Lettera ai Galati 1:1-24
Note in calce
Approfondimenti
Lettera ai Galati A quanto pare intestazioni come questa non facevano parte del testo originale. Antichi manoscritti, come il codice papiraceo chiamato P46, dimostrano che furono introdotte successivamente, senza dubbio per identificare con facilità le varie lettere. (Vedi Galleria multimediale, “Lettera di Paolo ai Galati”.) Altri antichi manoscritti, come il codice Vaticano e il codice Sinaitico, datati entrambi al IV secolo, contengono lo stesso titolo che compare nel codice P46.
alle congregazioni della Galazia Quando durante il suo primo viaggio missionario intorno al 47-48 attraversò la Galazia (vedi l’approfondimento Galazia in questo versetto), Paolo si fermò con Barnaba in alcune città della parte meridionale della regione, come Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe (At 13:14, 51; 14:1, 5, 6). Dal momento che in queste città i due trovarono molte persone che desideravano conoscere la buona notizia, vi fondarono delle congregazioni (At 14:19-23). Sembra che i semi del cristianesimo seminati tra i galati portarono frutto. Timoteo ad esempio veniva dalla Galazia (At 16:1). Le “congregazioni della Galazia” a cui Paolo scrisse erano formate da ebrei e non ebrei; questi ultimi in parte erano proseliti circoncisi e in parte gentili incirconcisi (At 13:14, 43; 16:1; Gal 5:2), alcuni dei quali erano senza dubbio di origine celtica, o gallica. Le congregazioni di questa regione vengono menzionate anche in altre lettere delle Scritture Greche Cristiane. Per esempio, quando intorno al 55 scrisse ai corinti e li incoraggiò a mettere da parte qualcosa per i poveri, Paolo fece riferimento alle istruzioni che aveva dato “alle congregazioni della Galazia” (1Co 16:1, 2; Gal 2:10); alcuni anni dopo (ca. 62-64) Pietro menzionò i “residenti temporanei dispersi [...] nella Galazia” tra i destinatari della sua prima lettera (1Pt 1:1; vedi approfondimento a Gal 3:1).
Galazia Nel I secolo con il termine “Galazia” si intendeva sia la regione sia la provincia romana che occupava la parte centrale dell’attuale Asia Minore.
galati A quanto pare qui Paolo si riferisce ai cristiani delle congregazioni che si trovavano nelle parti meridionali della Galazia dove aveva predicato. (Vedi approfondimento a Gal 1:2.)
Possiate avere immeritata bontà e pace Questo è il saluto che Paolo rivolge in 11 delle sue lettere (1Co 1:3; 2Co 1:2; Gal 1:3; Ef 1:2; Flp 1:2; Col 1:2; 1Ts 1:1; 2Ts 1:2; Tit 1:4; Flm 3). Usa un saluto simile nelle sue lettere a Timoteo, ma aggiungendo la qualità della “misericordia” (1Tm 1:2; 2Tm 1:2). Gli studiosi fanno notare che, invece di usare chàirein, la comune formula resa “Saluti!”, Paolo spesso usa chàris, un termine greco dal suono simile, con cui esprime il desiderio che le congregazioni possano godere di “immeritata bontà” in abbondanza. (Vedi approfondimento ad At 15:23.) Il fatto che venga usato il termine “pace” rispecchia la comune formula di saluto ebraica shalòhm. (Vedi approfondimento a Mr 5:34.) A quanto pare, usando l’espressione “immeritata bontà e pace”, Paolo sottolinea il nuovo legame che i cristiani hanno con Geova Dio grazie al riscatto. Nel descrivere da chi provengono immeritata bontà e pace, Paolo menziona Dio nostro Padre separatamente dal Signore Gesù Cristo.
Possiate avere immeritata bontà e pace Vedi approfondimento a Ro 1:7.
questo sistema di cose Il termine greco aiòn qui presente significa fondamentalmente “(periodo di) tempo”, “epoca”. Può riferirsi allo stato delle cose o alle caratteristiche che contraddistinguono un certo periodo di tempo, un’epoca o un’era. (Vedi Glossario, “sistema di cose”.) Dal momento che “questo sistema di cose” è in suo dominio, Satana lo ha modellato a suo piacimento conferendogli certe caratteristiche e uno spirito distintivo (Ef 2:1, 2).
sistema di cose Il termine greco qui presente (aiòn) significa fondamentalmente “(periodo di) tempo”, “epoca”. Può riferirsi allo stato delle cose o alle caratteristiche che contraddistinguono un certo periodo di tempo, un’epoca o un’era (2Tm 4:10; vedi Glossario). Quello che Paolo qui definisce “attuale sistema di cose malvagio” ebbe evidentemente inizio qualche tempo dopo il diluvio, quando fra gli esseri umani cominciò ad affermarsi un modo di vivere ingiusto, caratterizzato dal peccato e dalla ribellione a Dio e alla sua volontà. I primi cristiani vivevano in quel predominante “sistema di cose malvagio” ma non ne facevano parte. Grazie al sacrificio di riscatto di Gesù Cristo, infatti, ne erano stati liberati. (Vedi approfondimento a 2Co 4:4.)
Amen O “così sia”, “di sicuro”. Il greco amèn è la traslitterazione di un termine ebraico che deriva da ʼamàn, radice ebraica che vuol dire “essere fedele”, “essere degno di fiducia”. (Vedi Glossario.) Si usava dire “amen” per indicare che si era d’accordo con un giuramento, una preghiera o una dichiarazione. Gli scrittori delle Scritture Greche Cristiane spesso usavano questo termine per confermare un’espressione di lode a Dio appena pronunciata, come fa in questo caso Paolo (Ro 16:27; Ef 3:21; 1Pt 4:11). In altri casi, quando lo scrittore esprimeva il desiderio che Dio mostrasse favore ai destinatari della lettera, ricorreva a questo termine per sottolineare quanto detto (Ro 15:33; Eb 13:20, 21). Lo si usava anche per avvalorare con enfasi una dichiarazione appena fatta (Ri 1:7; 22:20).
Amen Vedi approfondimento a Ro 1:25.
Galati insensati! Il termine greco reso “insensati” (anòetos) non significa necessariamente che i cristiani della Galazia fossero mentalmente limitati. In questo contesto denota incapacità di comprendere per mancanza di volontà. Paolo ha appena ricordato a quei cristiani che se sono stati dichiarati giusti non è perché hanno osservato la Legge, ma perché hanno riposto fede in Gesù Cristo (Gal 2:15-21). Gesù li aveva liberati dalla condanna della Legge mosaica. (Vedi approfondimento a Gal 2:21.) Scioccamente alcuni galati stavano rinunciando a quella preziosa libertà per tornare a una legge antiquata che non faceva altro che condannarli (Gal 1:6). Con l’espressione “galati insensati” Paolo li rimprovera per aver fatto questo passo indietro.
falsi fratelli Il termine greco per “falso fratello” (pseudàdelfos) si trova solo qui e in 2Co 11:26. Stando a un lessico, indica “un cristiano solo di nome”. I giudaizzanti delle congregazioni della Galazia si spacciavano per uomini spirituali, ma in realtà cercavano di imporre di nuovo una rigida osservanza della Legge mosaica. (Vedi approfondimento a Gal 1:6.) Paolo dice che questi uomini erano intrusi che si erano infiltrati per spiare la libertà cristiana, nel senso che usavano tattiche subdole per diffondere i loro pericolosi insegnamenti. (Confronta 2Co 11:13-15.)
giudaismo Questo termine, che nelle Scritture Greche Cristiane compare solo in Gal 1:13, 14, si riferisce al sistema religioso diffuso tra gli ebrei dell’epoca. Anche se i suoi sostenitori affermavano di attenersi strettamente alle Scritture Ebraiche, il giudaismo del I secolo dava molta importanza alle “tradizioni dei [...] padri”. (Vedi approfondimento a Gal 1:14.) Gesù condannò le tradizioni e gli uomini che avevano reso “la parola di Dio senza valore” (Mr 7:8, 13).
siete stati chiamati alla libertà Paolo ammonisce i cristiani che cedere ai desideri carnali, o peccaminosi, significa abusare della libertà che hanno in Cristo (Gal 2:4; 4:24-31). Coloro che invece apprezzano questa libertà la usano per fare gli schiavi gli uni degli altri, cioè per mettersi umilmente al loro servizio, mossi dall’amore. (Vedi approfondimenti a Gal 5:1, 14.)
sia maledetto Lett. “sia un anatema”. Paolo mette in guardia i cristiani della Galazia da alcuni che volevano “distorcere la buona notizia riguardo al Cristo” (Gal 1:7). A quanto pare si trattava di uomini che promuovevano le tradizioni ebraiche a discapito del messaggio della buona notizia. Paolo dice che i cristiani avrebbero dovuto considerare “maledetto” chiunque avesse annunciato loro una buona notizia diversa da quella che avevano accettato, anche se si fosse trattato di angeli. Ripete lo stesso concetto nel v. 9. Il termine greco reso “maledetto” (anàthema) indica letteralmente qualcosa che è stato messo sopra, o deposto. In origine si riferiva alle offerte votive, a qualcosa che veniva messo da parte, o separato, per essere presentato in un tempio e consacrato. In questo contesto si applica, con un’accezione negativa, a qualcuno messo da parte per essere dichiarato cattivo o malvagio (1Co 12:3; 16:22; vedi approfondimento a Ro 9:3). I traduttori della Settanta di solito usarono questo termine per rendere la parola ebraica chèrem, che si riferisce a “qualcosa [o qualcuno] che è stato destinato [o riservato] alla distruzione” (De 7:26; 13:17).
Mi meraviglio che così in fretta vi allontaniate Paolo qui specifica un motivo importante che lo aveva spinto a scrivere questa lettera. Anche se non era passato molto tempo da che era stato in Galazia, nelle congregazioni locali alcuni si stavano già allontanando dalle verità cristiane. Coloro da cui si stavano facendo “incantare” (Gal 3:1) includevano quelli definiti da Paolo “falsi fratelli, intrusi che si erano infiltrati” nelle congregazioni. (Vedi approfondimenti a Gal 2:4; 3:1.) Alcuni di quei falsi fratelli erano giudaizzanti, i quali ritenevano che i cristiani dovessero osservare la Legge mosaica. (Vedi approfondimento a Gal 1:13.) I giudaizzanti insistevano su questo fatto anche se gli apostoli e gli anziani di Gerusalemme avevano già indicato che i non ebrei non erano tenuti a ubbidire alla Legge mosaica (At 15:1, 2, 23-29; Gal 5:2-4). Paolo spiegò che i giudaizzanti erano spinti dalla paura di essere perseguitati e dal desiderio di compiacere gli oppositori ebrei (Gal 6:12, 13). Forse quei falsi fratelli sostenevano anche che Paolo non era un vero apostolo, e cercavano di allontanare da lui le congregazioni (Gal 1:11, 12; 4:17). È possibile che alcuni galati avessero la tendenza a essere immorali, litigiosi e presuntuosi. Queste tendenze carnali che Paolo menzionò nell’ultima parte della sua lettera li avrebbero fatti allontanare da Dio (Gal 5:13–6:10).
un’altra sorta di buona notizia I “falsi fratelli” predicavano “una buona notizia diversa” da quella che i cristiani della Galazia avevano appreso (Gal 1:8; 2:4). Quella che Paolo aveva annunciato loro includeva “la buona notizia riguardo al Cristo” (Gal 1:7). Aveva a che fare con la libertà che Cristo offre: la libertà dalla schiavitù del peccato ereditato e dalla schiavitù della Legge mosaica (Gal 3:13; 5:1, 13 e approfondimento). Quella buona notizia non era “di origine umana” (Gal 1:8, 9, 11, 12; 2Co 11:4; vedi approfondimento a Gal 1:8).
vi turbano Il verbo greco che qui Paolo usa trasmette il senso di “agitare”, “sobillare”, “mettere in disordine”, “confondere”. In questo e in altri contesti, si riferisce a una confusione di tipo psicologico o spirituale (At 15:24; Gal 5:10). Lo stesso verbo compare in At 17:13 a proposito dei giudei che andarono a Berea per “agitare le folle”.
maledetto Cioè maledetto da Dio. Paolo qui usa un’iperbole, una voluta esagerazione. Dice che sarebbe addirittura pronto a subire la maledizione che Dio aveva riservato ai suoi fratelli ebrei che avevano rigettato il Messia promesso. (Confronta Gal 3:13.) Paolo intende dire che è disposto a fare tutto il possibile per aiutarli ad avvalersi del mezzo di salvezza provveduto da Dio.
sia maledetto Lett. “sia un anatema”. Paolo mette in guardia i cristiani della Galazia da alcuni che volevano “distorcere la buona notizia riguardo al Cristo” (Gal 1:7). A quanto pare si trattava di uomini che promuovevano le tradizioni ebraiche a discapito del messaggio della buona notizia. Paolo dice che i cristiani avrebbero dovuto considerare “maledetto” chiunque avesse annunciato loro una buona notizia diversa da quella che avevano accettato, anche se si fosse trattato di angeli. Ripete lo stesso concetto nel v. 9. Il termine greco reso “maledetto” (anàthema) indica letteralmente qualcosa che è stato messo sopra, o deposto. In origine si riferiva alle offerte votive, a qualcosa che veniva messo da parte, o separato, per essere presentato in un tempio e consacrato. In questo contesto si applica, con un’accezione negativa, a qualcuno messo da parte per essere dichiarato cattivo o malvagio (1Co 12:3; 16:22; vedi approfondimento a Ro 9:3). I traduttori della Settanta di solito usarono questo termine per rendere la parola ebraica chèrem, che si riferisce a “qualcosa [o qualcuno] che è stato destinato [o riservato] alla distruzione” (De 7:26; 13:17).
Per i deboli sono diventato debole Pur usando parole vigorose, Paolo teneva in considerazione la coscienza sensibile di alcuni ebrei e non ebrei nella congregazione. È in questo senso che era “diventato debole” per i deboli (Ro 14:1, 13, 19; 15:1).
È il favore degli uomini che cerco o quello di Dio? Qui Paolo si difende perché in Galazia alcuni “falsi fratelli” a quanto pare lo accusavano di aver adattato il suo messaggio per guadagnarsi il favore dei cristiani di quella zona (Gal 2:4). Per esempio sembra che i suoi detrattori sostenessero che predicava la circoncisione solo quando gli conveniva (Gal 5:11). Il verbo greco per “cercare il favore” (pèitho) significa “persuadere”, “convincere”, e ha anche il senso di “conquistare”, “cercare il consenso”, “guadagnarsi l’approvazione”. Ovviamente Paolo era interessato ad avere l’approvazione di Dio, non degli uomini. È vero, adattava il modo in cui presentava la buona notizia (vedi approfondimento a 1Co 9:22), ma non cambiò mai la sostanza del messaggio che portava solo per conquistare gruppi diversi di persone. (Vedi l’approfondimento Cerco forse di piacere agli uomini? in questo versetto.) Nei versetti precedenti Paolo ha indicato chiaramente che c’è un unico messaggio di verità, “la buona notizia riguardo al Cristo” (Gal 1:6-9).
Cerco forse di piacere agli uomini? La risposta a questa domanda retorica è ovviamente no! Alcuni sostenevano che Paolo cercava di ingraziarsi gli altri. Ma se questo fosse stato vero, cercando di piacere agli uomini Paolo avrebbe contraddetto la sua affermazione di essere schiavo di Cristo (1Ts 2:4).
in seguito a una rivelazione Qui Paolo aggiunge un particolare che non si trova nella narrazione che Luca fa nel libro degli Atti (At 15:1, 2). A quanto pare Cristo, in qualità di capo della congregazione cristiana, si servì di una rivelazione per dire a Paolo di presentare l’importante questione della circoncisione agli apostoli e agli anziani di Gerusalemme (Ef 5:23). Quello storico incontro ebbe luogo intorno al 49. Qui, menzionando questa rivelazione, Paolo ribatte l’accusa dei giudaizzanti, che insistevano nel dire che non era un vero apostolo. Infatti era stato Gesù stesso a dare a Paolo il suo incarico e anche a fornirgli indicazioni precise attraverso delle rivelazioni, dimostrando così che era un vero apostolo (Gal 1:1, 15, 16).
mi è stata rivelata O “tramite una rivelazione”. Nell’originale greco Paolo usa il sostantivo apokàlypsis, che letteralmente significa “scoprimento”, “svelamento”. Nelle Scritture Greche Cristiane questo termine spesso si riferisce a rivelazioni di natura spirituale da parte di Dio e di Gesù a esseri umani. In questo versetto Paolo indica che la buona notizia che predicava gli era stata rivelata dallo stesso Gesù Cristo, non da un uomo. Questa era un’ulteriore conferma del fatto che Paolo fosse un vero apostolo. Come gli altri apostoli, aveva appreso la buona notizia e ricevuto il suo incarico direttamente da Gesù (1Co 9:1; Ef 3:3). Più avanti in questa stessa lettera menziona una specifica rivelazione in cui Cristo gli aveva indicato di sottoporre la questione della circoncisione agli apostoli e agli anziani di Gerusalemme. (Vedi approfondimento a Gal 2:2.)
straordinarie Qui Paolo usa il termine greco hyperbolè per descrivere il carattere straordinario, o ineguagliabile, delle rivelazioni ricevute. (Vedi approfondimento a 2Co 12:2.) Questo termine ricorre otto volte nelle Scritture Greche Cristiane, sempre nelle lettere di Paolo. A seconda del contesto è tradotto in vari modi. Ad esempio, in 2Co 4:7 descrive “la potenza oltre il normale”, e in 2Co 1:8 si riferisce alla “tribolazione [...] così dura” che Paolo e i suoi compagni d’opera avevano affrontato.
le tradizioni dei miei padri Il termine greco per “tradizione” (paràdosis) si riferisce a informazioni, istruzioni o consuetudini tramandate ad altri affinché ne tengano conto. Qui Paolo fa riferimento all’insieme delle tradizioni religiose seguite dai capi religiosi ebrei, in particolare quelle dei farisei e degli scribi. Anche se la loro religione si basava sulle Scritture Ebraiche, quei maestri avevano aggiunto molte tradizioni non scritturali (Mt 15:2, 3; Mr 7:3, 5, 13; vedi approfondimento a Gal 1:13). Essendo “figlio di farisei”, Paolo era stato istruito da maestri religiosi ebrei, come Gamaliele, stimato insegnante della tradizione farisaica (At 22:3; 23:6; Flp 3:5; vedi approfondimento ad At 5:34). Qui spiega che però lo zelo per le tradizioni dei suoi antenati lo aveva portato a ‘perseguitare la congregazione di Dio e a devastarla’ (Gal 1:13; Gv 16:2, 3).
la potenza oltre il normale L’espressione “oltre il normale” traduce il greco hyperbolè, termine con cui Paolo descrive lo straordinario potere che solo Dio può dare. (Vedi approfondimento a 2Co 12:7.)
giudaismo Questo termine, che nelle Scritture Greche Cristiane compare solo in Gal 1:13, 14, si riferisce al sistema religioso diffuso tra gli ebrei dell’epoca. Anche se i suoi sostenitori affermavano di attenersi strettamente alle Scritture Ebraiche, il giudaismo del I secolo dava molta importanza alle “tradizioni dei [...] padri”. (Vedi approfondimento a Gal 1:14.) Gesù condannò le tradizioni e gli uomini che avevano reso “la parola di Dio senza valore” (Mr 7:8, 13).
ferocemente Lett. “all’eccesso”. Qui Paolo usa il termine greco hyperbolè per descrivere l’intensità con cui aveva perseguitato la congregazione cristiana (At 8:1, 3; 9:1, 2; 26:10, 11; Flp 3:6). Questo termine compare otto volte nelle Scritture Greche Cristiane. (Vedi approfondimenti a 2Co 4:7; 12:7.)
giudaismo Questo termine, che nelle Scritture Greche Cristiane compare solo in Gal 1:13, 14, si riferisce al sistema religioso diffuso tra gli ebrei dell’epoca. Anche se i suoi sostenitori affermavano di attenersi strettamente alle Scritture Ebraiche, il giudaismo del I secolo dava molta importanza alle “tradizioni dei [...] padri”. (Vedi approfondimento a Gal 1:14.) Gesù condannò le tradizioni e gli uomini che avevano reso “la parola di Dio senza valore” (Mr 7:8, 13).
Gamaliele Maestro della Legge menzionato due volte nel libro degli Atti, qui e in At 22:3. Pare si tratti di quello che nelle fonti extrabibliche è conosciuto come Gamaliele il Vecchio. Gamaliele era il nipote, o forse il figlio, di Hillel il Vecchio, ritenuto il padre di una scuola di pensiero più liberale all’interno del gruppo dei farisei. Gamaliele era così stimato che pare sia stato il primo a essere chiamato con il titolo onorifico “rabbàn”. Esercitò una profonda influenza sulla società giudaica del suo tempo occupandosi della formazione di molti figli di farisei, tra cui Saulo di Tarso (At 22:3; 23:6; 26:4, 5; Gal 1:13, 14). Spesso interpretò la Legge e le tradizioni in un modo che sembra rivelare una certa apertura mentale. Per esempio si dice che abbia promosso leggi che tutelavano le donne da mariti privi di scrupoli e le vedove da figli snaturati, e che abbia sostenuto che i non ebrei poveri avessero lo stesso diritto alla spigolatura degli ebrei poveri. Questo atteggiamento tollerante è evidente da come trattò Pietro e gli altri apostoli (At 5:35-39). La letteratura rabbinica, comunque, dimostra che Gamaliele considerava più importante la tradizione rabbinica delle Sacre Scritture. Nel complesso quindi i suoi insegnamenti erano simili a quelli di tanti rabbi che lo avevano preceduto e dei capi religiosi dei suoi giorni (Mt 15:3-9; 2Tm 3:16, 17; vedi Glossario, “farisei”; “Sinedrio”).
le tradizioni dei miei padri Il termine greco per “tradizione” (paràdosis) si riferisce a informazioni, istruzioni o consuetudini tramandate ad altri affinché ne tengano conto. Qui Paolo fa riferimento all’insieme delle tradizioni religiose seguite dai capi religiosi ebrei, in particolare quelle dei farisei e degli scribi. Anche se la loro religione si basava sulle Scritture Ebraiche, quei maestri avevano aggiunto molte tradizioni non scritturali (Mt 15:2, 3; Mr 7:3, 5, 13; vedi approfondimento a Gal 1:13). Essendo “figlio di farisei”, Paolo era stato istruito da maestri religiosi ebrei, come Gamaliele, stimato insegnante della tradizione farisaica (At 22:3; 23:6; Flp 3:5; vedi approfondimento ad At 5:34). Qui spiega che però lo zelo per le tradizioni dei suoi antenati lo aveva portato a ‘perseguitare la congregazione di Dio e a devastarla’ (Gal 1:13; Gv 16:2, 3).
uomo Lett. “carne e sangue”. “Carne e sangue” era un’espressione idiomatica comune fra gli ebrei; in questo contesto si riferisce a un essere umano (1Co 15:50; Ef 6:12; vedi approfondimento a Mt 16:17).
la carne e il sangue O “un essere umano”. Nel contesto, questa comune espressione ebraica si riferisce evidentemente ai pensieri di un essere umano fatto di carne (Gal 1:16, nt.).
me ne andai in Arabia; dopodiché tornai a Damasco Nel breve racconto che Luca fa degli eventi che seguirono la conversione di Paolo a Damasco non c’è alcuna menzione di questo viaggio in Arabia (At 9:18-20, 23-25). Quindi quello che Paolo dice qui integra la narrazione di Luca. È possibile che Paolo abbia predicato la sua nuova fede a Damasco prima di partire per l’Arabia, forse alla volta delle zone desertiche della Siria. Poi, tornato a Damasco, avrebbe continuato a predicare per “diversi giorni”, fino a quando “i giudei cospirarono per ucciderlo” (At 9:23). Il motivo del viaggio in Arabia non è specificato ma, dal momento che Paolo (allora ancora conosciuto come Saulo) si era convertito da poco, è possibile che abbia avuto bisogno di un po’ di tempo per meditare sulle Scritture senza distrazioni. (Confronta Mr 1:12.)
Tre anni dopo Forse Paolo intende dire che dopo la sua conversione passarono parte di tre anni; potrebbe quindi essere arrivato a Gerusalemme nel 36. Quella sarà stata la sua prima volta a Gerusalemme da cristiano.
per vedere Alcuni studiosi sostengono che il verbo greco reso “vedere” può includere l’idea di incontrare qualcuno allo scopo di informarsi. Quando Saulo incontrò Pietro e Giacomo avrà avuto tante cose da chiedere, e loro avranno avuto tante domande da fargli in merito alla visione e all’incarico che aveva ricevuto.
Cefa Uno dei nomi dell’apostolo Pietro. (Vedi approfondimento a 1Co 1:12.)
Cefa Uno dei nomi dell’apostolo Simon Pietro. Quando lo incontrò la prima volta, Gesù gli diede il nome semitico Cefa (in greco Kefàs). Questo nome potrebbe essere affine all’ebraico kefìm (“rocce”) usato in Gb 30:6 e Ger 4:29. In Gv 1:42 Giovanni spiega che Cefa “si traduce ‘Pietro’” (Pètros, nome greco dal significato simile [“frammento di roccia”]). Il nome Cefa compare solo in Gv 1:42 e in due lettere di Paolo, 1 Corinti e Galati (1Co 1:12; 3:22; 9:5; 15:5; Gal 1:18; 2:9, 11, 14; vedi approfondimenti a Mt 10:2; Gv 1:42).
Giacomo Questo fratellastro di Gesù è evidentemente lo stesso Giacomo che viene menzionato in At 12:17 (vedi approfondimento) e Gal 1:19 e che scrisse il libro biblico che porta questo nome (Gc 1:1).
chi è mandato O “un messaggero (inviato)”, “un apostolo”. La parola greca qui usata (apòstolos) deriva da un verbo che significa “inviare”, “mandare” (apostèllo). Nelle Scritture Greche Cristiane ricorre 80 volte. In 78 di questi casi viene tradotta con il sostantivo “apostolo/-i”. Gli altri due casi sono: Flp 2:25, dove viene tradotta con il verbo “inviare”, e questo versetto, unica occorrenza nel Vangelo di Giovanni (Mt 10:5; Lu 11:49; 14:32; vedi approfondimenti a Mt 10:2; Mr 3:14 e Glossario, “apostolo”).
fratelli di lui Cioè i fratellastri di Gesù. Nei quattro Vangeli, negli Atti degli Apostoli e in due epistole paoline sono menzionati “i fratelli del Signore”, “il fratello del Signore”, “i suoi fratelli” e “le sue sorelle”; vengono riportati i nomi di quattro di questi “fratelli”: Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda (1Co 9:5; Gal 1:19; Mt 12:46; 13:55, 56; Mr 3:31; Lu 8:19; Gv 2:12). Tutti questi erano venuti alla luce dopo la nascita miracolosa di Gesù. La maggioranza dei biblisti riconosce che Gesù aveva almeno quattro fratelli e due sorelle, tutti figli biologici di Giuseppe e Maria. (Vedi approfondimento a Mt 13:55.)
Giacomo Molto probabilmente un fratellastro di Gesù. Forse era il più vicino di età a Gesù, essendo menzionato per primo fra i quattro figli biologici di Maria: Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda (Mt 13:55; Mr 6:3; Gv 7:5). Era stato testimone oculare dei fatti accaduti alla Pentecoste del 33, quando migliaia di ebrei della diaspora giunti a Gerusalemme avevano accettato la buona notizia ed erano stati battezzati (At 1:14; 2:1, 41). Qui in At 12:17 si legge che Pietro disse ai discepoli: “Riferite queste cose a Giacomo”, a indicare che Giacomo aveva un ruolo preminente nella congregazione di Gerusalemme. Questo è a quanto pare lo stesso Giacomo menzionato in At 15:13; 21:18; 1Co 15:7; Gal 1:19 (dove è definito “il fratello del Signore”); 2:9, 12 e lo scrittore del libro della Bibbia che porta il suo nome (Gc 1:1; Gda 1).
nessuno degli altri apostoli a parte Giacomo Il termine “apostolo” significa fondamentalmente “mandato”, “inviato”, ed è usato nella maggioranza dei casi per indicare i 12 apostoli di Gesù (Lu 8:1; vedi approfondimento a Gv 13:16 e Glossario, “apostolo”). Può però essere usato anche per indicare altri, come dimostrato dal fatto che in questo caso, oltre che a Pietro (“Cefa”, Gal 1:18; 2:9), si riferisce a Giacomo, il fratello del Signore, cioè il fratellastro di Gesù. (Vedi approfondimenti a Mt 13:55; At 1:14; 12:17.) Giacomo, infatti, a quanto pare era considerato un apostolo, cioè uno scelto e mandato come rappresentante della congregazione di Gerusalemme. Questo spiegherebbe perché in At 9:26, 27, parlando dello stesso avvenimento, viene detto che Paolo fu portato “dagli apostoli”.
un uomo Paolo non dice il nome dell’uomo che ricevette questa visione soprannaturale, ma il contesto suggerisce con forza che si stia riferendo a sé stesso. Per difendersi dagli attacchi dei suoi detrattori, tipo gli “apostoli sopraffini”, e dimostrare di essere qualificato come apostolo (2Co 11:5, 23), Paolo porta come prova le “visioni soprannaturali” e le “rivelazioni del Signore” che aveva ricevuto (2Co 12:1). Dato che la Bibbia non menziona nessun altro che abbia avuto una simile esperienza, è logico concludere che fosse lui l’uomo in questione.
tre volte sono stato bastonato Qui Paolo si riferisce a una forma di punizione spesso inflitta dalle autorità romane. Il libro degli Atti menziona solo una di quelle “tre volte”, che si verificò a Filippi prima che Paolo scrivesse la seconda lettera ai Corinti (At 16:22, 23). Paolo fu picchiato anche dagli ebrei a Gerusalemme, ma in quel caso non si parla di bastoni (At 21:30-32). Comunque Corinto era una colonia romana, perciò quelli che lì ascoltavano le parole della lettera di Paolo di sicuro sapevano che si trattava di una forma di punizione particolarmente brutale; era anche umiliante perché iniziava con il denudare chi la subiva. (Confronta 1Ts 2:2.) La legge romana prevedeva che chi aveva la cittadinanza come Paolo fosse protetto da questa punizione. Ecco perché lui fece presente ai magistrati di Filippi che avevano violato i suoi diritti. (Vedi approfondimenti ad At 16:35, 37.)
regioni della Siria e della Cilicia Sembra che qui Paolo utilizzi il termine “regioni” in senso lato. “Siria” infatti potrebbe riferirsi semplicemente alla zona intorno ad Antiochia, e “Cilicia” a quella intorno a Tarso, dove Paolo era cresciuto. (Vedi App. B13.) Dopo essere stato a Gerusalemme verso il 36, Paolo fu rimandato a Tarso; poi all’incirca nel 45 Barnaba da lì “lo portò ad Antiochia”, dove predicarono per un anno intero (At 9:28-30; 11:22-26). Non si sa molto di quello che Paolo fece in quegli otto anni circa che precedettero il suo arrivo ad Antiochia, ma sembra che si impegnò così tanto nell’opera di predicazione che della sua attività si venne a sapere anche in Giudea (Gal 1:21-24). Dal momento che in 2Co 11:23-27 Paolo menziona diverse prove e difficoltà che affrontò ma di cui non si parla nel libro degli Atti, è possibile che alcune le abbia incontrate proprio in quel lasso di tempo. (Vedi approfondimento a 2Co 11:25.) Fu sempre in quel periodo che a quanto pare ricevette una visione soprannaturale che ebbe un profondo impatto sul suo insegnamento (2Co 12:1-4; vedi approfondimenti a 2Co 12:2, 4).
paradiso Il termine greco paràdeisos ricorre tre volte nelle Scritture Greche Cristiane (Lu 23:43, vedi approfondimento; 2Co 12:4; Ri 2:7). Parole simili si trovano anche in ebraico (pardès, in Ne 2:8; Ec 2:5; Ca 4:13) e in persiano (pairidaēza). Tutt’e tre le parole trasmettono fondamentalmente l’idea di un bel parco o giardino. In questo contesto “paradiso” potrebbe essere inteso in più modi. (Vedi approfondimento a 2Co 12:2.) È possibile che Paolo si stesse riferendo (1) al futuro Paradiso fisico sulla terra, (2) alla condizione spirituale di cui godrà il popolo di Dio nel nuovo mondo o (3) alle condizioni che esistono in cielo. Ai giorni di Paolo non era lecito parlare di queste cose perché non era ancora arrivato il momento stabilito da Dio per rivelare i dettagli dell’adempimento del suo proposito.
terzo cielo Nelle Scritture i termini “cielo” o “cieli” possono descrivere sia i cieli letterali sia i cieli spirituali, il luogo in cui vivono Geova e i suoi angeli (Gen 11:4; Isa 63:15). Possono però anche riferirsi a dei governi, siano essi guidati da uomini o da Dio (Isa 14:12; Da 4:25, 26). Qui Paolo sembra descrivere una rivelazione su qualcosa di futuro, rivelazione ricevuta tramite una visione (2Co 12:1). A volte nelle Scritture il numero tre o la ripetizione di una certa espressione per tre volte aggiunge intensità o forza a un concetto (Isa 6:3; Ez 21:27; Ri 4:8). Perciò a quanto pare il “terzo cielo” visto da Paolo era il governo per eccellenza: il Regno messianico di Dio, il governo celeste composto da Gesù Cristo e i 144.000 che regneranno insieme a lui (Isa 65:17; 66:22; 2Pt 3:13; Ri 14:1-5).
Galleria multimediale

Nell’immagine si vede una pagina del codice papiraceo noto come P46. Il codice, che si ritiene risalga al 200 circa, contiene nove delle lettere ispirate di Paolo, in questo ordine: Romani, Ebrei, 1 Corinti, 2 Corinti, Efesini, Galati, Filippesi, Colossesi e 1 Tessalonicesi. Questo foglio contiene la parte finale della lettera agli Efesini e l’inizio della lettera ai Galati. Nell’immagine è evidenziato il titolo, dove si legge “Verso [o “A”] Galati”. (Vedi Galleria multimediale, “Prima lettera di Paolo ai Corinti” e “Seconda lettera di Paolo ai Corinti”.


Nel I secolo la città di Damasco probabilmente aveva una pianta simile a quella riprodotta qui. Il commercio era fiorente, e le acque del fiume Barada (l’Abana di 2Re 5:12) rendevano l’area intorno alla città simile a un’oasi. Damasco contava varie sinagoghe. Saulo venne in questa città con l’intenzione di arrestare “tutti gli appartenenti alla Via”, espressione usata per descrivere i discepoli di Gesù (At 9:2; 19:9, 23; 22:4; 24:22). Ma sulla via di Damasco gli apparve il glorificato Gesù. Dopo questo episodio, Saulo rimase per un periodo a Damasco, nella casa di un uomo di nome Giuda che viveva sulla strada chiamata Diritta (At 9:11). In una visione, Gesù diresse il discepolo Anania alla casa di Giuda per far recuperare la vista a Saulo, che in seguito fu battezzato. E così, invece di arrestare gli ebrei cristiani, Saulo divenne uno di loro. Cominciò a predicare la buona notizia proprio nelle sinagoghe di Damasco. Dopo aver viaggiato fino all’Arabia e poi di nuovo a Damasco, Saulo fece ritorno a Gerusalemme, probabilmente intorno all’anno 36 (At 9:1-6, 19-22; Gal 1:16, 17).
A. Damasco
1. Strada per Gerusalemme
2. Strada chiamata Diritta
3. Agorà
4. Tempio di Giove
5. Teatro
6. Odeon (?)
B. Gerusalemme