Atti degli Apostoli 9:1-43
Note in calce
Approfondimenti
Saulo Significa “chiesto [a Dio]”. Saulo, noto anche con il nome romano Paolo, era “della tribù di Beniamino, ebreo nato da ebrei” (Flp 3:5). Aveva la cittadinanza romana fin dalla nascita (At 22:28), quindi potrebbe essere logico concludere che siano stati i suoi genitori ebrei a dargli il nome romano Paolo (Paulus), che significa “piccolo”. È probabile che sin dall’infanzia avesse entrambi i nomi. I suoi genitori potrebbero averlo chiamato Saulo per vari motivi. Per tradizione Saulo, o Saul, era un nome importante tra i beniaminiti perché il primo re che regnò su tutto Israele, un beniaminita, si chiamava Saul (1Sa 9:2; 10:1; At 13:21). Oppure i suoi genitori potrebbero aver scelto questo nome a motivo del significato. Un’altra possibilità è che il padre si chiamasse Saulo, e secondo la tradizione al figlio maschio veniva dato il nome del padre. (Confronta Lu 1:59.) Indipendentemente da quale fosse il motivo per cui ricevette questo nome ebraico, Saulo lo avrà usato quando si trovava con altri ebrei, e soprattutto nel periodo in cui studiò per diventare fariseo e visse come tale (At 22:3). Per più di un decennio dopo la sua conversione al cristianesimo continuò a essere chiamato principalmente con il suo nome ebraico (At 11:25, 30; 12:25; 13:1, 2, 9).
Caiafa O “Caifa”. Fu nominato sommo sacerdote dai romani e conservò l’incarico più a lungo di tutti gli immediati predecessori grazie alla sua abile diplomazia. Venne nominato intorno al 18 E.V. e rimase in carica fino al 36 circa. Fu lui a interrogare Gesù e a consegnarlo a Pilato (Mt 26:3, 57; Gv 11:49; 18:13, 14, 24, 28). Questo è l’unico punto del libro degli Atti in cui viene menzionato per nome. Altrove in Atti se ne parla semplicemente come del “sommo sacerdote” (At 5:17, 21, 27; 7:1; 9:1).
Saulo Vedi approfondimento ad At 7:58.
sommo sacerdote Cioè Caiafa. (Vedi approfondimento ad At 4:6.)
via di Geova Nel versetto successivo è usata un’espressione dal significato equivalente (“via di Dio”). La vita di un cristiano è incentrata sull’adorazione dell’unico vero Dio, Geova, e sulla fede in suo Figlio, Gesù Cristo. Il libro degli Atti fa riferimento a questo modo di vivere definendolo semplicemente ‘la Via’ (At 19:9, 23; 22:4; 24:22; vedi approfondimento ad At 9:2). Inoltre l’espressione “via di Geova” compare quattro volte nei Vangeli come parte di una citazione di Isa 40:3. (Vedi approfondimenti a Mt 3:3; Mr 1:3; Lu 3:4; Gv 1:23.) In Isa 40:3, nell’originale ebraico compare il Tetragramma. L’espressione “via di Geova” ricorre anche in Gdc 2:22 e “vie di Geova” in Ger 5:4, 5. (Vedi approfondimento ad At 19:23 e App. C3 introduzione; At 18:25.)
Via Come spiegato nell’approfondimento ad At 9:2, “la Via” era un appellativo usato in riferimento alla congregazione cristiana delle origini. Il vero cristianesimo non ha a che fare con le apparenze o con una mera adorazione formale. È piuttosto una via da percorrere, un modo di vivere incentrato sull’adorazione a Dio e guidato dal suo spirito (Gv 4:23, 24). Qui la Pescitta siriaca legge “via di Dio”, la recensione clementina della Vulgata latina riporta “via del Signore”, mentre alcune traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane (definite J17, 18 nell’App. C4) usano il nome divino e dicono “via di Geova”.
lettere Nel I secolo era comune affidarsi a lettere scritte da persone attendibili che, all’arrivo di uno sconosciuto, lo presentavano e ne confermavano l’identità o l’autorità (Ro 16:1; 2Co 3:1-3). Gli ebrei che erano a Roma fecero riferimento a questo mezzo di comunicazione (At 28:21). Le lettere indirizzate alle sinagoghe di Damasco che Saulo chiese al sommo sacerdote lo avrebbero autorizzato a perseguitare gli ebrei cristiani in quella città (At 9:1, 2). A quanto pare in queste lettere si chiedeva che le sinagoghe di Damasco sostenessero Saulo nella sua campagna contro i cristiani.
Damasco Si dice che Damasco, ubicata nell’attuale Siria, sia tra le città più antiche del mondo che furono abitate ininterrottamente sin dalla fondazione. Il patriarca Abraamo potrebbe essere passato per questa città o nelle vicinanze mentre era diretto a S, verso Canaan. In un momento non precisato “un uomo di Damasco”, Eliezer, fu scelto da Abraamo perché diventasse servitore della sua casa (Gen 15:2). Quasi un millennio dopo, Damasco compare nuovamente nel racconto biblico. (Vedi Glossario, “Aram, aramei”.) In quel periodo i siri (aramei) erano in guerra con Israele, e le due nazioni diventarono avversarie (1Re 11:23-25). Nel I secolo, Damasco faceva parte della provincia romana della Siria; ospitava una comunità ebraica, che forse contava circa 20.000 persone, e aveva diverse sinagoghe. Saulo potrebbe aver preso di mira i cristiani che vivevano a Damasco perché la città era lo snodo di importanti vie di comunicazione, e temeva quindi che da lì gli insegnamenti dei cristiani potessero diffondersi rapidamente. (Vedi App. B13.)
Via Appellativo usato nel libro degli Atti in riferimento al modo di vivere dei cristiani e alla congregazione cristiana delle origini. Potrebbe essere nato dall’affermazione di Gesù riportata in Gv 14:6: “Io sono la via”. Di quelli che diventavano discepoli di Gesù si diceva che appartenevano alla “Via”: seguivano la via tracciata da Gesù, il modo di vivere che aveva insegnato con il suo esempio (At 19:9). La sua vita era stata incentrata sull’adorazione dell’unico vero Dio, Geova. Il modo di vivere dei cristiani era imperniato anche sulla fede in Gesù Cristo. Qualche tempo dopo il 44, ad Antiochia di Siria, i discepoli di Gesù “furono per volontà divina chiamati cristiani” (At 11:26). Comunque Luca continuò a chiamare la congregazione “Via” o “questa Via” anche dopo l’introduzione del nuovo nome (At 19:23; 22:4; 24:22; vedi approfondimenti ad At 18:25; 19:23).
non sentivano la voce O “non comprendevano la voce”. In At 9:3-9, Luca descrive quello che successe a Paolo sulla strada per Damasco. I due brani forniscono insieme un quadro completo di come andarono le cose. Come spiegato nell’approfondimento ad At 9:7, gli uomini che erano con Paolo sentirono “il suono di una voce”, ma a quanto pare non furono in grado di distinguere le parole pronunciate; non riuscirono a sentire quella voce nel modo in cui la sentì Paolo. Questo è in armonia con l’uso che viene fatto del termine greco per “sentire” in At 22:7, dove Paolo dice: “Sentii una voce”. In quel versetto il testo originale lascia intendere che Paolo fu in grado sia di distinguere che di capire le parole pronunciate. Al contrario, quelli che viaggiavano con Paolo non afferrarono il messaggio che gli fu trasmesso, forse perché la voce era smorzata o distorta. A quanto pare è in questo senso che “non sentivano la voce”. (Confronta Mr 4:33; 1Co 14:2, dove lo stesso termine greco per “sentire” è reso “capire”.)
sentivano [...] il suono di una voce In At 22:6-11 è Paolo stesso a raccontare quello che successe sulla strada per Damasco. L’episodio narrato da Paolo e la descrizione contenuta qui in At 9:7 forniscono insieme un quadro completo di come andarono le cose. Nelle due narrazioni il termine greco utilizzato è lo stesso, ma ha funzioni diverse. La parola greca fonè può essere tradotta sia “suono” che “voce”. Qui è al genitivo ed è resa “suono di una voce”. In At 22:9, invece, è all’accusativo ed è resa “voce”. Si può quindi concludere che gli uomini che erano con Paolo sentirono il suono di una voce, ma a quanto pare non furono in grado di distinguere e di capire le parole pronunciate; non riuscirono a sentire quella voce nel modo in cui la sentì Paolo (At 26:14; vedi approfondimento ad At 22:9).
strada chiamata Diritta Questa è l’unica strada menzionata per nome nelle Scritture Greche Cristiane. Si pensa che fosse la strada principale che correva da E a O attraversando Damasco, città che nel I secolo aveva una pianta reticolare. Questa strada era all’incirca lunga 1,5 km e larga 26 m; includeva corsie per chi si spostava a piedi e forse era delimitata da colonne. Una strada principale attraversa ancora oggi quella che era la città romana e segue il percorso dell’antica Via Diritta.
in una visione Queste parole sono riportate in diversi manoscritti antichi.
arrestare O “mettere in prigione”. Lett. “legare”, “mettere in legami”. (Confronta Col 4:3, dove lo stesso verbo originale è reso con l’espressione “trovarsi in prigione”.)
figli d’Israele O “popolo d’Israele”, “israeliti”. (Vedi Glossario, “Israele”.)
grandi cesti O “cesti da provviste”. Sembra che il termine greco qui usato, sfyrìs, denoti un tipo di cesto più grande del tipo usato in una precedente occasione, quando Gesù aveva sfamato circa 5.000 uomini. (Vedi approfondimento a Mt 14:20.) Lo stesso termine greco designa la “cesta” che i discepoli usarono per calare Paolo attraverso un’apertura nelle mura di Damasco. (Vedi approfondimento ad At 9:25.)
cesta Luca qui usa il greco sfyrìs, termine utilizzato anche nei Vangeli di Matteo e Marco in riferimento ai sette grandi cesti in cui furono raccolti gli avanzi dopo che Gesù ebbe sfamato 4.000 uomini (Mt 15:37). (Vedi approfondimento a Mt 15:37.) Sfyrìs designa un cesto di grandi dimensioni. Nel raccontare ai cristiani di Corinto della sua fuga, l’apostolo Paolo usò la parola greca sargàne, che indica una “cesta di vimini”, di corde o di ramoscelli intrecciati (2Co 11:32, 33; nt.). Entrambi questi termini greci possono indicare lo stesso tipo di grande cesto.
spostandosi liberamente O “svolgendo la sua vita quotidiana”. Lett. “entrando e uscendo”. Questa locuzione riflette un’espressione idiomatica semitica che include l’idea di svolgere liberamente le normali attività della vita o di passare del tempo insieme ad altre persone senza alcun tipo di impedimento. (Confronta De 28:6, 19; Sl 121:8, nt.; vedi approfondimento ad At 1:21.)
ha svolto la sua attività tra noi Lett. “è entrato e uscito da noi”, locuzione che riflette un’espressione idiomatica semitica che si riferisce allo svolgere le attività della vita insieme ad altre persone. L’espressione potrebbe anche essere resa “ha vissuto fra noi”. (Confronta De 28:6, 19; Sl 121:8, nt.)
giudei di lingua greca Lett. “ellenisti”. Molto probabilmente si trattava di giudei che comunicavano in greco invece che in ebraico. Verosimilmente erano giunti a Gerusalemme da diverse parti dell’impero romano. In At 6:1 il termine originale si riferisce a cristiani, ma il contesto di At 9:29 mostra che questi giudei di lingua greca non erano discepoli di Cristo. L’iscrizione di Teodoto, rinvenuta sull’Ofel (colle di Gerusalemme), conferma la presenza di molti ebrei di lingua greca a Gerusalemme. (Vedi approfondimento ad At 6:1.)
giudei di lingua greca Lett. “ellenisti”. Il termine greco Hellenistès non si trova nella letteratura greca né in quella ebraico-ellenistica, ma il contesto avvalora la resa “giudei di lingua greca”, come fanno pure molti lessici. A quel tempo tutti i discepoli cristiani a Gerusalemme, inclusi quelli che parlavano greco, avevano origini ebraiche o erano proseliti che si erano convertiti al giudaismo (At 10:28, 35, 44-48). Il termine per “giudei di lingua greca” è usato in contrapposizione a quello reso “giudei di lingua ebraica” (lett. “ebrei”, plurale del termine greco Ebràios). Gli “ellenisti” erano dunque giudei che tra di loro parlavano greco e che erano giunti a Gerusalemme da diverse parti dell’impero romano, compresa forse la Decapoli. La maggioranza dei giudei di lingua ebraica, invece, era probabilmente originaria della Giudea e della Galilea. È possibile che questi due gruppi di cristiani avessero un retaggio culturale alquanto diverso. (Vedi approfondimento ad At 9:29.)
timore di Geova Questa espressione, che è una combinazione del termine ebraico per “timore” e del Tetragramma, ricorre spesso nelle Scritture Ebraiche. (Alcuni esempi si trovano in 2Cr 19:7, 9; Sl 19:9; 111:10; Pr 2:5; 9:10; 10:27; 19:23; Isa 11:2, 3.) L’espressione “timore del Signore”, invece, non ricorre mai nelle Scritture Ebraiche. Nelle App. C1 e C3 introduzione e At 9:31 si trovano le ragioni per cui la Traduzione del Nuovo Mondo usa l’espressione “timore di Geova” nel testo di At 9:31 nonostante la maggioranza dei manoscritti greci riporti “timore del Signore”.
Tabita Il nome aramaico Tabita equivale a Gazzella e a quanto pare corrisponde a un termine ebraico (tseviyàh) che si riferisce alla femmina della gazzella (Ca 4:5; 7:3). Anche il nome greco Dorcas si può tradurre “Gazzella”. È possibile che in una città portuale come Ioppe, abitata sia da ebrei che da non ebrei, Tabita fosse chiamata con entrambi i nomi (Tabita e Dorcas), a seconda della lingua che si stava parlando. Un’altra possibilità è che Luca abbia tradotto il nome di questa donna a beneficio dei lettori non ebrei.
mantelli Sembra che il termine greco himàtion indicasse una veste dalla linea morbida; più spesso però denotava un pezzo di stoffa rettangolare.
Tabita, alzati! Pietro seguì una procedura simile a quella usata da Gesù quando risuscitò la figlia di Iairo (Mr 5:38-42; Lu 8:51-55). Questa è la prima risurrezione compiuta da un apostolo di cui si abbia notizia, in seguito alla quale molti diventarono credenti in tutta Ioppe (At 9:39-42).
un conciatore di pelli di nome Simone Vedi approfondimento ad At 10:6.
Simone, un conciatore di pelli I conciatori lavoravano le pelli di animali. Utilizzavano una soluzione di calce per eliminare peli e residui di carne e grasso, e poi trattavano la pelle con una potente soluzione in grado di trasformarla in cuoio. La concia sprigionava cattivi odori; richiedeva inoltre una notevole quantità di acqua, il che potrebbe spiegare perché Simone viveva presso il mare, probabilmente fuori da Ioppe. Secondo la Legge mosaica, chi lavorava a contatto con carcasse di animali era cerimonialmente impuro (Le 5:2; 11:39). Per questo motivo, molti ebrei disprezzavano i conciatori e difficilmente avrebbero alloggiato a casa di uno di loro. Il Talmud avrebbe in seguito relegato i conciatori a un gradino inferiore rispetto ai raccoglitori di sterco. Comunque, Pietro non lasciò che il pregiudizio gli impedisse di stare da Simone. L’apertura mentale che dimostrò in questa circostanza gli permise di essere pronto per l’incarico che stava per ricevere: andare a casa di un non ebreo. Alcuni studiosi ritengono che il termine greco per “conciatore di pelli” (byrsèus) sia un soprannome di Simone.
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Nel I secolo la città di Damasco probabilmente aveva una pianta simile a quella riprodotta qui. Il commercio era fiorente, e le acque del fiume Barada (l’Abana di 2Re 5:12) rendevano l’area intorno alla città simile a un’oasi. Damasco contava varie sinagoghe. Saulo venne in questa città con l’intenzione di arrestare “tutti gli appartenenti alla Via”, espressione usata per descrivere i discepoli di Gesù (At 9:2; 19:9, 23; 22:4; 24:22). Ma sulla via di Damasco gli apparve il glorificato Gesù. Dopo questo episodio, Saulo rimase per un periodo a Damasco, nella casa di un uomo di nome Giuda che viveva sulla strada chiamata Diritta (At 9:11). In una visione, Gesù diresse il discepolo Anania alla casa di Giuda per far recuperare la vista a Saulo, che in seguito fu battezzato. E così, invece di arrestare gli ebrei cristiani, Saulo divenne uno di loro. Cominciò a predicare la buona notizia proprio nelle sinagoghe di Damasco. Dopo aver viaggiato fino all’Arabia e poi di nuovo a Damasco, Saulo fece ritorno a Gerusalemme, probabilmente intorno all’anno 36 (At 9:1-6, 19-22; Gal 1:16, 17).
A. Damasco
1. Strada per Gerusalemme
2. Strada chiamata Diritta
3. Agorà
4. Tempio di Giove
5. Teatro
6. Odeon (?)
B. Gerusalemme

Mentre si avvicina a Damasco, Saulo cade a terra accecato da una luce sfolgorante. Sente poi una voce dire: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9:3, 4; 22:6-8; 26:13, 14). Gesù impedisce a Saulo di raggiungere il suo intento: arrestare i discepoli di Gesù a Damasco e portarli legati a Gerusalemme perché siano sottoposti a processo. Il viaggio di circa 240 km che Saulo ha intrapreso da Gerusalemme si rivela del tutto diverso dalle sue aspettative. Le parole di Gesù cambiano radicalmente Saulo (in seguito conosciuto con il nome romano Paolo), che da accanito persecutore dei cristiani diventa uno dei più intrepidi difensori del cristianesimo. Il libro degli Atti descrive nei dettagli il ministero compiuto con zelo da Paolo.

Tarso, da cui proveniva Saulo (in seguito noto come l’apostolo Paolo), era la città principale della Cilicia, regione a sud-est dell’Asia Minore, oggi parte della Turchia (At 9:11; 22:3). Tarso era una grande città dedita al commercio, situata strategicamente lungo un’importante arteria commerciale che attraversava il paese in direzione EO passando tra i monti del Tauro e le Porte Cilicie (una stretta gola solcata da una carovaniera). La città vantava inoltre un porto che collegava il fiume Cidno con il Mediterraneo. Tarso era un centro della cultura greca e ospitava una consistente comunità ebraica. In questa foto si possono vedere alcuni resti preservati nella moderna città di Tarso, situata a circa 16 km dal punto in cui il fiume Cidno (odierno Tarso) si riversa nel Mediterraneo. Nel corso della storia, vari personaggi di rilievo visitarono la città, tra i quali Marco Antonio, Cleopatra, Giulio Cesare e diversi imperatori. Cicerone, uomo politico e scrittore latino, fu governatore della città dal 51 al 50 a.E.V. Nel I secolo Tarso era un centro del sapere e, stando al geografo greco Strabone, superava addirittura Atene e Alessandria. Si comprende perché Paolo l’abbia descritta come “una città non certo sconosciuta” (At 21:39).

L’ampio sistema viario romano aiutò i primi cristiani a diffondere la buona notizia per tutto l’impero. Senza dubbio l’apostolo Paolo percorse molti chilometri su quelle strade (Col 1:23). Il disegno riprodotto qui illustra il metodo di costruzione tipico di una via lastricata romana. Per prima cosa veniva tracciato il percorso. Poi veniva effettuato uno scavo che era riempito con strati di pietre, calce e sabbia a formare la fondazione della strada. Infine il tutto veniva lastricato, e ai margini si inserivano delle pietre per mantenere la pavimentazione al suo posto. I materiali utilizzati e l’inclinazione della strada sui due fianchi permettevano all’acqua di scorrere via dalla superficie. Disposti a intervalli lungo i margini, degli scarichi consentivano all’acqua di defluire nei fossi che correvano paralleli alla strada. Alcune di queste opere mirabili hanno resistito alla prova del tempo. La maggior parte delle strade dell’impero, comunque, non era così sofisticata. Il modello più comune era composto semplicemente da ghiaia compattata.

L’epigrafe che appare nella foto è nota come Iscrizione di Teodoto. Incisa su una lastra di pietra calcarea (lunga 72 cm e larga 42), fu rinvenuta agli inizi del XX secolo sull’Ofel, colle di Gerusalemme. Il testo, scritto in greco, parla di Teodoto come di un sacerdote che “edificò la sinagoga per la lettura della Legge e l’insegnamento dei Precetti” (E. Gabba, Iscrizioni greche e latine per lo studio della Bibbia, Marietti, Torino, 1958, p. 81). L’iscrizione, ritenuta anteriore alla distruzione di Gerusalemme del 70, conferma la presenza di ebrei di lingua greca a Gerusalemme nel I secolo (At 6:1). Secondo alcuni, la sinagoga menzionata sarebbe la “cosiddetta Sinagoga dei Liberti” (At 6:9). L’iscrizione afferma che Teodoto, come pure suo padre e suo nonno, aveva il titolo di archisinagogo, in greco archisynàgogos (“capo della sinagoga”), titolo che compare varie volte nelle Scritture Greche Cristiane (Mr 5:35; Lu 8:49; At 13:15; 18:8, 17). Afferma inoltre che Teodoto edificò alloggi per coloro che arrivavano in città da altri luoghi. Probabilmente ci si riferisce agli alloggi usati dagli ebrei che giungevano a Gerusalemme da fuori città, in particolare in occasione delle feste annuali (At 2:5).

Questo video mostra il porto di Ioppe, situato sulla costa del Mediterraneo, a metà strada tra il monte Carmelo e Gaza. Nel 1950 l’attuale Giaffa fu inglobata da Tel Aviv. Oggi Tel Aviv-Giaffa è ubicata sull’antico sito. Ioppe sorgeva su una collina rocciosa a 35 m circa sul livello del mare; il suo porto naturale è formato da una bassa scogliera distante circa 100 m dalla costa. I tiri fecero scendere fino a Ioppe zattere di legname preso dalle foreste del Libano da usare per la costruzione del tempio di Salomone (2Cr 2:16). Successivamente il profeta Giona, nel tentativo di sottrarsi al suo incarico, andò a Ioppe e da lì si imbarcò per Tarsis (Gna 1:3). Nel I secolo a Ioppe c’era una congregazione cristiana. Faceva parte di quel gruppo Gazzella (Tabita), che fu risuscitata da Pietro (At 9:36-42). E fu mentre si trovava a Ioppe, a casa di Simone il conciatore, che Pietro ricevette la visione che lo spinse a predicare al non ebreo Cornelio (At 9:43; 10:6, 9-17).

Alcune case in Israele avevano un piano superiore. A questo ambiente si accedeva o dall’interno tramite una scala a pioli o degli scalini di legno, oppure dall’esterno tramite una scala a pioli o una scala di pietra. Fu in una grande stanza al piano di sopra, probabilmente simile a quella raffigurata qui, che Gesù celebrò l’ultima Pasqua con i suoi discepoli e istituì la commemorazione della Cena del Signore (Lu 22:12, 19, 20). Il giorno di Pentecoste del 33, i circa 120 discepoli su cui fu versato lo spirito di Dio erano radunati a quanto pare nella stanza al piano di sopra di una casa di Gerusalemme (At 1:13, 15; 2:1-4).

Nei tempi biblici gli abiti erano tra le cose più importanti che una persona poteva possedere. Gazzella fu una donna generosa che fece “tuniche” e “mantelli” per le vedove (At 9:39). Il termine greco reso “tunica” (chitòn) si riferisce a un indumento che veniva indossato a contatto con la pelle (1). Secondo l’usanza greco-romana, le tuniche indossate dalle donne di solito arrivavano alle caviglie mentre quelle indossate dagli uomini erano più corte. Il termine greco reso “mantello” (himàtion) indica un capo che in genere veniva portato sopra alla tunica (2).