso scrisse ai corinti: “Per i giudei sono diventato come un giudeo, per guadagnare i giudei” (1Co 9:20).

greco Nel I secolo il termine Hèllen, che significa “greco”, non designava necessariamente persone native della Grecia o di origini greche. Quando qui Paolo, parlando di chiunque abbia fede, menziona il “greco” insieme al “giudeo”, evidentemente usa il termine “greco” in senso lato per riferirsi a tutti i non ebrei (Ro 2:9, 10; 3:9; 10:12; 1Co 10:32; 12:13). Questo senza dubbio si spiega con l’importanza e la preminenza della lingua e della cultura greca in tutto l’impero romano.

nemmeno Tito [...] fu obbligato a farsi circoncidere Quando ad Antiochia sorse la questione della circoncisione (ca. 49), Tito accompagnò Paolo e Barnaba a Gerusalemme (At 15:1, 2; Gal 2:1). Tito era “greco”, cioè un non ebreo incirconciso. (Vedi l’approfondimento greco in questo versetto.) Il verbo “obbligare” sembra riferirsi a “quelli che godevano di grande stima” di cui si parla nel v. 2, i quali evidentemente non fecero alcuna pressione perché Tito si circoncidesse. Questo lascerebbe pensare che invece alcuni giudaizzanti (cristiani che promuovevano l’osservanza delle dottrine e delle tradizioni giudaiche) avessero insistito affinché lo facesse. All’adunanza che si tenne a Gerusalemme, però, gli apostoli e gli anziani stabilirono che i cristiani non ebrei non erano tenuti a circoncidersi (At 15:23-29). Paolo qui fa riferimento al caso di Tito per avvalorare la sua argomentazione: chi si converte al cristianesimo non è obbligato a osservare la Legge mosaica. Tito svolse il suo ministero principalmente fra persone incirconcise delle nazioni, quindi il fatto che fosse incirconciso non creò problemi (2Co 8:6; 2Tm 4:10; Tit 1:4, 5). Il suo caso era diverso da quello di Timoteo, che invece fu circonciso da Paolo. (Vedi approfondimento ad At 16:3.)

greco Di Tito viene detto che era “greco” (Hèllen), termine che potrebbe semplicemente significare che era di discendenza greca. Alcuni scrittori del I secolo, comunque, usavano il plurale dello stesso termine (Hèllenes) per indicare persone non greche che avevano adottato la lingua e la cultura greca. Può darsi che Tito fosse greco in questa accezione più ampia. (Vedi approfondimento a Ro 1:16.)

falsi fratelli Il termine greco per “falso fratello” (pseudàdelfos) si trova solo qui e in 2Co 11:26. Stando a un lessico, indica “un cristiano solo di nome”. I giudaizzanti delle congregazioni della Galazia si spacciavano per uomini spirituali, ma in realtà cercavano di imporre di nuovo una rigida osservanza della Legge mosaica. (Vedi approfondimento a Gal 1:6.) Paolo dice che questi uomini erano intrusi che si erano infiltrati per spiare la libertà cristiana, nel senso che usavano tattiche subdole per diffondere i loro pericolosi insegnamenti. (Confronta 2Co 11:13-15.)

Mi meraviglio che così in fretta vi allontaniate Paolo qui specifica un motivo importante che lo aveva spinto a scrivere questa lettera. Anche se non era passato molto tempo da che era stato in Galazia, nelle congregazioni locali alcuni si stavano già allontanando dalle verità cristiane. Coloro da cui si stavano facendo “incantare” (Gal 3:1) includevano quelli definiti da Paolo “falsi fratelli, intrusi che si erano infiltrati” nelle congregazioni. (Vedi approfondimenti a Gal 2:4; 3:1.) Alcuni di quei falsi fratelli erano giudaizzanti, i quali ritenevano che i cristiani dovessero osservare la Legge mosaica. (Vedi approfondimento a Gal 1:13.) I giudaizzanti insistevano su questo fatto anche se gli apostoli e gli anziani di Gerusalemme avevano già indicato che i non ebrei non erano tenuti a ubbidire alla Legge mosaica (At 15:1, 2, 23-29; Gal 5:2-4). Paolo spiegò che i giudaizzanti erano spinti dalla paura di essere perseguitati e dal desiderio di compiacere gli oppositori ebrei (Gal 6:12, 13). Forse quei falsi fratelli sostenevano anche che Paolo non era un vero apostolo, e cercavano di allontanare da lui le congregazioni (Gal 1:11, 12; 4:17). È possibile che alcuni galati avessero la tendenza a essere immorali, litigiosi e presuntuosi. Queste tendenze carnali che Paolo menzionò nell’ultima parte della sua lettera li avrebbero fatti allontanare da Dio (Gal 5:13–6:10).

la verità della buona notizia Questa espressione, che compare anche nel v. 14, si riferisce all’intero complesso degli insegnamenti cristiani contenuti nella Parola di Dio.

Dio I manoscritti greci qui leggono “Dio”, ma qualche traduzione delle Scritture Greche Cristiane in ebraico e in altre lingue ha il nome divino.

diedero la mano a me e a Barnaba indicando che erano d’accordo Qui nell’originale compare un’espressione che si potrebbe tradurre “la destra di partecipazione (comunione)”. Nei tempi biblici una stretta di mano indicava partecipazione o accordo (2Re 10:15). Intorno al 49, l’apostolo Paolo andò a Gerusalemme per partecipare all’adunanza in cui il corpo direttivo del I secolo esaminò la questione della circoncisione (At 15:6-29). Mentre era lì a quanto pare incontrò Giacomo, Pietro e Giovanni per parlare dell’incarico, ricevuto dal Signore Gesù Cristo, di predicare la buona notizia (At 9:15; 13:2; 1Tm 1:12). In questo versetto Paolo sottolinea l’unità e la collaborazione evidenti in quell’incontro e anche in seguito. I fratelli compresero chiaramente che tutti loro erano impegnati nella stessa opera. Furono tutti d’accordo che Paolo e Barnaba predicassero alle nazioni, ovvero ai non ebrei, mentre Giacomo, Pietro e Giovanni ai circoncisi, ovvero agli ebrei.

gli incirconcisi Lett. “[quelli] dell’incirconcisione”, cioè i non ebrei.

come a Pietro In questo versetto Paolo indica che quelli che avevano incarichi di responsabilità nella congregazione collaboravano tra di loro. (Vedi approfondimento a Gal 2:9.) Il corpo direttivo a Gerusalemme accettò che a Paolo fosse stato affidato l’incarico di predicare ai non ebrei, mentre a Pietro quello di rivolgersi principalmente agli ebrei. Sia l’incarico di Paolo che quello di Pietro, però, non si limitarono solo a uno di questi due gruppi. Fu Pietro infatti che per primo predicò ai non ebrei (At 10:44-48; 11:18). Dal canto suo, Paolo diede testimonianza a moltissimi ebrei, dal momento che Cristo gli aveva detto di predicare “alle nazioni e anche [...] ai figli d’Israele” (At 9:15). Entrambi svolsero con ubbidienza l’incarico che avevano ricevuto. Per esempio Pietro successivamente andò verso E per servire a Babilonia, che ospitava una nutrita comunità ebraica ed era un rinomato centro della cultura giudaica (1Pt 5:13). Paolo invece nei suoi viaggi missionari si spinse verso O, forse fino a raggiungere la Spagna.

i circoncisi Lett. “[quelli] della circoncisione”, cioè gli ebrei.

ha dato [...] la facoltà di agire come apostolo Il verbo greco energèo qui è stato reso “ha dato la facoltà di agire”. In altre occorrenze è stato tradotto con il verbo “agire” (Ef 2:2; 3:20; Flp 2:13; Col 1:29). In questo contesto sembra trasmettere l’idea che Dio diede a Pietro e a Paolo non solo l’autorità di agire come apostoli, ma anche le capacità per assolvere le loro responsabilità.

immeritata bontà Vedi Glossario.

Cefa Uno dei nomi dell’apostolo Pietro. (Vedi approfondimento a 1Co 1:12.)

colonne Proprio come una colonna letterale funge da sostegno per una struttura, gli uomini qui metaforicamente descritti come colonne sostenevano e rafforzavano la congregazione. Il termine greco originale è usato anche in riferimento alla congregazione cristiana, definita “colonna e sostegno della verità” (1Tm 3:15), e in riferimento alle gambe di un angelo, descritte come “colonne di fuoco” (Ri 10:1-3). Giacomo, Cefa e Giovanni erano considerati colonne perché con la loro stabilità, la loro forte spiritualità e la loro affidabilità davano sostegno alla congregazione.

diedero la mano a me e a Barnaba indicando che erano d’accordo Qui nell’originale compare un’espressione che si potrebbe tradurre “la destra di partecipazione (comunione)”. Nei tempi biblici una stretta di mano indicava partecipazione o accordo (2Re 10:15). Intorno al 49, l’apostolo Paolo andò a Gerusalemme per partecipare all’adunanza in cui il corpo direttivo del I secolo esaminò la questione della circoncisione (At 15:6-29). Mentre era lì a quanto pare incontrò Giacomo, Pietro e Giovanni per parlare dell’incarico, ricevuto dal Signore Gesù Cristo, di predicare la buona notizia (At 9:15; 13:2; 1Tm 1:12). In questo versetto Paolo sottolinea l’unità e la collaborazione evidenti in quell’incontro e anche in seguito. I fratelli compresero chiaramente che tutti loro erano impegnati nella stessa opera. Furono tutti d’accordo che Paolo e Barnaba predicassero alle nazioni, ovvero ai non ebrei, mentre Giacomo, Pietro e Giovanni ai circoncisi, ovvero agli ebrei.

Cefa Uno dei nomi dell’apostolo Simon Pietro. Quando lo incontrò la prima volta, Gesù gli diede il nome semitico Cefa (in greco Kefàs). Questo nome potrebbe essere affine all’ebraico kefìm (“rocce”) usato in Gb 30:6 e Ger 4:29. In Gv 1:42 Giovanni spiega che Cefa “si traduce ‘Pietro’” (Pètros, nome greco dal significato simile [“frammento di roccia”]). Il nome Cefa compare solo in Gv 1:42 e in due lettere di Paolo, 1 Corinti e Galati (1Co 1:12; 3:22; 9:5; 15:5; Gal 1:18; 2:9, 11, 14; vedi approfondimenti a Mt 10:2; Gv 1:42).

hanno fatto abbondare la ricchezza della loro generosità Paolo cerca di motivare i cristiani di Corinto a portare a termine il ministero in soccorso dei fratelli bisognosi della Giudea. A questo scopo parla loro delle “congregazioni della Macedonia”, per esempio quelle di Filippi e Tessalonica, come di uno straordinario esempio di generosità (2Co 8:1-4; 9:1-7; Ro 15:26; Flp 4:14-16). Il fatto che donassero con gioia era particolarmente degno di nota perché loro stessi si trovavano in “estrema povertà” e stavano subendo le sofferenze di una dura prova. Forse quei cristiani macedoni venivano accusati di seguire usanze che i romani consideravano illecite, come era successo a Paolo mentre era a Filippi (At 16:20, 21). O forse, come ipotizzano alcuni, la prova aveva a che fare con la loro povertà. Queste prove, o difficoltà, spiegherebbero perché i macedoni provassero empatia per i fratelli della Giudea, che stavano soffrendo a causa di avversità simili (At 17:5-9; 1Ts 2:14), e volessero aiutarli; per questo diedero con gioia “oltre i loro mezzi” (2Co 8:3).

la colletta Il termine greco logìa, reso “colletta”, compare solo due volte nella Bibbia, in 1Co 16:1, 2. Il contesto e le parole usate da Paolo indicano che probabilmente si trattava di una colletta di denaro, e non di viveri o vestiario. E dato che Paolo dice “la colletta”, si capisce che si sta riferendo a una particolare colletta di cui i corinti erano già a conoscenza. Sembra che fosse fatta in particolare per i cristiani della Giudea, che all’epoca si trovavano in difficoltà (1Co 16:3; Gal 2:10).

manderò gli uomini [...] a portare il vostro generoso dono a Gerusalemme Intorno al 55 i cristiani della Giudea versavano in povertà; per aiutarli, Paolo si occupò di una colletta tra le congregazioni della Galazia, della Macedonia e dell’Acaia (1Co 16:1, 2; 2Co 8:1, 4; 9:1, 2). Poi nel 56, accompagnato da vari uomini, sarebbe partito per il lungo viaggio verso Gerusalemme, dove avrebbe consegnato i fondi raccolti. Le congregazioni che donarono il denaro furono parecchie, e forse ognuna provvide uomini che accompagnassero Paolo (At 20:3, 4; Ro 15:25, 26). Probabilmente era necessario un gruppo numeroso per motivi di sicurezza, perché i briganti costituivano un serio pericolo quando si viaggiava (2Co 11:26). Dato che a viaggiare con Paolo sarebbero stati solo uomini in precedenza approvati, non ci sarebbe stato motivo di sospettare che impiegassero male quei fondi. Chi aveva contribuito poteva essere sicuro che il denaro sarebbe stato usato bene (2Co 8:20).

Ci chiesero [...] di ricordarci dei poveri Intorno al 49, Pietro, Giacomo e Giovanni avevano dato a Paolo e al suo compagno d’opera Barnaba un incarico: mentre predicavano alle nazioni (Gal 2:9) dovevano ricordare le necessità materiali dei cristiani poveri. Qui Paolo dice che questa era una cosa che si era sinceramente sforzato di fare. Quando in seguito i cristiani della Giudea si trovarono nel bisogno, Paolo esortò le congregazioni di altre zone a mettere a loro disposizione quello che avevano. Dalle sue lettere risulta evidente l’attenzione che dedicò a questo aspetto. Per esempio, in entrambe le lettere ispirate che scrisse ai cristiani di Corinto (ca. 55) parlò della colletta che era stata organizzata per quei fratelli; al riguardo disse di aver già dato istruzioni “alle congregazioni della Galazia” (1Co 16:1-3; 2Co 8:1-8; 9:1-5; vedi approfondimenti a 1Co 16:1, 3; 2Co 8:2). Quando intorno al 56 Paolo scrisse ai cristiani di Roma, la colletta era stata quasi completata (Ro 15:25, 26). Paolo portò a termine il suo incarico di lì a poco, infatti al governatore romano Felice in seguito disse: “Sono tornato per portare doni di misericordia alla mia nazione” (At 24:17). Questo amorevole interesse per i bisogni dei propri compagni di fede era una delle caratteristiche del cristianesimo del I secolo (Gv 13:35).

Cefa Uno dei nomi dell’apostolo Simon Pietro. Quando lo incontrò la prima volta, Gesù gli diede il nome semitico Cefa (in greco Kefàs). Questo nome potrebbe essere affine all’ebraico kefìm (“rocce”) usato in Gb 30:6 e Ger 4:29. In Gv 1:42 Giovanni spiega che Cefa “si traduce ‘Pietro’” (Pètros, nome greco dal significato simile [“frammento di roccia”]). Il nome Cefa compare solo in Gv 1:42 e in due lettere di Paolo, 1 Corinti e Galati (1Co 1:12; 3:22; 9:5; 15:5; Gal 1:18; 2:9, 11, 14; vedi approfondimenti a Mt 10:2; Gv 1:42).

Cefa Uno dei nomi dell’apostolo Pietro. (Vedi approfondimento a 1Co 1:12.)

lo affrontai O “mi opposi a lui”. Dopo aver notato che l’apostolo Pietro, temendo quello che avrebbero pensato gli altri, si rifiutava di stare con i fratelli non ebrei, Paolo decise di affrontarlo di persona e lo rimproverò davanti a tutti. Il verbo greco tradotto “affrontare” letteralmente significa “stare contro” (Gal 2:11-14).

a un giudeo non è lecito Ai giorni di Pietro, i capi religiosi ebrei insegnavano che chi entrava nella casa di un non ebreo diventava cerimonialmente impuro (Gv 18:28). Ma la Legge data tramite Mosè non vietava in modo specifico questo tipo di contatti. Inoltre, il muro che separava gli ebrei dai non ebrei era stato abbattuto quando Gesù aveva dato la sua vita come riscatto e il nuovo patto era entrato in vigore. Gesù in questo modo “dei due gruppi ne [aveva] fatto uno solo” (Ef 2:11-16). Eppure, anche dopo la Pentecoste del 33 i primi discepoli facevano fatica ad afferrare la portata di quello che Gesù aveva realizzato. Gli ebrei cristiani ebbero bisogno di molti anni per liberarsi dei modi di fare che erano promossi dai loro capi religiosi di un tempo e che erano radicati nella loro cultura.

chiavi del Regno dei cieli Nella Bibbia quelli che ricevevano delle chiavi, in senso letterale o metaforico, venivano investiti di un certo grado di autorità (1Cr 9:26, 27; Isa 22:20-22). Il termine “chiave” è diventato quindi simbolo di autorità o di un incarico di responsabilità. Pietro usò le “chiavi” che gli furono affidate per estendere a ebrei (At 2:22-41), samaritani (At 8:14-17) e non ebrei, o gentili (At 10:34-38), la possibilità di ricevere lo spirito di Dio con la prospettiva di entrare nel Regno celeste.

Giacomo Probabilmente un fratellastro di Gesù e lo stesso Giacomo menzionato in At 12:17. (Vedi approfondimenti a Mt 13:55; At 12:17.) Sembra che fosse Giacomo a presiedere l’adunanza in cui la questione della circoncisione fu presentata “agli apostoli e agli anziani” di Gerusalemme (At 15:1, 2). Parlando evidentemente di quell’occasione, Paolo disse che Giacomo, Cefa (Pietro) e Giovanni “venivano considerati colonne” della congregazione di Gerusalemme (Gal 2:1-9).

mangiava con persone delle nazioni I pasti erano occasioni per stare in compagnia durante le quali di solito si pregava. È quindi comprensibile che gli ebrei in genere non mangiassero con i non ebrei. Agli israeliti infatti era stato comandato di non mischiarsi mai con le persone delle nazioni che erano rimaste nella Terra Promessa; non dovevano nemmeno menzionare i loro dèi (Gsè 23:6, 7). Arrivati al I secolo, a queste indicazioni si erano aggiunte le restrizioni imposte dai capi religiosi ebrei, i quali sostenevano che entrare in casa di non ebrei rendesse cerimonialmente impuri (Gv 18:28).

smise di farlo e si separò Nel 36 Pietro, che era un cristiano ebreo, aveva usato la terza delle “chiavi del Regno” per dare a Cornelio e a quelli della sua casa la possibilità di essere i primi non ebrei o proseliti ebrei a diventare cristiani. (Vedi approfondimento a Mt 16:19.) Pietro era rimasto a casa di Cornelio per alcuni giorni, durante i quali di sicuro aveva mangiato diverse volte con i non ebrei che lo ospitavano (At 10:48; 11:1-17). E, come era giusto che fosse, nel tempo continuò a mangiare con cristiani non ebrei. Comunque, circa 13 anni dopo, mentre era ad Antiochia di Siria all’improvviso “smise di farlo”. Temeva la reazione di alcuni cristiani ebrei che erano arrivati da parte di Giacomo, uomini che a quanto pare erano stati con Giacomo a Gerusalemme. (Vedi approfondimento ad At 15:13.) Questi facevano fatica ad accettare i cambiamenti e insistevano sulla rigida osservanza della Legge mosaica e di alcune tradizioni ebraiche. (Vedi approfondimento ad At 10:28.) Il comportamento di Pietro lì ad Antiochia avrebbe potuto minare la decisione presa dal corpo direttivo in quello stesso anno, intorno al 49. Quella decisione aveva sancito che non era necessario che i cristiani non ebrei ubbidissero alla Legge mosaica (At 15:23-29). Qui Paolo ricorda l’episodio che si era verificato ad Antiochia non per mettere in imbarazzo Pietro, ma per correggere l’errato punto di vista diffuso tra i galati.

dei circoncisi Lett. “quelli della circoncisione”, cioè alcuni cristiani ebrei circoncisi che venivano dalla congregazione di Gerusalemme. In altre occorrenze la stessa espressione greca è stata tradotta, oltre che semplicemente “circoncisi”, con “sostenitori della circoncisione” e “quelli che si attengono alla circoncisione” (Col 4:11; At 11:2; Tit 1:10).

ipocriti In origine il termine hypokritès si riferiva agli attori del teatro greco (e in seguito romano) che indossavano grandi maschere realizzate in modo tale che la voce venisse amplificata. Questo termine finì per essere usato in senso metaforico in riferimento a chi, simulando, nascondeva le sue vere intenzioni e la sua personalità. Qui Gesù definisce “ipocriti” i capi religiosi ebrei (Mt 6:5, 16).

Ipocrita! In origine il termine hypokritès si riferiva agli attori del teatro greco (e in seguito romano) che indossavano grandi maschere; queste erano realizzate in modo tale che l’identità degli attori venisse nascosta e la loro voce venisse amplificata. Questo termine finì per essere usato in senso metaforico in riferimento a chi, simulando, nascondeva le sue vere intenzioni e la sua personalità. In Mt 6:5, 16 Gesù definisce “ipocriti” i capi religiosi ebrei. Qui in Lu 6:42 usa il termine per indicare un qualunque discepolo che si concentra sulle mancanze di qualcun altro ma ignora le proprie.

si unirono a lui in quella finzione [...] nella loro finzione Qui in greco sono presenti due termini affini: il verbo synypokrìnomai e il sostantivo hypòkrisis. Entrambi venivano usati in origine in riferimento agli attori del teatro greco che indossavano maschere per rappresentare le loro parti. Il verbo synypokrìnomai, reso “unirsi in quella finzione”, secondo alcuni lessici qui è usato con il significato metaforico di “unirsi nel recitare una parte o nel fingere” oppure di “aggregarsi nell’ipocrisia”. Quanto al sostantivo hypòkrisis, che corrisponde alla seconda occorrenza di “finzione”, si trova altre cinque volte nelle Scritture Greche Cristiane ed è reso “ipocrisia” (Mt 23:28; Mr 12:15; Lu 12:1; 1Tm 4:2; 1Pt 2:1; per informazioni sul termine affine “ipocrita”, vedi approfondimenti a Mt 6:2; Lu 6:42).

Cefa Uno dei nomi dell’apostolo Simon Pietro. Quando lo incontrò la prima volta, Gesù gli diede il nome semitico Cefa (in greco Kefàs). Questo nome potrebbe essere affine all’ebraico kefìm (“rocce”) usato in Gb 30:6 e Ger 4:29. In Gv 1:42 Giovanni spiega che Cefa “si traduce ‘Pietro’” (Pètros, nome greco dal significato simile [“frammento di roccia”]). Il nome Cefa compare solo in Gv 1:42 e in due lettere di Paolo, 1 Corinti e Galati (1Co 1:12; 3:22; 9:5; 15:5; Gal 1:18; 2:9, 11, 14; vedi approfondimenti a Mt 10:2; Gv 1:42).

Cefa Uno dei nomi dell’apostolo Pietro. (Vedi approfondimento a 1Co 1:12.)

dichiararli giusti Nelle Scritture Greche Cristiane il verbo dikaiòo e i sostantivi affini dikàioma e dikàiosis, generalmente resi “giustificare” e “giustificazione”, contengono l’idea fondamentale di assolvere o prosciogliere da un’accusa, considerare innocente e quindi dichiarare giusto qualcuno e trattarlo come tale. Per esempio l’apostolo Paolo scrisse che chi è morto “è stato assolto [verbo dikaiòo] dal suo peccato”, avendo scontato la pena, cioè la morte (Ro 6:7, 23). Nelle Scritture questi termini greci vengono usati anche con un significato particolare, per indicare che una persona imperfetta che esercita fede può essere considerata innocente agli occhi di Dio (At 13:38, 39; Ro 8:33).

Mi meraviglio che così in fretta vi allontaniate Paolo qui specifica un motivo importante che lo aveva spinto a scrivere questa lettera. Anche se non era passato molto tempo da che era stato in Galazia, nelle congregazioni locali alcuni si stavano già allontanando dalle verità cristiane. Coloro da cui si stavano facendo “incantare” (Gal 3:1) includevano quelli definiti da Paolo “falsi fratelli, intrusi che si erano infiltrati” nelle congregazioni. (Vedi approfondimenti a Gal 2:4; 3:1.) Alcuni di quei falsi fratelli erano giudaizzanti, i quali ritenevano che i cristiani dovessero osservare la Legge mosaica. (Vedi approfondimento a Gal 1:13.) I giudaizzanti insistevano su questo fatto anche se gli apostoli e gli anziani di Gerusalemme avevano già indicato che i non ebrei non erano tenuti a ubbidire alla Legge mosaica (At 15:1, 2, 23-29; Gal 5:2-4). Paolo spiegò che i giudaizzanti erano spinti dalla paura di essere perseguitati e dal desiderio di compiacere gli oppositori ebrei (Gal 6:12, 13). Forse quei falsi fratelli sostenevano anche che Paolo non era un vero apostolo, e cercavano di allontanare da lui le congregazioni (Gal 1:11, 12; 4:17). È possibile che alcuni galati avessero la tendenza a essere immorali, litigiosi e presuntuosi. Queste tendenze carnali che Paolo menzionò nell’ultima parte della sua lettera li avrebbero fatti allontanare da Dio (Gal 5:13–6:10).

è dichiarato giusto Nelle Scritture Greche Cristiane il verbo dikaiòo, generalmente reso “giustificare”, e i sostantivi affini dikàioma e dikàiosis, di solito resi “giustificazione”, contengono l’idea fondamentale di assolvere o prosciogliere da un’accusa, considerare innocente e quindi dichiarare giusto qualcuno e trattarlo come tale. (Vedi approfondimento a Ro 3:24.) Alcuni nelle congregazioni della Galazia si facevano influenzare dai giudaizzanti, i quali cercavano di affermare la loro condizione giusta compiendo le opere della Legge mosaica (Gal 5:4; vedi approfondimento a Gal 1:6). Qui però Paolo sottolinea che solo per mezzo della fede in Gesù Cristo è possibile essere considerati giusti da Dio. Infatti, sacrificando la sua vita perfetta, Gesù ha fornito la base perché Dio dichiari giusti quelli che esercitano fede in lui (Ro 3:19-24; 10:3, 4; Gal 3:10-12, 24).

ricostruisco quello che ho demolito Paolo in precedenza era stato un fervente sostenitore del giudaismo e aveva creduto di poter essere considerato giusto da Dio compiendo le opere della Legge mosaica. (Vedi approfondimento a Gal 1:13.) Quando era diventato cristiano, però, aveva metaforicamente demolito questa sua convinzione (Gal 2:15, 16). I suoi detrattori sostenevano che i cristiani potevano essere salvati solo osservando rigorosamente la Legge (Gal 1:9; 5:2-12). Qui in Gal 2:18 Paolo spiega che se lui (o qualunque altro cristiano ebreo) si fosse assoggettato nuovamente alla Legge mosaica avrebbe finito per ricostruire quello che aveva demolito. Sarebbe inoltre diventato di nuovo un trasgressore di quella stessa Legge, soggetto quindi alla sua condanna. (Vedi approfondimento a Gal 3:19.)

giudaismo Questo termine, che nelle Scritture Greche Cristiane compare solo in Gal 1:13, 14, si riferisce al sistema religioso diffuso tra gli ebrei dell’epoca. Anche se i suoi sostenitori affermavano di attenersi strettamente alle Scritture Ebraiche, il giudaismo del I secolo dava molta importanza alle “tradizioni dei [...] padri”. (Vedi approfondimento a Gal 1:14.) Gesù condannò le tradizioni e gli uomini che avevano reso “la parola di Dio senza valore” (Mr 7:8, 13).

per rendere evidenti le trasgressioni Paolo indica che un obiettivo importante della Legge mosaica era “rendere evidenti le trasgressioni”. La Legge infatti metteva in risalto che gli israeliti e tutti gli esseri umani erano imperfetti e peccatori davanti a Dio. (Per ulteriori informazioni sulla parola greca per “trasgressione”, vedi approfondimento a Ro 4:15.) Rendeva inoltre chiara la piena portata del concetto di peccato. E dal momento che annoverava tra i peccati molte azioni e persino pensieri o sentimenti, Paolo poté dire che la Legge faceva ‘abbondare la colpa’ e il peccato (Ro 5:20; 7:7-11; vedi approfondimento a 1Co 15:56; confronta Sl 40:12). Tutti quelli che cercavano di seguirla si ritrovavano condannati da essa, perché la Legge dimostrava il loro stato peccaminoso. I sacrifici che prescriveva ricordavano loro di continuo questa condizione (Eb 10:1-4, 11). L’intera umanità aveva bisogno di un sacrificio perfetto che potesse espiare completamente i suoi peccati (Ro 10:4; vedi l’approfondimento la discendenza in questo versetto).

ora che la fede è arrivata Gesù fu l’unica persona che ubbidì alla Legge alla perfezione. Per questo Paolo poté dire che ora era arrivata la fede, una fede perfetta, completa; infatti era ora possibile capire cose fino a quel momento oscure. Adempiendo la Legge, Gesù diede ai suoi discepoli la possibilità di avere l’approvazione di Geova Dio. Diventò così il “Perfezionatore della nostra fede” (Eb 12:2). Garantì che sarebbe stato con i suoi discepoli “tutti i giorni fino alla conclusione del sistema di cose” (Mt 28:20), quindi non sarebbe stato più necessario tornare sotto la protezione del tutore. (Vedi approfondimento a Gal 3:24.) Il ragionamento di Paolo chiarisce che questa fede perfezionata, basata su Gesù Cristo, aveva reso antiquata la Legge mosaica.

mediante la legge io sono morto rispetto alla legge Le parole di Paolo fanno parte di un ragionamento volto a dimostrare che lui non poteva essere considerato giusto da Dio compiendo le “opere della legge” (Gal 2:16). La Legge mosaica lo condannava: dal momento che non poteva osservarla alla perfezione, era un peccatore meritevole di morte (Ro 7:7-11). Qui però lui dice di essere “morto rispetto alla legge”, intendendo dire che ne era stato liberato. Infatti Gesù, con la sua morte su un palo di tortura, aveva legalmente posto fine al patto della Legge (Col 2:13, 14). Ecco perché, ai cristiani di Roma, Paolo scrisse: “Voi siete morti rispetto alla Legge mediante il corpo del Cristo” (Ro 7:4). Quando esercitavano fede nel sacrificio di Cristo, i cristiani morivano “rispetto alla legge”. Poiché era stata la Legge a condurlo a Cristo, Paolo poté dire che era stato “mediante la legge” che era “morto rispetto alla legge”. (Vedi approfondimenti a Gal 3:24, 25.)

il nostro tutore per condurci a Cristo La parola greca per “tutore” (paidagogòs) significa letteralmente “chi guida (accompagna) i bambini” e può anche essere resa “precettore”. Compare solo qui in Gal 3:24, 25 e in 1Co 4:15, dove Paolo parla dei ministri cristiani come di tutori. (Vedi approfondimento a 1Co 4:15.) Con questa bella metafora, Paolo paragona la Legge mosaica a un tutore che accompagnava tutti i giorni un bambino a scuola. Il tutore non era l’insegnante effettivo; era però sua responsabilità proteggere il bambino, fare in modo che seguisse i princìpi morali e le regole della famiglia, e occuparsi della sua disciplina. In modo simile, la Legge mosaica faceva valere i princìpi divini e aiutava gli israeliti a riconoscere che erano peccatori, quindi incapaci di seguirla alla perfezione. Le persone umili che accettarono la guida di questo “tutore” capirono di avere bisogno del Messia, o Cristo, il solo mezzo di salvezza provveduto da Dio (At 4:12).

è stata messa al palo con lui I Vangeli usano il verbo greco synstauròo in relazione a coloro che vennero letteralmente messi a morte accanto a Gesù (Mt 27:44; Mr 15:32; Gv 19:32). Nelle sue lettere, Paolo menziona più volte il fatto che Gesù fu messo al palo (1Co 1:13, 23; 2:2; 2Co 13:4), ma qui il concetto è metaforico. Paolo spiega che i cristiani hanno messo a morte la loro vecchia personalità esercitando fede nel Cristo messo al palo. Nella sua lettera ai Galati, Paolo usò synstauròo in modo simile quando scrisse: “Sono messo al palo con Cristo” (Gal 2:20).

mediante la legge io sono morto rispetto alla legge Le parole di Paolo fanno parte di un ragionamento volto a dimostrare che lui non poteva essere considerato giusto da Dio compiendo le “opere della legge” (Gal 2:16). La Legge mosaica lo condannava: dal momento che non poteva osservarla alla perfezione, era un peccatore meritevole di morte (Ro 7:7-11). Qui però lui dice di essere “morto rispetto alla legge”, intendendo dire che ne era stato liberato. Infatti Gesù, con la sua morte su un palo di tortura, aveva legalmente posto fine al patto della Legge (Col 2:13, 14). Ecco perché, ai cristiani di Roma, Paolo scrisse: “Voi siete morti rispetto alla Legge mediante il corpo del Cristo” (Ro 7:4). Quando esercitavano fede nel sacrificio di Cristo, i cristiani morivano “rispetto alla legge”. Poiché era stata la Legge a condurlo a Cristo, Paolo poté dire che era stato “mediante la legge” che era “morto rispetto alla legge”. (Vedi approfondimenti a Gal 3:24, 25.)

esercita fede in lui Lett. “credente in lui”. Il verbo greco pistèuo (affine al sostantivo pìstis, generalmente reso “fede”) ha il significato base di “credere”, “confidare”, “avere fede”, ma a seconda del contesto e di come è costruito può assumere varie sfumature. Il significato di questo termine va oltre il semplice credere o riconoscere che qualcuno esiste (Gc 2:19). Include l’idea di una fede e una fiducia che portano ad agire con ubbidienza. In Gv 3:16 il verbo greco pistèuo è costruito con la preposizione eis, “in”, “verso”. Riguardo a questa costruzione, uno studioso ha osservato: “La fede è concepita come qualcosa di attivo, un agire da parte dell’uomo, cioè il riporre fede in qualcuno” (P. L. Kaufman, An Introductory Grammar of New Testament Greek). Gesù stava chiaramente parlando di una vita interamente caratterizzata dalla fede, non di un singolo atto di fede. In Gv 3:36 un’espressione simile, “chi esercita fede nel Figlio”, è messa in contrapposizione con “chi disubbidisce al Figlio”. Quindi in questo contesto “esercitare fede” include l’idea di dimostrare le proprie ferme convinzioni o la propria fede con l’ubbidienza.

ci costringe Il verbo greco qui usato significa alla lettera “tenere insieme”, e può trasmettere l’idea di “esercitare un controllo continuo su qualcuno o qualcosa”, “spronare”, “forzare”. L’amore che Cristo ha dimostrato cedendo la propria vita a nostro favore è talmente straordinario che, man mano che ne comprendiamo la portata, il nostro cuore ne è profondamente toccato. È in questo senso che l’amore del Cristo aveva il controllo su Paolo. Questo amore lo spinse a smettere di perseguire mete egoistiche e a concentrarsi sull’obiettivo di servire Dio e gli altri esseri umani sia dentro la congregazione che fuori. (Confronta approfondimento a 1Co 9:16.)

Sono messo al palo con Cristo Qui nel testo originale compare il verbo synstauròo, verbo che i Vangeli usano in relazione a coloro che vennero letteralmente messi al palo accanto a Gesù (Mt 27:44; Mr 15:32; Gv 19:32; vedi approfondimento a Ro 6:6). Proprio come altri cristiani, Paolo poteva dire: vivo secondo la fede nel Figlio di Dio (Gal 3:13; Col 2:14). Manifestando fede nel Cristo messo al palo, un cristiano ebreo viveva da discepolo di Cristo, non da seguace della Legge (Ro 10:4; 2Co 5:15; vedi approfondimento a Gal 2:19).

nella carne Cioè come essere umano.

mi ha amato e ha dato sé stesso per me Utilizzando i pronomi “mi” e “me”, qui Paolo sottolinea che il dono che Cristo ha fatto è un dono individuale, indirizzato a chiunque decida di esercitare fede in lui. (Vedi approfondimento a Gv 3:16.) Paolo aveva compreso e accettato il grande amore che Gesù gli aveva mostrato a livello personale, e questo a sua volta lo spingeva ad amare gli altri e a essere affettuoso e generoso. (Vedi approfondimento a 2Co 5:14; confronta 2Co 6:11-13; 12:15.) Paolo era grato del fatto che Gesù lo avesse scelto come suo discepolo, sebbene in precedenza fosse stato un oppositore. Aveva capito che Gesù, spinto dall’amore, aveva dato la vita non solo per i giusti, ma anche per quelli che erano schiacciati dal peccato. (Confronta Mt 9:12, 13.) Pur mettendo in evidenza che il riscatto di Cristo si applicava a livello individuale a lui, Paolo sapeva benissimo che avrebbe influito positivamente anche su un numero incalcolabile di persone.

immeritata bontà Vedi Glossario.

allora Cristo è morto inutilmente Paolo mette in risalto che se una persona potesse essere dichiarata giusta per mezzo della legge, cioè per aver compiuto le opere prescritte dalla Legge mosaica, allora Cristo sarebbe morto invano. Inoltre fa capire che cercare di guadagnarsi in qualche modo il dono della vita significa in effetti rifiutare l’immeritata bontà di Dio (Ro 11:5, 6; Gal 5:4).

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Antiochia di Siria, antico centro delle attività del cristianesimo
Antiochia di Siria, antico centro delle attività del cristianesimo

Antiochia di Siria era la capitale della provincia romana della Siria. Insieme a Roma e ad Alessandria era considerata una delle tre maggiori città dell’impero romano del I secolo. Costruita sulla sponda orientale del fiume Oronte (1), Antiochia in origine includeva un’isola (2). A diversi chilometri dalla città, seguendo il corso del fiume, si trovava il porto di Seleucia. Antiochia poteva vantare uno dei più grandi ippodromi (3) dell’epoca, nel quale si svolgevano corse di cavalli e di carri. Era nota per la sua maestosa via colonnata (4), che Erode il Grande aveva fatto pavimentare con lastre di marmo; in seguito Tiberio la fece fiancheggiare da portici e decorare con mosaici e statue. In questa città che ospitava molte culture era presente una consistente comunità ebraica (5). Molti che ne facevano parte diventarono cristiani. Fu ad Antiochia che per la prima volta i discepoli di Gesù furono chiamati cristiani (At 11:26). Con il tempo molti non ebrei diventarono credenti. Quando intorno al 49 sorse la questione della circoncisione, da lì si decise di inviare a Gerusalemme una delegazione, che comprendeva Paolo e Barnaba, per chiedere istruzioni al corpo direttivo (At 15:1, 2, 30). L’apostolo Paolo scelse Antiochia come punto di partenza di tutti e tre i suoi viaggi missionari (At 13:1-3; 15:35, 40, 41; 18:22, 23). In evidenza sulla cartina è riprodotta la configurazione che le mura della città hanno mantenuto per diversi secoli.