Prima lettera a Timoteo 4:1-16

4  Comunque, la parola ispirata dice chiaramente che in futuro alcuni si allontaneranno dalla fede, prestando attenzione a ingannevoli affermazioni ispirate+ e a insegnamenti di demòni,  a causa dell’ipocrisia di uomini che dicono menzogne,+ la cui coscienza è marchiata come da un ferro rovente.  Questi proibiscono di sposarsi+ e comandano di astenersi da cibi+ che Dio invece ha creato perché quelli che hanno fede+ e conoscono accuratamente la verità li mangino+ rendendo grazie.  Infatti ogni creazione di Dio è eccellente,+ e nulla è da rigettare+ se viene accolto rendendo grazie,  perché è santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera.  Dando questi consigli ai fratelli, sarai un eccellente ministro di Cristo Gesù, nutrito con le parole della fede e dell’eccellente insegnamento che hai seguito attentamente.+  Ma respingi le false storie irriverenti,+ come quelle raccontate dalle vecchie donne. D’altra parte, esèrcitati avendo di mira la devozione a Dio,  perché l’esercizio fisico è utile a qualcosa, ma la devozione a Dio è utile a ogni cosa, visto che implica la promessa della vita presente e di quella futura.+  Questa dichiarazione è degna di fiducia e merita di essere pienamente accettata. 10  Per questo infatti noi fatichiamo e ci sforziamo,+ perché abbiamo riposto la nostra speranza in un Dio vivente, che è Salvatore+ di ogni tipo di persona,+ specialmente dei fedeli. 11  Continua a dare queste istruzioni* e a insegnarle. 12  Nessuno disprezzi la tua giovane età. Diventa piuttosto un esempio per i fedeli nel parlare, nel comportamento, nell’amore, nella fede, nella castità. 13  Finché non sarò arrivato, continua ad applicarti alla lettura pubblica,+ all’esortazione, all’insegnamento. 14  Non trascurare il dono che è in te e che ti fu dato mediante una profezia quando il corpo degli anziani pose le mani su di te.+ 15  Medita su queste cose;+ dèdicati interamente a esse, affinché il tuo progresso sia chiaramente visibile a tutti. 16  Presta costante attenzione a te stesso e al tuo insegnamento.+ Persevera in queste cose, perché così facendo salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.+

Note in calce

O “comandi”.

Approfondimenti

apostasia Il sostantivo greco usato qui (apostasìa) deriva da un verbo che letteralmente significa “allontanarsi” o “stare lontano da”. Il sostantivo ha il senso di “diserzione”, “abbandono”, “ribellione”. Quindi denota più che un semplice allontanamento dovuto a debolezza spirituale o a dubbi. (Vedi approfondimento ad At 21:21.) Nel greco classico il sostantivo era usato per indicare una defezione o ribellione politica. In questo contesto Paolo lo usa per riferirsi a una defezione religiosa che si sarebbe verificata prima del “giorno di Geova” (2Ts 2:2), un allontanamento deliberato dalla vera adorazione e dal servizio reso a Dio. (Vedi Glossario, “apostasia”.)

la parola ispirata Lett. “lo spirito”. In questo versetto il termine greco pnèuma compare due volte. Spesso viene tradotto “spirito” ma, in base al contesto, può avere anche altri significati. (Vedi Glossario, “spirito”.) Qui è stato reso “la parola ispirata” perché si riferisce a un’espressione ispirata dallo spirito santo di Dio. (Vedi l’approfondimento ingannevoli affermazioni ispirate in questo versetto.)

alcuni si allontaneranno dalla fede Paolo predice che alcuni sedicenti cristiani avrebbero abbandonato gli insegnamenti divini contenuti nelle Scritture e si sarebbero allontanati dalla vera adorazione. Il verbo greco originale per “allontanarsi da” letteralmente significa “stare lontano da” e può anche essere reso “rinunciare” (2Tm 2:19). È affine al sostantivo reso “apostasia”. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:3.)

ingannevoli affermazioni ispirate Lett. “spiriti ingannevoli”. Qui il termine greco pnèuma (“spirito”) è al plurale e si riferisce ad affermazioni fatte da persone che asseriscono falsamente di sapere qualcosa che proviene da una fonte divina o di essere ispirati da Dio. In realtà, però, queste affermazioni provengono da Satana e dai demòni; infatti viene detto che sono “ingannevoli” e che sono collegate a “insegnamenti di demòni” (Gv 8:44; 1Gv 4:1-6; Ri 16:13, 14). Questi angeli malvagi si servono di “uomini che dicono menzogne” per promuovere falsi insegnamenti (1Tm 4:2; 2Co 11:14, 15). Un cristiano che decidesse di ascoltare queste bugie rischierebbe di allontanarsi dalla fede. (Confronta approfondimento a 2Ts 2:2.)

affermazione ispirata Lett. “spirito”. (Vedi Glossario, “spirito”.) La parola greca pnèuma (spesso resa “spirito”) qualche volta è usata in relazione a un mezzo per comunicare. Per esempio in questo versetto compare insieme alle parole “discorso” e “lettera”. Il termine pnèuma è reso nello stesso modo in 1Tm 4:1 e 1Gv 4:1, 2, 3, 6; in Ri 16:13, 14 è invece reso “espressioni ispirate”. (Confronta approfondimento a 1Co 12:10.)

Avendo perso ogni senso morale Questa espressione rende un verbo greco che letteralmente si potrebbe tradurre “avendo cessato di provare dolore”. Qui è usato in senso metaforico per descrivere chi è insensibile dal punto di vista etico o morale. Una persona del genere non prova alcun dolore nel senso che non ha più rimorsi di coscienza e non si sente più responsabile agli occhi di Dio (1Tm 4:2).

la cui coscienza è marchiata come da un ferro rovente Ai giorni di Paolo a volte veniva utilizzato un ferro rovente per marchiare la pelle degli animali così da indicare a chi appartenevano. Di conseguenza sulla carne bruciata dell’animale si formava una cicatrice e in quel punto diventava insensibile. Con il verbo kausteriàzomai (lett. “bruciare con ferro rovente”) Paolo forse intende dire che la coscienza di una persona che si ostina a fare ciò che è sbagliato diventa insensibile, incallita: compie azioni errate senza alcuna remora e non si sente in colpa dopo averle compiute. (Confronta approfondimento a Ef 4:19.) Alcuni studiosi, però, propongono una spiegazione diversa: la coscienza di chi continua a fare quello che è sbagliato è simbolicamente marchiata nel senso che questa persona appartiene a Satana e ai demòni.

Cefa Uno dei nomi dell’apostolo Pietro. (Vedi approfondimenti a Mt 10:2; 1Co 1:12.) In questo versetto si parla di Cefa come di un uomo sposato. Stando a quanto indicano i Vangeli, sua suocera viveva con lui, e nella stessa casa viveva anche il fratello Andrea (Mt 8:14; Mr 1:29-31; vedi approfondimento a Lu 4:38). Da questo versetto si comprende che sua moglie a volte lo accompagnava mentre lui svolgeva il suo ministero. Anche le mogli di altri apostoli e dei fratellastri di Gesù accompagnavano i rispettivi mariti.

ingannevoli affermazioni ispirate Lett. “spiriti ingannevoli”. Qui il termine greco pnèuma (“spirito”) è al plurale e si riferisce ad affermazioni fatte da persone che asseriscono falsamente di sapere qualcosa che proviene da una fonte divina o di essere ispirati da Dio. In realtà, però, queste affermazioni provengono da Satana e dai demòni; infatti viene detto che sono “ingannevoli” e che sono collegate a “insegnamenti di demòni” (Gv 8:44; 1Gv 4:1-6; Ri 16:13, 14). Questi angeli malvagi si servono di “uomini che dicono menzogne” per promuovere falsi insegnamenti (1Tm 4:2; 2Co 11:14, 15). Un cristiano che decidesse di ascoltare queste bugie rischierebbe di allontanarsi dalla fede. (Confronta approfondimento a 2Ts 2:2.)

proibiscono di sposarsi Questo insegnamento apostata distorceva in modo subdolo i sani insegnamenti cristiani e li applicava in modo errato. È vero che Gesù aveva parlato in modo positivo dell’essere single, definendolo un dono (Mt 19:10-12), e che Paolo fu ispirato a parlare dei vantaggi che si hanno non sposandosi, come il servire Geova con meno distrazioni (1Co 7:32-35). Comunque né Gesù né Paolo proibirono di sposarsi. Anzi, Gesù ribadì la norma originale di Geova relativa al matrimonio (Mt 19:3-6, 8), e Paolo riconobbe che il matrimonio in certi casi era consigliabile e che doveva essere protetto e tenuto in alta considerazione (1Co 7:2, 9, 28, 36; Eb 13:4). Inoltre Paolo menzionò che alcuni apostoli erano sposati (1Co 9:5 e approfondimento). E, sotto ispirazione, diede a mariti e mogli consigli su come assolvere i ruoli affidati loro da Dio (Ef 5:28-33). Quindi qui in 1Tm 4:3 Paolo smaschera la dottrina del celibato obbligatorio per quello che è, ovvero uno degli “insegnamenti di demòni” (1Tm 4:1).

comandano di astenersi da cibi Nella Legge mosaica Geova aveva comandato alla nazione di Israele di astenersi dai cibi che lui considerava impuri (Le 11:4-7). Ma la morte di Cristo Gesù aveva segnato “la fine della Legge”, che quindi non era più in vigore quando Paolo, tra il 61 e il 64, scrisse questa lettera (Ro 10:4, nt.; Col 2:14). Più di 10 anni prima il corpo direttivo a Gerusalemme aveva delineato le uniche restrizioni valide relative al cibo: la carne doveva essere adeguatamente dissanguata e non si doveva mangiare nulla che fosse stato offerto agli idoli (At 15:28, 29; confronta At 10:10-16). Per quanto i cristiani fossero liberi di digiunare o di non mangiare certi cibi (Mt 6:16-18), non era da questo che dipendeva la loro salvezza (Ro 14:5, 6; Eb 13:9). Quindi Paolo, qui in 1Tm 4:3, indica senza mezzi termini che chi dava ai cristiani un comando del genere aveva rigettato la conoscenza accurata e stava invece promuovendo “insegnamenti di demòni” (1Tm 4:1 e approfondimento).

è santificato dalla parola di Dio Dal momento che i cristiani non sono tenuti a osservare le norme dietetiche prescritte dalla Legge mosaica, è giusto che considerino tutti i cibi santificati, o puri. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:3.) Quando Geova dice che una cosa è pura, è pura. Ad esempio, in una visione all’apostolo Pietro fu detto: “Smetti di considerare contaminate le cose che Dio ha purificato” (At 10:10-15).

preghiera Il cibo è santificato non solo dalla “parola” di Dio ma anche dalla preghiera. Chi prega riconosce che è Dio a provvederlo, e lo accetta come un suo dono. Pertanto un cristiano può mangiarlo con la certezza che facendolo non si contamina agli occhi di Dio (Gen 1:29; 9:3; Mt 14:19; Lu 9:16).

comandano di astenersi da cibi Nella Legge mosaica Geova aveva comandato alla nazione di Israele di astenersi dai cibi che lui considerava impuri (Le 11:4-7). Ma la morte di Cristo Gesù aveva segnato “la fine della Legge”, che quindi non era più in vigore quando Paolo, tra il 61 e il 64, scrisse questa lettera (Ro 10:4, nt.; Col 2:14). Più di 10 anni prima il corpo direttivo a Gerusalemme aveva delineato le uniche restrizioni valide relative al cibo: la carne doveva essere adeguatamente dissanguata e non si doveva mangiare nulla che fosse stato offerto agli idoli (At 15:28, 29; confronta At 10:10-16). Per quanto i cristiani fossero liberi di digiunare o di non mangiare certi cibi (Mt 6:16-18), non era da questo che dipendeva la loro salvezza (Ro 14:5, 6; Eb 13:9). Quindi Paolo, qui in 1Tm 4:3, indica senza mezzi termini che chi dava ai cristiani un comando del genere aveva rigettato la conoscenza accurata e stava invece promuovendo “insegnamenti di demòni” (1Tm 4:1 e approfondimento).

ministro di Cristo Gesù Vedi approfondimento a 1Co 3:5.

nutrito Qui Paolo usa un termine greco che alla lettera si riferisce al dar da mangiare a un bambino e all’educarlo. “Dall’infanzia” Timoteo era stato nutrito, per così dire, con “gli scritti sacri” (2Tm 3:14-17). In quanto cristiano, era stato alimentato con le parole della fede, cioè l’insieme degli insegnamenti cristiani. In questa lettera Paolo lo incoraggia a continuare a nutrirsi per poter così edificare la sua fede (1Tm 4:16). Timoteo, sorvegliante e pastore nella congregazione cristiana, sarebbe stato così in grado di rafforzare e proteggere altri dal punto di vista spirituale (1Tm 1:3-7, 18; 4:1).

Ministri O “servitori”. La Bibbia usa spesso il termine greco diàkonos in riferimento a qualcuno che non si risparmia nel servire umilmente gli altri. (Vedi approfondimento a Mt 20:26.) In Ro 15:8 questo termine è usato in relazione a Gesù. (Vedi approfondimento.) Qui in 1Co 3:5 Paolo parla di sé e di Apollo come di ministri, o servitori, che hanno aiutato i corinti a diventare credenti. Il loro ministero, come quello di tutti i cristiani battezzati, includeva il soddisfare i bisogni spirituali del prossimo (Lu 4:16-21).

il sacro segreto di questa devozione a Dio Questo è l’unico punto nelle Scritture in cui le due espressioni “sacro segreto” e “devozione a Dio” compaiono insieme. (Vedi approfondimenti a Mt 13:11; 1Tm 4:7.) Paolo qui si concentra sul sacro segreto che ha a che fare con il seguente quesito: esiste un essere umano in grado di mostrare devozione a Dio in modo perfetto per tutta la vita? Quando egoisticamente si ribellò a Geova nell’Eden, Adamo dimostrò di non esserci riuscito. Perciò questa domanda risultò essere particolarmente significativa per i suoi discendenti. Per circa 4.000 anni la risposta continuò a essere un mistero, o un segreto. Essendo imperfetti, nessuno dei discendenti di Adamo ed Eva poteva essere perfettamente integro (Sl 51:5; Ec 7:20; Ro 3:23). Ma Gesù, un uomo perfetto come Adamo, fu devoto a Dio in ogni pensiero, parola e azione, perfino nelle prove più difficili (Eb 4:15; vedi approfondimento a 1Co 15:45). Il suo attaccamento per Geova si poggiava su un amore altruistico e sincero. Lasciando un esempio di perfetta devozione a Dio, Gesù diede la risposta definitiva a questo sacro segreto.

false storie Le “false storie” (espressione che qui traduce il termine greco mỳthos) che circolavano ai giorni di Paolo erano irriverenti, o profane. Violavano le sacre norme di Dio ed erano contrarie ai santi e sani insegnamenti della verità (1Tm 6:20; 2Tm 1:13). Queste false storie erano frutto dell’immaginazione e non si basavano sulla realtà dei fatti, quindi erano prive di valore. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:4.)

come quelle raccontate dalle vecchie donne Questa espressione corrisponde in greco a un unico termine che a quanto pare diventò parte di un modo di dire comune per trasmettere l’idea di qualcosa di “ridicolo”, “assurdo”. Comunque quello che Paolo dice nel capitolo successivo fa capire che non aveva pregiudizi nei confronti delle persone anziane, donne incluse. Per esempio, in 1Tm 5:1, 2 esorta Timoteo a trattare coloro che sono avanti con gli anni come cari componenti della famiglia.

esèrcitati Dal v. 7 al v. 10, Paolo porta avanti il suo ragionamento usando vari termini tratti dal mondo dell’atletica. (Vedi approfondimenti a 1Tm 4:8, 10.) Il verbo greco qui reso “esèrcitati” è gymnàzo, che veniva spesso usato in riferimento al rigido allenamento degli atleti che partecipavano a giochi o gare di vario tipo. L’allenamento richiedeva tanta autodisciplina, duro lavoro e molta determinazione. (Vedi approfondimento a 1Co 9:25.) Utilizzando questo verbo in senso metaforico Paolo mette in risalto lo sforzo necessario per coltivare la qualità della devozione a Dio.

devozione a Dio Il termine greco eusèbeia trasmette l’idea di profonda riverenza e rispetto che un cristiano esprime a Dio servendolo lealmente e ubbidendogli in modo completo. Ha un significato ampio, infatti fa anche pensare a quell’amore leale o a quell’attaccamento verso Dio che spinge una persona a cercare di fare ciò che piace a lui. Un lessico riassume così il significato generale di questo termine: “vivere come Dio vuole che viviamo”. Paolo fa anche capire che la devozione a Dio non è una caratteristica innata. È per questo motivo che esorta Timoteo a darsi da fare per rafforzare questa qualità, esercitandosi, o allenandosi, come fa un atleta. Poco prima nella lettera, Paolo gli ha ricordato che Gesù Cristo ha lasciato l’esempio più incisivo di devozione a Dio. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:16.)

si padroneggia Gli atleti che si preparavano a una gara si sottoponevano a una dura disciplina. Molti seguivano una dieta ferrea, e alcuni non bevevano vino. Lo storico Pausania scrive che gli allenamenti per i Giochi Olimpici duravano 10 mesi, e si presume che la preparazione atletica per altri importanti giochi avesse una durata simile.

fatichiamo e ci sforziamo Per enfatizzare quello che sta dicendo, Paolo usa due verbi greci che hanno un significato simile. (Confronta Col 1:29.) Il primo, qui reso “fatichiamo”, può riferirsi ad attività stancanti o logoranti (Lu 5:5; 2Tm 2:6). Il secondo, qui reso “ci sforziamo”, può mettere in risalto l’intensità dello sforzo e l’impegno che viene profuso. (Vedi approfondimento a Lu 13:24.)

esercizio O “allenamento”. Paolo prosegue la metafora tratta dal mondo dell’atletica che ha iniziato nel versetto precedente. Lì ha usato un verbo greco (gymnàzo) che alla lettera significa “esercitarsi (come un atleta)”. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:7.) Qui invece usa il sostantivo gymnasìa, che si riferisce all’allenamento fisico. Ai giorni di Paolo, il posto in cui gli atleti si allenavano era chiamato ginnasio (in greco gymnàsion). I ginnasi erano luoghi molto conosciuti perché rappresentavano importanti centri della vita sociale in diverse città dell’impero romano. Influenzati dalla cultura dell’epoca, alcuni davano grande valore all’allenamento fisico. Altri, invece, lo consideravano sconveniente o inutile. Paolo, sotto ispirazione, presenta un punto di vista equilibrato: riconosce che l’allenamento fisico è utile a qualcosa o “è utile per un po’”, perché ha dei vantaggi temporanei, ma mette in evidenza che “[esercitarsi] avendo di mira la devozione a Dio” reca benefìci ancora maggiori (1Tm 4:7).

false storie In 2Tm 4:4 “false storie” e “verità” sono messe in contrapposizione. Il termine greco qui reso “false storie” è mỳthos, che secondo un lessico può essere definito “leggenda”, “favola”, “mito”. Nelle Scritture Greche Cristiane è sempre usato con un’accezione negativa. Paolo forse aveva in mente leggende stravaganti che promuovevano insegnamenti religiosi falsi o dicerie di natura sensazionale (Tit 1:14; 2Pt 1:16; vedi approfondimento a 1Tm 4:7). In questo versetto esorta i cristiani a non prestare attenzione, o non dedicare tempo, a tali false storie, perché non sarebbero state di nessuna utilità e avrebbero potuto distogliere la loro mente dalla verità contenuta nella Parola di Dio (2Tm 1:13).

esèrcitati Dal v. 7 al v. 10, Paolo porta avanti il suo ragionamento usando vari termini tratti dal mondo dell’atletica. (Vedi approfondimenti a 1Tm 4:8, 10.) Il verbo greco qui reso “esèrcitati” è gymnàzo, che veniva spesso usato in riferimento al rigido allenamento degli atleti che partecipavano a giochi o gare di vario tipo. L’allenamento richiedeva tanta autodisciplina, duro lavoro e molta determinazione. (Vedi approfondimento a 1Co 9:25.) Utilizzando questo verbo in senso metaforico Paolo mette in risalto lo sforzo necessario per coltivare la qualità della devozione a Dio.

esercizio O “allenamento”. Paolo prosegue la metafora tratta dal mondo dell’atletica che ha iniziato nel versetto precedente. Lì ha usato un verbo greco (gymnàzo) che alla lettera significa “esercitarsi (come un atleta)”. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:7.) Qui invece usa il sostantivo gymnasìa, che si riferisce all’allenamento fisico. Ai giorni di Paolo, il posto in cui gli atleti si allenavano era chiamato ginnasio (in greco gymnàsion). I ginnasi erano luoghi molto conosciuti perché rappresentavano importanti centri della vita sociale in diverse città dell’impero romano. Influenzati dalla cultura dell’epoca, alcuni davano grande valore all’allenamento fisico. Altri, invece, lo consideravano sconveniente o inutile. Paolo, sotto ispirazione, presenta un punto di vista equilibrato: riconosce che l’allenamento fisico è utile a qualcosa o “è utile per un po’”, perché ha dei vantaggi temporanei, ma mette in evidenza che “[esercitarsi] avendo di mira la devozione a Dio” reca benefìci ancora maggiori (1Tm 4:7).

devozione a Dio Per una trattazione dell’espressione “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7; vedi anche approfondimento a 1Tm 2:2.

utile a ogni cosa Qui Paolo indica che la devozione a Dio reca benefìci di gran lunga maggiori rispetto all’allenamento fisico. (Vedi l’approfondimento esercizio in questo versetto.) Sapeva per esperienza personale che la devozione a Dio gli era “utile a ogni cosa” nella “vita presente”. Per esempio, grazie a questa qualità era riuscito ad attenersi fermamente all’“accurata conoscenza della verità” (Tit 1:1, 2). Non aveva mai dato ascolto alle menzogne, alle “ingannevoli affermazioni ispirate” e alle “false storie irriverenti” da cui mette in guardia Timoteo in questo brano (1Tm 4:1, 2, 7). Inoltre Geova lo aveva aiutato a essere forte nonostante le debolezze, a provare gioia nonostante le difficoltà e a mostrare amore nonostante i maltrattamenti (2Co 6:12; 12:10, 15; Flp 4:13; Col 1:24). E dato che la sua devozione a Dio non aveva mai vacillato, la speranza che aveva nella “vita [...] futura” era rimasta certa. La speranza di regnare in cielo con Cristo gli aveva procurato gioia; anche quando poi fu condannato a morte, la speranza della vita eterna che lo attendeva lo rese felice (2Tm 2:12; 4:6-8).

devozione a Dio O “santa devozione”. Il termine greco usato qui, eusèbeia, fa riferimento a un senso di riverenza e di profondo rispetto nei confronti di Dio; per questo motivo la parola “Dio”, anche se non compare nel termine originale, è stata esplicitata. (Per una trattazione del termine greco reso “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7.) Questo stesso termine a volte viene usato anche nella Settanta. Per esempio compare in Isa 11:2 e 33:6, dove il testo ebraico usa l’espressione “timore di Geova”, che si riferisce ugualmente a profondo rispetto per Geova Dio. Quando nel V secolo fu realizzata la Pescitta, traduzione della Bibbia in siriaco, in 1Tm 2:2 il termine greco eusèbeia fu reso “riverenza verso Dio”, con l’esplicitazione della parola “Dio”. Sulla stessa falsariga, alcune successive traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane hanno reso eusèbeia con “timore di Geova” sia in questo versetto sia in altri dove compare il termine (1Tm 3:16; 4:7, 8; 6:3, 6, 11). Comunque, il Comitato di Traduzione della Bibbia del Nuovo Mondo ha ritenuto che non ci fossero sufficienti ragioni a sostegno del ripristino del nome divino nel testo principale di questo versetto. (Per altre ragioni prese in considerazione nel valutare se ripristinare il nome divino in altri versetti, vedi App. C; confronta approfondimento a Ro 10:12.)

devozione a Dio Il termine greco eusèbeia trasmette l’idea di profonda riverenza e rispetto che un cristiano esprime a Dio servendolo lealmente e ubbidendogli in modo completo. Ha un significato ampio, infatti fa anche pensare a quell’amore leale o a quell’attaccamento verso Dio che spinge una persona a cercare di fare ciò che piace a lui. Un lessico riassume così il significato generale di questo termine: “vivere come Dio vuole che viviamo”. Paolo fa anche capire che la devozione a Dio non è una caratteristica innata. È per questo motivo che esorta Timoteo a darsi da fare per rafforzare questa qualità, esercitandosi, o allenandosi, come fa un atleta. Poco prima nella lettera, Paolo gli ha ricordato che Gesù Cristo ha lasciato l’esempio più incisivo di devozione a Dio. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:16.)

ogni tipo di persona Anche se l’espressione greca usata qui potrebbe essere tradotta letteralmente “tutti gli uomini” (nel senso di esseri umani, sia maschi che femmine), la resa “ogni tipo di persona” è giustificata dal contesto. (Per altri esempi, vedi approfondimenti a Gv 12:32; At 2:17.) Dio desidera che tutti gli esseri umani “giungano al pentimento” (2Pt 3:9), quindi offre a tutti in modo imparziale la possibilità di salvarsi, indipendentemente da genere, etnia e condizione economica o sociale (Mt 28:19, 20; At 10:34, 35; 17:30). Vari passi delle Scritture, però, indicano chiaramente che molti non accetteranno l’invito di Dio e non saranno salvati (Mt 7:13, 21; Gv 3:16, 36; 2Ts 1:9). Pertanto la resa “ogni tipo di persona” è in armonia con questi versetti. Questa scelta traduttiva è appropriata anche nei versetti precedenti, dove Paolo esorta i cristiani a pregare “riguardo a ogni tipo di persona, riguardo a re e a tutti quelli che hanno una posizione di autorità” (1Tm 2:1, 2).

fatichiamo e ci sforziamo Per enfatizzare quello che sta dicendo, Paolo usa due verbi greci che hanno un significato simile. (Confronta Col 1:29.) Il primo, qui reso “fatichiamo”, può riferirsi ad attività stancanti o logoranti (Lu 5:5; 2Tm 2:6). Il secondo, qui reso “ci sforziamo”, può mettere in risalto l’intensità dello sforzo e l’impegno che viene profuso. (Vedi approfondimento a Lu 13:24.)

abbiamo riposto la nostra speranza in un Dio vivente Paolo dice che Geova è “un Dio vivente”, infinitamente superiore agli idoli senza vita che venivano adorati ai suoi giorni (At 14:15; 1Co 12:2; 1Ts 1:9; vedi approfondimento a 1Tm 3:15). Geova, essendo un Dio vivente, ha il potere di ricompensare i suoi fedeli servitori per i sinceri sforzi che fanno nel servirlo (2Cr 16:9; Ger 32:19; 1Pt 3:12; 1Gv 3:22). Promette di dare loro la salvezza e la vita eterna (Ro 2:6, 7; 1Tm 1:16; Tit 1:2). Paolo e gli altri cristiani si sentivano spinti a faticare e a sforzarsi perché sapevano che la loro speranza poggiava su solide fondamenta: un Dio vivente e potente.

Salvatore Vedi approfondimento a 1Tm 1:1.

ogni tipo di persona Vedi approfondimento a 1Tm 2:4.

specialmente dei fedeli In questo contesto il termine “fedeli” si riferisce a coloro che hanno riposto fede nel Dio vivente e continuano a essergli devoti (At 14:22; 1Ts 3:5 e approfondimento, 7). Dio è il “Salvatore di ogni tipo di persona” in quanto ha provveduto il riscatto, dando così a tutti gli esseri umani l’opportunità di essere salvati. Comunque, solo chi continua a esercitare fede in Gesù e a servire lealmente Dio sarà salvato (Gv 3:16, 36; 1Tm 6:12).

fedeltà Il termine greco pìstis usato qui può essere reso in vari modi, ad esempio “fede” (Mt 8:10; Ro 1:17; 1Ts 3:2, 10), “fedeltà” (Mt 23:23) e “fidati” (Tit 2:10). Nei vv. 5-7 pìstis compare più volte in riferimento al fatto che i cristiani di Tessalonica rimanevano saldi e aggrappati alla loro fede nonostante le avversità. Mette quindi in evidenza la “fedeltà”, o lealtà, a Dio che mostravano durante le prove. Questo esempio di fedeltà incoraggiò Paolo, Silvano e Timoteo, visto che anche loro stavano affrontando “difficoltà e sofferenze” (1Ts 3:7).

Dio, nostro Salvatore Nella prima lettera a Timoteo e in quella a Tito, Paolo usa il termine “Salvatore” sei volte riferendosi a Geova Dio (qui e in 1Tm 2:3; 4:10; Tit 1:3; 2:10; 3:4); nel resto delle Scritture Greche Cristiane, invece, compare solo due volte riferito a Geova (Lu 1:47; Gda 25). Nelle Scritture Ebraiche, si parla spesso di Geova come del Salvatore del suo popolo, Israele (Sl 106:8, 10, 21; Isa 43:3, 11; 45:15, 21; Ger 14:8). Anche Gesù, però, può a buon diritto essere definito “Salvatore”, perché è tramite lui che Geova salva gli esseri umani dal peccato e dalla morte (At 5:31; 2Tm 1:10). Inoltre è definito “colui che [...] conduce alla salvezza” (Eb 2:10). Il nome Gesù, dato sotto guida angelica al Figlio di Dio, significa “Geova è salvezza”; infatti l’angelo spiegò: “Salverà il suo popolo dai loro peccati” (Mt 1:21 e approfondimento). Questo nome, quindi, sottolinea il fatto che Geova è la Fonte della salvezza mediante Gesù. Ecco perché il termine “Salvatore” può essere giustamente utilizzato per riferirsi sia al Padre che al Figlio (Tit 2:11-13; 3:4-6). Il termine ebraico e quello greco (nella Settanta) per “salvatore” vengono usati per indicare anche esseri umani scelti come “salvatori che [...] liberavano” il popolo di Dio dai nemici (Ne 9:27; Gdc 3:9, 15).

Iddio vivente L’espressione usata qui da Paolo ricorre spesso nelle Scritture Ebraiche (De 5:26; 1Sa 17:26, 36; Isa 37:4, 17). In questo contesto serve a creare un contrasto tra Geova, l’“Iddio vivente”, e gli idoli inanimati che i pagani di Efeso e di altre località adoravano. Paolo può averla usata anche per ricordare ai cristiani la superiorità del loro modo di adorare.

Fate ogni sforzo O “continuate a lottare”, “sforzatevi con vigore”. L’esortazione di Gesù sottolinea il bisogno di impegnarsi con tutto sé stessi per riuscire a entrare per la porta stretta. Vari commentari propongono per questo passo rese come “sforzatevi al massimo”. Il verbo greco agonìzomai è affine al sostantivo greco agòn, spesso utilizzato per indicare le competizioni atletiche. Questo termine è usato in senso figurato in Eb 12:1 con riferimento alla “corsa” cristiana per la vita. È anche usato con il significato più generico di “lotta” (Flp 1:30; Col 2:1) o di “combattimento” (1Tm 6:12; 2Tm 4:7). Lo stesso verbo greco presente in Lu 13:24 è stato reso “partecipare a una gara”, “lottare”, “prodigarsi”, “sforzarsi” e “combattere” (1Co 9:25; Col 1:29; 4:12; 1Tm 4:10; 6:12). Dato che questa espressione appartiene al lessico della competizione nei giochi atletici, alcuni hanno suggerito che lo sforzo che Gesù incoraggiò a fare potrebbe essere paragonato a quello di un atleta che impiega al massimo tutte le sue forze per vincere il premio.

la tua giovane età O “la tua giovinezza”. Quando furono scritte queste parole, Timoteo doveva essere sulla trentina ed era stato addestrato dall’apostolo Paolo per più di 10 anni. Probabilmente Paolo stesso aveva più o meno quell’età quando viene menzionato per la prima volta nella Bibbia. In At 7:58 Luca definisce Saulo (Paolo) “un giovane”, usando un termine greco affine a quello presente qui in 1Tm 4:12 e tradotto “giovane età”. Inoltre nella Settanta il termine greco reso “giovinezza” o “gioventù” si riferiva a volte ad adulti sposati (Pr 5:18; Mal 2:14, 15; LXX). Nel mondo classico anche uomini sulla trentina in certi casi venivano considerati relativamente giovani e non ancora maturi. È probabile che Timoteo fosse più giovane di alcuni uomini che doveva consigliare o nominare anziani, quindi poteva essere un po’ riluttante a far valere la sua autorità (1Tm 1:3; 4:3-6, 11; 5:1, 19-22). Le parole di Paolo “nessuno disprezzi la tua giovane età” avranno di certo infuso più sicurezza a Timoteo.

Diventa [...] un esempio per i fedeli Con queste parole Paolo spiega a Timoteo come può in modo pratico far sì che “nessuno disprezzi la [sua] giovane età”. Timoteo non avrebbe dovuto spadroneggiare sui fratelli esercitando con severità l’autorità che Dio gli aveva dato, e non avrebbe dovuto insistere perché gli altri lo rispettassero. Paolo stesso non si era comportato in questo modo. (Vedi approfondimento a 2Co 1:24.) Qui consiglia a Timoteo di continuare a ricorrere a qualcosa di più efficace: il buon esempio. Poi cita cinque ambiti in cui Timoteo dovrà essere d’esempio “per i fedeli”: “nel parlare, nel comportamento, nell’amore, nella fede, nella castità”. Osservandolo, i fratelli e le sorelle si sarebbero sentiti spinti a diventare cristiani migliori (Eb 13:7, 17).

castità O “purezza”. (Vedi approfondimento a 1Tm 5:2.)

con assoluta castità O “con assoluta purezza”. Il termine greco reso “castità” si può riferire alla purezza non solo nei comportamenti (in ambito sessuale o d’altro genere) ma anche nei pensieri e nei motivi (1Tm 4:12; vedi approfondimento a Flp 4:8). Timoteo doveva trattare le donne cristiane più giovani come se fossero sue sorelle carnali. Con loro, così come con tutti gli altri compagni di fede, doveva rimanere completamente casto, cioè puro nei pensieri, nelle parole e nelle azioni (Gb 31:1).

Non che siamo i padroni della vostra fede Paolo era convinto che i suoi fratelli, essendo cristiani fedeli, volevano fare ciò che è giusto. Se riuscivano a rimanere saldi non era grazie a Paolo o a qualche altro essere umano, ma grazie alla loro fede. Il verbo greco reso “siamo i padroni” (kyrièuo) può trasmettere l’idea di dominare altri o di tiranneggiare. Pietro usa un verbo affine quando esorta gli anziani a non ‘spadroneggiare su quelli che sono l’eredità di Dio’ (1Pt 5:2, 3). Paolo si rendeva conto che l’autorità che aveva quale apostolo non gli dava il diritto di esercitarla in maniera dispotica. Inoltre, aggiungendo siamo invece compagni d’opera per la vostra gioia, dimostra che non pensava che lui e i suoi collaboratori fossero superiori agli altri; riteneva piuttosto che fossero servitori che facevano tutto il possibile per aiutare i corinti ad adorare Geova con gioia.

incoraggiamento O “esortazione”. Il sostantivo greco originale (paràklesis) è affine a un verbo (parakalèo) che letteralmente significa “chiamare a sé”. Spesso ha il senso di “incoraggiamento” (At 13:15; Flp 2:1) o “conforto” (Ro 15:4; 2Co 1:3, 4; 2Ts 2:16). Come indica la resa alternativa, questo termine e il verbo affine presente nello stesso versetto trasmettono anche l’idea di “esortazione”, ed è proprio così che vengono resi in alcuni contesti (1Ts 2:3; 1Tm 4:13; Eb 12:5). Il fatto che questi termini greci abbiano in sé i tre significati di esortazione, conforto e incoraggiamento indica che un cristiano non dovrebbe mai esortare o consigliare qualcuno in modo duro o aspro.

si alzò per leggere Gli studiosi affermano che questa è la più antica descrizione che si conosca di una funzione sinagogale. Secondo la tradizione giudaica, di solito la funzione iniziava con delle preghiere personali man mano che i fedeli entravano nell’edificio, e poi si recitavano le parole contenute in De 6:4-9 e 11:13-21. Seguivano delle preghiere pubbliche, dopodiché veniva letto ad alta voce un brano del Pentateuco secondo un programma prestabilito. At 15:21 dice che nel I secolo questa lettura veniva fatta “ogni Sabato”. La parte successiva della funzione, che sembra quella menzionata qui in Lu 4:16, era la lettura di un brano dei profeti con relativa spiegazione e applicazione. Solitamente il lettore stava in piedi, ed è possibile che avesse una qualche libertà nella scelta del brano profetico da leggere. (Vedi approfondimento ad At 13:15.)

continua ad applicarti O “da’ tutta la tua attenzione”. Timoteo era già un ministro e un sorvegliante esperto (Flp 2:20-22; 1Ts 3:2). Ciò nonostante, Paolo lo esorta a prestare particolare attenzione “alla lettura pubblica, all’esortazione [e] all’insegnamento”. Per farlo, Timoteo avrà dovuto studiare con attenzione e prepararsi molto bene. L’espressione “continua ad applicarti” traduce un unico verbo che è al presente, tempo verbale che in greco suggerisce un’azione continua e ripetuta. Timoteo, quindi, avrebbe dovuto continuare a concentrarsi su questi aspetti del ministero e a impegnarvisi.

lettura pubblica Nelle sinagoghe la lettura ad alta voce delle Scritture costituiva una parte importante dell’adorazione, abitudine che diventò una caratteristica anche delle adunanze cristiane (Lu 4:16 e approfondimento; At 13:15 e approfondimento). Quando si riunivano, i cristiani leggevano alcuni passi delle Scritture Ebraiche e, con il tempo, anche di quelle che diventarono le Scritture Greche Cristiane. Inoltre fratelli con incarichi di responsabilità inviavano lettere che dovevano essere lette alle congregazioni (At 15:22, 23, 30, 31; 16:4, 5; Col 4:16; 1Ts 5:27; Ri 1:3). La lettura veniva fatta ad alta voce perché tra i presenti in pochi avevano copie scritte, e alcuni potevano addirittura essere analfabeti. Chi leggeva pubblicamente doveva prepararsi bene in modo da fare una lettura scorrevole e da trasmetterne chiaramente il significato. (Confronta Ne 8:8.) Il lettore affrontava una difficoltà in più, visto che i manoscritti greci in uso all’epoca non contenevano spazi tra le parole e avevano poca punteggiatura o non ne avevano affatto. Per questi motivi, sicuramente Timoteo avrà apprezzato i consigli di Paolo riguardo alla lettura pubblica e li avrà trasmessi ad altri.

esortazione O “incoraggiamento”. Anche se esortare altri implica spronarli all’azione, il termine greco usato qui trasmette pure l’idea di dare incoraggiamento e conforto. Proprio come doveva prepararsi bene per la lettura pubblica e l’insegnamento, Timoteo doveva impegnarsi con dedizione a consolare e incoraggiare i fratelli. (Vedi approfondimenti a Ro 12:8; Flp 2:1.)

incoraggiamento [...] consolazione Paolo qui usa due termini greci dal significato simile. Il sostantivo reso “incoraggiamento” (paràklesis) ha un significato ampio. Oltre che “incoraggiamento”, come qui e altrove (At 13:15; Eb 6:18), può essere reso “esortazione” (1Ts 2:3; 1Tm 4:13; Eb 12:5) o “conforto” (Ro 15:4; 2Co 1:3, 4; 2Ts 2:16). (Vedi approfondimento a Ro 12:8.) Il sostantivo reso “consolazione” (paramỳthion) deriva da un verbo che significa “consolare”, “tirare su di morale” oppure “parlare a qualcuno in modo amichevole”. (Confronta approfondimento a 1Co 14:3.) Sembra che Paolo intenda dire che, incoraggiandosi e consolandosi l’un l’altro, i filippesi saranno in grado di rafforzare il legame che tiene unita la congregazione (Flp 2:2).

lettura pubblica della Legge e dei Profeti Nel I secolo questa lettura pubblica veniva fatta “ogni Sabato” (At 15:21). Un aspetto dell’adorazione sinagogale era lo Shemà, la professione di fede degli ebrei (De 6:4-9; 11:13-21). Era così chiamato dalla parola iniziale del primo versetto recitato: “Ascolta [Shemàʽ], o Israele: Geova è il nostro Dio; c’è un solo Geova” (De 6:4). La parte più importante della funzione religiosa era la lettura della Torà, o Pentateuco. In molte sinagoghe la lettura della Legge era programmata in modo che venisse completata nel corso di un anno; in altre il programma durava tre anni. Venivano anche lette e spiegate porzioni dei Profeti. Alla fine della lettura pubblica veniva pronunciato un discorso. Fu dopo la lettura pubblica nella sinagoga di Antiochia di Pisidia che Paolo venne invitato a dire parole d’incoraggiamento ai presenti. (Vedi approfondimento a Lu 4:16.)

Non trascurare il dono che è in te Paolo ha in mente un dono che Geova aveva fatto a Timoteo tramite lo spirito santo. A quanto pare questo dono includeva il ruolo, o responsabilità, speciale che Timoteo aveva tra i servitori di Dio. Probabilmente ricevette questo dono quando Paolo visitò Listra durante il suo secondo viaggio missionario. A quel tempo venne fatta “una profezia” riguardo ai futuri incarichi di Timoteo, che in seguito diventò sorvegliante viaggiante e ricevette l’incarico di rimanere per qualche tempo a Efeso come sorvegliante (1Tm 1:3). Comunque Paolo sapeva che un dono non utilizzato è un dono sprecato. Quindi esortando Timoteo a non trascurare quel dono, o a non mostrare indifferenza al riguardo, Paolo gli ricordò che si trattava di qualcosa di veramente prezioso. Desiderava che Timoteo continuasse a considerare importante il suo dono svolgendo il suo incarico con determinazione ed entusiasmo. (Vedi anche 2Tm 1:6 e approfondimento.)

mediante una profezia Questa espressione può riferirsi a una delle profezie che erano state fatte sul conto di Timoteo quando Paolo aveva visitato Listra durante il suo secondo viaggio missionario. A quanto pare queste profezie avevano a che fare con il futuro ruolo di Timoteo all’interno della congregazione. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:18.) In questo modo fu evidente che era lo spirito di Geova a indicare cosa avrebbe dovuto fare Timoteo nel suo ministero. Di conseguenza, gli anziani di Listra accettarono volentieri che Timoteo intraprendesse il servizio speciale e partisse con Paolo (At 16:1-5).

il corpo degli anziani Qui Paolo usa il termine greco presbytèrion che si riferisce a un gruppo di anziani; questa parola è affine a quella spesso resa “anziano”. (Vedi Glossario, “anziano”.) In Lu 22:66 (vedi approfondimento) e At 22:5 (vedi approfondimento), il termine presbytèrion è stato tradotto con “assemblea degli anziani”, probabilmente in riferimento al Sinedrio giudaico. A quanto pare veniva anche usato per riferirsi a coloro che guidavano singole comunità ebraiche sparse in tutto l’impero romano. Questo versetto dimostra che i cristiani usavano lo stesso termine per indicare il gruppo di uomini spiritualmente maturi, o “anziani”, che guidava ogni singola congregazione. Altri passi biblici confermano che generalmente nelle congregazioni c’era più di un anziano. (Vedi approfondimenti ad At 14:23; 20:17; Flp 1:1.)

pose le mani su di te Vedi approfondimento ad At 6:6.

posero su di loro le mani Nelle Scritture Ebraiche il gesto di porre le mani su una persona o un animale poteva avere svariati significati (Gen 48:14; Le 16:21; 24:14). Se riguardava un essere umano, questo gesto di solito indicava un riconoscimento speciale nei suoi confronti o il fatto che fosse stato designato per un compito particolare (Nu 8:10). Ad esempio, Mosè pose le mani su Giosuè per riconoscerlo come suo successore. Di conseguenza Giosuè “fu pieno dello spirito di sapienza” e riuscì a guidare nel modo giusto il popolo d’Israele (De 34:9). Qui in At 6:6 si legge che gli apostoli posero le mani sugli uomini che avevano scelto perché ricoprissero incarichi di responsabilità. Fecero questo solo dopo aver pregato, dimostrando di ricercare la guida di Dio. Successivamente i componenti di un corpo di anziani affidarono a Timoteo uno speciale incarico di servizio ponendo le mani su di lui (1Tm 4:14). Timoteo a sua volta ricevette l’autorità di nominare altri ponendo le mani su di loro, cosa che avrebbe dovuto fare solo dopo aver valutato attentamente la loro idoneità (1Tm 5:22).

sorveglianti Qui Paolo usa il plurale del termine greco epìskopos per indicare quelli che avevano incarichi di responsabilità nella congregazione di Filippi. (Confronta At 20:28.) In un’altra sua lettera menziona il “corpo degli anziani” che aveva affidato a Timoteo un incarico speciale (1Tm 4:14). Dal momento che Paolo non si riferisce a una persona in particolare come se questa fosse l’unico sorvegliante, è chiaro che in quelle congregazioni ce n’era più di uno. Questo ci permette di capire il modo in cui erano organizzate le congregazioni del I secolo. Nelle Scritture Greche Cristiane le parole “sorvegliante” e “anziano” vengono usate scambievolmente, il che vuol dire che indicano lo stesso ruolo (At 20:17, 28; Tit 1:5, 7; confronta 1Pt 5:1, 2). In ogni congregazione il numero dei sorveglianti poteva variare in base a quanti uomini erano idonei, o spiritualmente maturi, per servire come “anziani” (At 14:23; vedi approfondimenti ad At 20:17, 28).

anziani Nella Bibbia il termine greco presbỳteros è usato soprattutto in riferimento a chi ha una posizione di autorità e di responsabilità all’interno di una comunità o di una nazione. Uomini anziani, o maturi, dal punto di vista spirituale avevano la responsabilità di guidare e amministrare le città dell’antica nazione d’Israele. In modo simile uomini anziani, o maturi, dal punto di vista spirituale prestavano servizio nelle congregazioni cristiane del I secolo. Questo brano relativo all’incontro tra Paolo e gli anziani di Efeso mostra chiaramente che in quella congregazione c’era più di un anziano. Il numero di anziani di ogni congregazione dipendeva dal numero di uomini che erano idonei perché spiritualmente maturi (1Tm 3:1-7; Tit 1:5-8). Quando Paolo scrisse la sua prima lettera a Timoteo, che a quel tempo viveva probabilmente a Efeso, fece menzione di un “corpo degli anziani” (1Tm 1:3; 4:14).

anziani Nella Bibbia il termine greco presbỳteros è usato soprattutto in riferimento a chi ha una posizione di autorità e di responsabilità all’interno di una comunità o di una nazione, anche se in alcuni casi denota uomini di età avanzata. (Vedi approfondimento a Mt 16:21.) Proprio come uomini anziani e maturi avevano la responsabilità di guidare e amministrare l’antica nazione d’Israele a livello di comunità, così uomini spiritualmente maturi prestavano servizio nelle congregazioni cristiane del I secolo (1Tm 3:1-7; Tit 1:5-9). Nonostante fossero stati “mandati dallo spirito santo” in quel viaggio missionario, Paolo e Barnaba, quando fecero nomine di anziani, si dedicarono comunque alla preghiera e al digiuno. Poi “affidarono a Geova” quegli anziani (At 13:1-4; 14:23). Si dice che, oltre a Paolo e Barnaba, anche Tito ebbe una parte nel fare nomine di “anziani” nelle congregazioni, ed evidentemente si può dire lo stesso di Timoteo (Tit 1:5; 1Tm 5:22). Non si legge mai che le congregazioni facessero queste nomine in modo indipendente. A quanto pare le congregazioni del I secolo avevano un certo numero di anziani che servivano insieme in funzione di “corpo degli anziani” (1Tm 4:14; Flp 1:1).

assemblea degli anziani O “consiglio (corpo) degli anziani”. Il termine greco presbytèrion che compare qui è affine al termine presbỳteros (lett. “anziano”), che nella Bibbia si riferisce principalmente a chi ha una posizione di autorità e di responsabilità all’interno di una comunità o di una nazione. Anche se a volte denota l’età anagrafica (come in Lu 15:25 e At 2:17), presbỳteros non indica solo chi è avanti con gli anni. A quanto pare qui l’espressione “assemblea degli anziani” si riferisce al Sinedrio, la corte suprema giudaica che si trovava a Gerusalemme e che era composta da capi sacerdoti, scribi e anziani. Questi tre gruppi vengono spesso menzionati insieme (Mt 16:21; 27:41; Mr 8:31; 11:27; 14:43, 53; 15:1; Lu 9:22; 20:1; vedi approfondimento a Lu 22:66).

assemblea degli anziani O “consiglio (corpo) degli anziani”. Il termine greco presbytèrion che compare qui è affine al termine presbỳteros (lett. “anziano”), che nella Bibbia si riferisce principalmente a chi ha una posizione di autorità e di responsabilità all’interno di una comunità o di una nazione. Anche se a volte denota l’età anagrafica (come in Lu 15:25 e At 2:17), presbỳteros non indica solo chi è avanti con gli anni. A quanto pare qui l’espressione “assemblea degli anziani” si riferisce al Sinedrio, la corte suprema giudaica che si trovava a Gerusalemme e che era composta da capi sacerdoti, scribi e anziani. Questi tre gruppi vengono spesso menzionati insieme (Mt 16:21; 27:41; Mr 8:31; 11:27; 14:43, 53; 15:1; Lu 9:22; 20:1; vedi Glossario, “anziano”, e l’approfondimento nella sala del loro Sinedrio in questo versetto).

in armonia con le profezie che furono fatte riguardo a te Paolo ricorda a Timoteo le profezie che erano state fatte sul suo conto e a quanto pare sul suo futuro ruolo all’interno della congregazione. Queste profezie furono pronunciate per opera dello spirito di Dio. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:14.) Paolo dice che sulla base di quelle, cioè sulla base delle profezie, Timoteo poteva combattere la guerra spirituale contro i falsi maestri. È perciò probabile che quelle profezie su Timoteo includessero l’autorizzazione a svolgere il suo incarico.

il dono di Dio Come nella lettera precedente, Paolo parla nuovamente di un dono che Timoteo aveva ricevuto in passato. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:14.) Alcuni dettagli, però, sono differenti. Qui Paolo dice che fu lui a imporre le mani su Timoteo, non il corpo degli anziani, come dice nella prima lettera; lì inoltre si fa riferimento a una profezia. Pertanto non è dato sapere se si sta riferendo sempre allo stesso episodio o a un altro. In ogni caso, il dono di cui parla Paolo sembra riguardare un dono dello spirito santo: a Timoteo era stata impartita una qualche speciale capacità che gli permise di portare avanti il suo incarico.

Medita O “pondera”. Qui Paolo mette in risalto l’importanza della meditazione. L’espressione queste cose può riferirsi ai consigli di Paolo riportati nei vv. 12-14 sul comportamento di Timoteo, il suo ministero e l’insegnamento che impartiva, oppure alla lettera nel suo insieme. Anche le Scritture Ebraiche sottolineano quanto sia importante che i servitori di Geova riflettano profondamente sulle loro azioni e sulla loro amicizia con lui (Sl 1:2 e nt.; 63:6; 77:12; 143:5). Per esempio in Gsè 1:8, riguardo al “libro della Legge”, Geova dice a Giosuè: “Lo devi leggere sottovoce [o “devi meditare su di esso”, nt.] giorno e notte”. Il verbo ebraico presente in questo versetto suggerisce anche l’idea di leggere a una velocità che permetta di riflettere in modo profondo. Nella Settanta, in Gsè 1:8 compare lo stesso verbo usato da Paolo qui in 1Tm 4:15. Come Giosuè, anche Timoteo doveva continuare a meditare sulle Scritture quotidianamente per non fermare la sua crescita spirituale e per svolgere con maggiore efficacia il suo incarico.

dèdicati interamente a esse Lett. “sii dentro di esse”. Questa espressione trasmette l’idea di essere immersi, completamente impegnati, in un’attività. Al riguardo, un commentario dice: “La mente deve essere immersa [nelle attività menzionate nei versetti precedenti] come il corpo lo è nell’aria che respira”.

affinché il tuo progresso sia chiaramente visibile a tutti Paolo desidera che Timoteo continui a progredire spiritualmente negli ambiti che ha appena menzionato. Coloro che avrebbero notato i progressi di Timoteo sarebbero stati ispirati dal suo esempio, e la loro fiducia nei suoi confronti sarebbe aumentata (1Tm 4:12-16). Timoteo avrebbe dovuto agire spinto non dal desiderio di mettersi in mostra o di far colpo sugli altri, ma dalla volontà di aiutare la congregazione (Ro 12:3; 1Co 4:7; 13:4).

Presta costante attenzione a te stesso Paolo è molto interessato al benessere spirituale di Timoteo e vuole che stia alla larga da qualsiasi cosa possa fargli perdere la vita eterna. Qualche anno prima Paolo aveva incontrato gli anziani di Efeso e aveva esortato anche loro dicendo: “Prestate attenzione a voi stessi”. Con quelle parole aveva messo in risalto la necessità che i sorveglianti rimanessero forti spiritualmente ed evitassero di fare troppo affidamento su sé stessi (At 20:17, 28 e approfondimento).

Persevera in queste cose Paolo conclude in modo vigoroso la serie di consigli che dà a Timoteo su come essere “un eccellente ministro di Cristo Gesù” (1Tm 4:6-16). È suo desiderio che Timoteo continui a fare quattro azioni specifiche menzionate nei vv. 15 e 16; gli dice infatti: “medita”, “dèdicati interamente”, “presta costante attenzione” e “persevera”. A proposito dei consigli paterni che qui Paolo dà a Timoteo, un’opera di consultazione fa il seguente commento: “Questi due versetti [...] danno forse il tocco personale più intenso all’epistola”.

Prestate attenzione a O “vegliate su”. Geova ha a cuore le pecore del suo gregge perché le ha acquistate con il prezioso “sangue del proprio Figlio”. Non avrebbe potuto pagare prezzo più alto. Gli anziani umili tengono sempre presente quanto Geova ami le sue pecore e vegliano quindi sul benessere di ogni componente del gregge (1Pt 5:1-3).

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