Atti degli Apostoli 8:1-40
Note in calce
Approfondimenti
evangelizzatore Il termine greco euaggelistès, qui reso “evangelizzatore”, significa fondamentalmente “uno che proclama buone notizie”. (Vedi approfondimento a Mt 4:23.) A tutti i cristiani è affidato l’incarico di proclamare la buona notizia (Mt 24:14; 28:19, 20; At 5:42; 8:4; Ro 10:9, 10), ma dal contesto dei tre versetti in cui ricorre questo termine greco si evince che “evangelizzatore” può essere usato con un significato speciale (At 21:8; Ef 4:11; nt.; 2Tm 4:5; nt.). Ad esempio, quando è utilizzato in riferimento a una persona che dà il via all’opera di predicazione della buona notizia in un luogo in cui non è mai stata predicata, il termine greco può anche essere reso “missionario”. Dopo la Pentecoste, Filippo diede inizio con grande successo all’opera di predicazione nella città di Samaria. Inoltre, un angelo gli ordinò di predicare la buona notizia riguardo a Cristo a un eunuco etiope, che fu da lui battezzato. Quindi lo spirito lo condusse ad Asdod perché predicasse in quella città e, da lì fino a Cesarea, in tutte le città che avrebbe attraversato (At 8:5, 12, 14, 26-40). Circa 20 anni dopo, quando si verificò ciò che è riportato qui in At 21:8, Filippo era ancora chiamato “l’evangelizzatore”.
Filippo In base ad At 8:1, “tutti, eccetto gli apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samaria”. Quindi il Filippo menzionato qui non è l’apostolo Filippo (Mt 10:3; At 1:13). A quanto pare si tratta di quel Filippo che era tra i “sette uomini con una buona reputazione” incaricati di organizzare la distribuzione quotidiana di cibo tra le vedove cristiane di lingua greca e di lingua ebraica che si trovavano a Gerusalemme (At 6:1-6). Dopo gli eventi narrati nel capitolo 8 di Atti, Filippo viene menzionato solo un’altra volta, in At 21:8, dove è chiamato “Filippo l’evangelizzatore”. (Vedi approfondimento ad At 21:8.)
nella città di Samaria O, stando ad alcuni manoscritti, “in una città della Samaria”. Pare che ci si riferisca alla principale città del territorio romano della Samaria. In origine Samaria era il nome della capitale del regno delle 10 tribù d’Israele ma anche dell’intero territorio di quel regno. Samaria ne fu la capitale fino a quando il regno non venne rovesciato dagli assiri nel 740 a.E.V. La città comunque continuò a esistere fino a tutto il periodo romano, e al tempo di Gesù il termine Samaria designava anche il territorio romano che si estendeva tra la Galilea a N e la Giudea a S. (Vedi Glossario, “Samaria”.) Erode il Grande ricostruì la città e la chiamò Sebaste in onore dell’imperatore romano Augusto. (Sebaste è l’equivalente greco del nome latino Augusta.) Il nome arabo usato attualmente, Sabastiya, conserva quello datole da Erode. (Vedi App. B10.)
Samaria aveva accettato la parola di Dio Dopo che Gesù ebbe predicato a una donna samaritana, “molti samaritani” avevano riposto fede in lui (Gv 4:27-42). Questo potrebbe essere il motivo per cui in seguito molti samaritani accolsero la predicazione di Filippo (At 8:1, 5-8, 14-17).
Simone offrì loro del denaro Da questo episodio biblico è stata coniata la parola “simonia”, che si riferisce alla compravendita di incarichi o benefìci di carattere religioso. La risposta che Pietro diede a Simone, riportata in At 8:20-24, dimostra che i cristiani devono guardarsi dalla pratica malvagia con cui si cerca di ottenere “autorità” ricorrendo a denaro o altri mezzi (At 8:19; 1Pt 5:1-3).
supplica Geova Il verbo greco reso “supplicare” è usato nella Settanta in relazione a preghiere, richieste e implorazioni rivolte a Geova. Spesso in quei casi nell’originale ebraico è presente il nome divino (Gen 25:21; Eso 32:11; Nu 21:7; De 3:23; 1Re 8:59; 13:6). Nelle App. C1 e C3 introduzione e At 8:22 si trovano le ragioni per cui la Traduzione del Nuovo Mondo usa il nome Geova in questo versetto nonostante i manoscritti greci attualmente disponibili riportino “il Signore” (in greco tou Kyrìou). (Per una trattazione del verbo greco reso “supplicare”, vedi approfondimento ad At 4:31.)
ebbero terminato la loro supplica O “ebbero terminato la loro fervida preghiera [o “implorazione”]”. Il verbo greco dèomai si riferisce all’azione di rivolgere una preghiera sincera e particolarmente sentita. Il sostantivo affine dèesis (“supplica”) è definito “richiesta umile e sincera”. Nelle Scritture Greche Cristiane il sostantivo è usato esclusivamente in riferimento a invocazioni rivolte a Dio. “Con forti grida e lacrime”, anche Gesù “offrì suppliche e richieste a colui che poteva salvarlo dalla morte” (Eb 5:7). L’uso del plurale “suppliche” indica che Gesù invocò Geova più volte. Ad esempio, nel giardino di Getsemani pregò ripetutamente e con fervore (Mt 26:36-44; Lu 22:32).
amaro veleno Lett. “fiele d’amarezza”. Il termine greco cholè (“fiele”) si riferisce letteralmente al fluido di colore giallo-verdastro prodotto dal fegato e contenuto nella colecisti (cistifellea). La bile, o fiele, è un fluido estremamente amaro che serve per la digestione. Con il tempo ha finito per rappresentare qualcosa di amaro o velenoso, ed è in questo senso che il termine viene usato qui. (Confronta approfondimento a Mt 27:34.)
fiele Il termine greco cholè qui si riferisce a un liquido amaro ricavato da alcune piante o a una sostanza amara in generale. Mostrando che quell’azione adempiva una profezia, Matteo cita Sl 69:21, dove la Settanta usa questo termine greco a fronte del termine ebraico per “veleno”. A quanto pare alcune donne di Gerusalemme avevano preparato una bevanda composta da vino e fiele per attutire il dolore dei condannati a morte, e i romani non obiettarono al suo uso. Nel passo parallelo di Mr 15:23 si legge che il vino era “drogato con mirra”, il che evidentemente indica che la bevanda conteneva sia mirra che fiele.
supplica Geova Il verbo greco reso “supplicare” è usato nella Settanta in relazione a preghiere, richieste e implorazioni rivolte a Geova. Spesso in quei casi nell’originale ebraico è presente il nome divino (Gen 25:21; Eso 32:11; Nu 21:7; De 3:23; 1Re 8:59; 13:6). Nelle App. C1 e C3 introduzione e At 8:22 si trovano le ragioni per cui la Traduzione del Nuovo Mondo usa il nome Geova in questo versetto nonostante i manoscritti greci attualmente disponibili riportino “il Signore” (in greco tou Kyrìou). (Per una trattazione del verbo greco reso “supplicare”, vedi approfondimento ad At 4:31.)
Supplicate voi Geova per me Vedi approfondimento ad At 8:22 e App. C3 introduzione; At 8:24.
parola di Geova Questa espressione affonda le sue radici nelle Scritture Ebraiche. Lì la combinazione del termine ebraico per “parola” e del nome divino ricorre in circa 200 versetti. (Alcuni esempi si trovano in 2Sa 12:9; 24:11, nt.; 2Re 7:1; 20:4, nt.; Isa 1:10, nt.; 2:3; 28:14; 38:4, nt.; Ger 1:2, nt.; 2:1, nt.; Ez 1:3, nt.; 6:1, nt; Os 1:1, nt.; Mic 1:1, nt.; Zac 9:1.) Nel passo di Zac 9:1 presente in un’antica copia della Settanta, il termine greco lògos è seguito dal nome divino scritto in caratteri paleoebraici (). Il rotolo di pergamena che contiene questo passo — rinvenuto nel deserto della Giudea vicino al Mar Morto, presso Nahal Hever, in Israele — è datato tra il 50 a.E.V. e il 50 E.V. Nell’App. C3 introduzione e At 8:25 si trovano le ragioni per cui la Traduzione del Nuovo Mondo usa l’espressione “parola di Geova” nel testo di At 8:25 nonostante molti manoscritti greci riportino “parola del Signore”.
angelo di Geova Vedi approfondimento ad At 5:19 e App. C3 introduzione; At 8:26.
angelo di Geova A partire da Gen 16:7, questa espressione, che è una combinazione del termine ebraico per “angelo” e del Tetragramma, ricorre spesso nelle Scritture Ebraiche. Nel passo di Zac 3:5, 6 presente in un frammento di un’antica copia della Settanta, il termine greco àggelos (“angelo”, “messaggero”) è seguito dal nome divino scritto in caratteri ebraici. Questo frammento, rinvenuto in una grotta nel deserto della Giudea presso Nahal Hever, in Israele, è datato tra il 50 a.E.V. e il 50 E.V. Nelle App. C1 e C3 introduzione e At 5:19 si trovano le ragioni per cui la Traduzione del Nuovo Mondo usa l’espressione “angelo di Geova” nel testo di At 5:19 nonostante i manoscritti greci attualmente disponibili leggano “angelo di Signore”.
eunuchi In senso letterale, uomini evirati (castrati). In questo versetto il termine è usato sia in senso letterale che figurato. (Vedi Glossario.)
eunuco Il termine greco eunoùchos si riferisce letteralmente a un uomo privato della facoltà di procreare. Nelle antiche corti del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale uomini evirati venivano spesso usati perché ricoprissero vari incarichi, specialmente quello di servitore o guardiano della regina e delle concubine. Comunque il termine “eunuco” non era sempre usato in riferimento a un uomo evirato. Con il tempo finì per indicare in senso lato un uomo a cui veniva affidato un incarico ufficiale all’interno della corte reale. Come il termine greco, anche quello ebraico per “eunuco” (sarìs) può designare un funzionario reale. Ad esempio Potifar, un uomo sposato, era “funzionario di corte [lett. “eunuco”] del faraone” (Gen 39:1). Qui in Atti l’uomo etiope che amministrava il tesoro reale è definito “eunuco”, a quanto pare nel senso che era un funzionario di corte. Era senza dubbio un proselito circonciso, cioè un non ebreo che era diventato adoratore di Geova, dal momento che era stato a Gerusalemme ad adorare. (Vedi Glossario, “proselito”.) La Legge mosaica vietava agli uomini evirati di far parte della congregazione d’Israele (De 23:1), motivo per cui l’etiope non poteva essere eunuco in senso letterale. A quanto pare, quindi, questo proselito etiope non era considerato un gentile. Fu Cornelio il primo gentile, cioè non ebreo, che si convertì al cristianesimo (At 10:1, 44-48; per una spiegazione sull’uso figurato del termine “eunuco”, vedi approfondimenti a Mt 19:12).
etiope Originario della regione di un’antica nazione a S dell’Egitto, in seguito chiamata Etiopia. Il termine greco per “Etiopia” (Aithiopìa, che significa “regione dei visi bruciati”) era il nome con cui gli antichi greci si riferivano alla regione dell’Africa a S dell’Egitto. Corrispondeva grossomodo al termine ebraico Kuš (“Cus”), usato per indicare il paese che abbracciava principalmente la parte più meridionale dell’odierno Egitto e l’attuale Sudan. Per rendere l’ebraico Kuš i traduttori della Settanta usarono quasi sempre il termine greco Aithiopìa. Un esempio si trova in Isa 11:11, dove “Cus” (“Etiopia” nella LXX) è menzionato tra i paesi in cui erano stati dispersi gli ebrei esiliati dopo la conquista di Giuda da parte dei babilonesi. È possibile quindi che questo funzionario etiope fosse stato a contatto con gli ebrei nel suo paese o forse in Egitto, dove gli ebrei erano molti.
Candace Più che uno specifico nome proprio, Candace, come faraone e Cesare, è considerato un titolo. Antichi scrittori, fra cui Strabone, Plinio il Vecchio ed Eusebio, usarono questo titolo a proposito delle regine d’Etiopia. Plinio il Vecchio (ca. 23-79 E.V.) scrive: “Meroe [capitale dell’antica Etiopia] ha pochi edifici ed è governata da una donna, Candace, un nome che hanno già portato, per molti anni, generazioni e generazioni di regine” (Storia naturale, VI, XXXV, 186, trad. e note di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci, Giulio Einaudi editore, Torino, 1982).
si sono resi eunuchi O “hanno scelto di vivere come eunuchi”. Qui il termine “eunuchi” non si riferisce a uomini che si sono letteralmente evirati o che sono stati castrati, ma a uomini che hanno scelto volontariamente di non sposarsi. (Vedi Glossario, “eunuco”.)
Capisci Il verbo greco ginòsko significa fondamentalmente “conoscere”, “sapere”, ma ha molte accezioni e può anche essere reso “capire”, “comprendere”, “percepire”.
origini Lett. “generazione”. In questa citazione di Isa 53:8, il termine “generazione” a quanto pare si riferisce alla “discendenza” di una persona, alle sue origini familiari. Quando Gesù fu processato, i membri del Sinedrio non tennero conto delle sue origini, del fatto quindi che soddisfaceva i requisiti del Messia promesso.
essere battezzato O “essere immerso”. Il verbo greco (baptìzo) significa “immergere”, “tuffare”. Il contesto indica che il battesimo implica un’immersione completa. Se fosse stato sufficiente versare o aspergere acqua, l’eunuco non avrebbe avuto bisogno di far fermare il carro presso uno specchio d’acqua. Anche se non si può stabilire se si trattasse di un fiume, di un torrente o di un laghetto, il racconto dice che “Filippo e l’eunuco scesero nell’acqua” (At 8:38). Altri riferimenti biblici concordano con l’idea che essere battezzati significhi essere totalmente immersi nell’acqua. Per esempio, Gesù fu battezzato in un fiume, il Giordano. E in un’occasione, per battezzare la gente Giovanni Battista scelse una località vicino a Salim, nella valle del Giordano, “perché c’era molta acqua” (Gv 3:23). È interessante notare che il verbo greco baptìzo viene usato nella Settanta in 2Re 5:14 quando dice che Naaman “si immerse sette volte nel Giordano”. Inoltre le Scritture accostano il battesimo al concetto di sepoltura, indicando così che una persona che viene battezzata è immersa in modo completo (Ro 6:4-6; Col 2:12).
Alcuni manoscritti greci posteriori e alcune antiche traduzioni in altre lingue aggiungono, con leggere varianti testuali, quanto segue: “Filippo gli disse: ‘Se credi con tutto il cuore, è permesso’. Rispondendo egli disse: ‘Credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio’”. Comunque queste parole non compaiono nei manoscritti più antichi e autorevoli, e molto probabilmente non fanno parte del testo originale di Atti. (Vedi App. A3.)
spirito di Geova L’espressione “spirito di Geova” ricorre diverse volte nelle Scritture Ebraiche. (Alcuni esempi si trovano in Gdc 3:10; 6:34; 11:29; 13:25; 14:6; 15:14; 1Sa 10:6; 16:13; 2Sa 23:2; 1Re 18:12; 2Re 2:16; 2Cr 20:14; Isa 11:2; 40:13; 63:14; Ez 11:5; Mic 2:7; 3:8.) È presente anche in Lu 4:18 come parte di una citazione di Isa 61:1. In Isa 61:1 e in altri passi delle Scritture Ebraiche, nell’originale ebraico compare il Tetragramma insieme alla parola per “spirito”. Nelle App. C1 e C3 introduzione e At 5:9 si trovano le ragioni per cui la Traduzione del Nuovo Mondo usa l’espressione “spirito di Geova” nel testo di At 5:9 nonostante i manoscritti greci attualmente disponibili leggano “spirito di Signore”.
spirito di Geova Vedi approfondimento ad At 5:9 e App. C3 introduzione; At 8:39.
Asdod Nome ebraico della città chiamata nel I secolo con il nome greco Azoto (Gsè 11:22; 15:46; vedi App. B6 e B10).
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La Bibbia menziona alcune delle attività svolte con zelo da “Filippo l’evangelizzatore” (At 21:8). Filippo fu uno dei “sette uomini con una buona reputazione” scelti per distribuire cibo fra i discepoli di lingua greca e quelli di lingua ebraica che si trovavano a Gerusalemme (At 6:1-6). Dopo la morte di Stefano, quando “tutti, eccetto gli apostoli, furono dispersi”, Filippo andò a Samaria; lì predicò la buona notizia e compì miracoli (At 8:1, 4-7). In seguito l’angelo di Geova lo mandò sulla strada che da Gerusalemme portava a Gaza (At 8:26). Lì Filippo incontrò un eunuco etiope e gli dichiarò la buona notizia (At 8:27-38). Condotto via dallo spirito di Geova (At 8:39), continuò a predicare: partendo da Asdod passò per altre città vicino alla costa fino a raggiungere Cesarea (At 8:40). Anni dopo, Luca e Paolo furono ospitati a casa di Filippo a Cesarea. A quel tempo Filippo “aveva quattro figlie non sposate che profetizzavano” (At 21:8, 9).
1. Gerusalemme: svolge un incarico amministrativo (At 6:5).
2. Samaria: predica la buona notizia (At 8:5).
3. Strada nel deserto verso Gaza: spiega le Scritture a un eunuco etiope e lo battezza (At 8:26-39).
4. Regione costiera: dichiara la buona notizia a tutte le città (At 8:40).
5. Cesarea: ospita Paolo a casa sua (At 21:8, 9).

1. Teatro romano
2. Palazzo
3. Ippodromo
4. Tempio pagano
5. Porto
Questo video sulle rovine di Cesarea include delle ricostruzioni in 3D che mostrano come potevano essere alcuni dei suoi edifici e delle sue strutture principali. La città di Cesarea e il suo porto furono costruiti da Erode il Grande verso la fine del I secolo a.E.V. Erode la chiamò così in onore di Cesare Augusto. Situata circa 87 km a nord-ovest di Gerusalemme, lungo la costa del Mediterraneo, Cesarea divenne un centro marittimo importante. La città comprendeva (1) un teatro romano, (2) un palazzo che giungeva fino al mare, (3) un ippodromo, cioè un impianto per la corsa dei cavalli, che poteva contenere circa 30.000 spettatori e (4) un tempio pagano. Il porto (5) era un capolavoro d’ingegneria. Cesarea aveva un acquedotto che forniva l’acqua potabile e un proprio sistema fognario. L’apostolo Paolo e altri cristiani viaggiarono da e per Cesarea via mare (At 9:30; 18:21, 22; 21:7, 8, 16). Paolo fu imprigionato lì per circa due anni (At 24:27). Filippo l’evangelizzatore viaggiò verso Cesarea alla fine di un giro di predicazione e forse vi si stabilì (At 8:40; 21:8). Cornelio, il primo non ebreo incirconciso a diventare cristiano, viveva a Cesarea (At 10:1, 24, 34, 35, 45-48). Fu probabilmente in questa città che Luca scrisse il suo Vangelo.