Vangelo secondo Marco 12:1-44
Note in calce
Approfondimenti
parabole La parola greca parabolè, che etimologicamente indica “il mettere una cosa accanto all’altra”, può riferirsi a una parabola, un proverbio, un paragone o un esempio. Gesù spesso spiegava una cosa mettendola accanto, o paragonandola, a una simile (Mr 4:30). Le sue parabole erano brevi narrazioni, di solito immaginarie, da cui si ricavava una morale o una verità spirituale.
torretta Piccola torre da cui si potevano sorvegliare le vigne per proteggerle da ladri e animali (Isa 5:2).
l’affittò Pratica comune nel I secolo in Israele. In questo caso il proprietario aveva fatto molti lavori preparatori, il che rendeva del tutto ragionevole che si aspettasse un ritorno.
parabole Vedi approfondimento a Mt 13:3.
torretta Vedi approfondimento a Mt 21:33.
l’affittò Vedi approfondimento a Mt 21:33.
la testa dell’angolo O “la principale pietra angolare”, “la pietra più importante”. “Testa dell’angolo” è la traduzione letterale dell’espressione ebraica riportata in Sl 118:22 e di quella greca qui presente. Anche se l’espressione è stata intesa in diversi modi, sembra che si riferisca alla pietra posta in cima all’angolo di un edificio, laddove si congiungono due muri, per garantire che questi rimangano uniti. Gesù citò questa profezia e la applicò a sé stesso, indicando che era lui “la testa dell’angolo”. Come la pietra più alta di un edificio è bene in vista, così Gesù Cristo è la pietra che corona l’unta congregazione cristiana, paragonata a un tempio spirituale.
il passo della Scrittura In greco ricorre il termine grafè al singolare, che qui fa riferimento a un singolo passo scritturale, Sl 118:22, 23.
la testa dell’angolo Vedi approfondimento a Mt 21:42.
Geova Nell’originale ebraico del passo di Sl 118:22, 23, qui citato, compare il nome divino trascritto con quattro consonanti ebraiche (traslitterate YHWH). (Vedi App. C.)
sostenitori di Erode Vedi Glossario.
tributo Vedi approfondimento a Mt 22:17.
a Cesare Vedi approfondimento a Mt 22:17.
tributo Tassa annuale pro capite che probabilmente ammontava a un denaro (la paga di una giornata lavorativa) e che i romani esigevano da tutti coloro che erano censiti (Lu 2:1-3).
a Cesare O “all’imperatore”. L’imperatore romano all’epoca del ministero terreno di Gesù era Tiberio, ma “Cesare” non si riferiva solo all’imperatore regnante. Poteva simboleggiare l’autorità civile romana (lo Stato) e i suoi rappresentanti, che Paolo chiama “autorità superiori” e a cui Pietro fa riferimento parlando del “re” e dei suoi “governatori” (Ro 13:1-7; 1Pt 2:13-17; Tit 3:1; vedi Glossario, “Cesare”).
denaro Questa moneta d’argento romana, che recava un’iscrizione con il nome di Cesare, era il tributo pro capite che i romani esigevano dagli ebrei (Mr 12:14). Ai giorni di Gesù i braccianti ricevevano solitamente un denaro per una giornata lavorativa di 12 ore, e le Scritture Greche Cristiane spesso usano il denaro come riferimento per calcolare altri valori monetari (Mt 20:2; Mr 6:37; 14:5; Ri 6:6). In Israele circolavano diversi tipi di monete di rame e d’argento, tra cui monete d’argento coniate a Tiro che venivano usate per pagare la tassa per il tempio. Ma evidentemente, per pagare le tasse ai romani, si usava il denaro d’argento che recava l’immagine, o effigie, di Cesare. (Vedi Glossario e App. B14.)
questa immagine e questa iscrizione Sulla faccia anteriore, o recto, del denaro comunemente in circolazione a quel tempo c’era un’effigie di Tiberio (imperatore dal 14 al 37 E.V.) con una corona d’alloro e l’iscrizione “Tiberio Cesare Augusto figlio del Divo Augusto” in latino. (Vedi anche App. B14.)
questa immagine e questa iscrizione Vedi approfondimento a Mt 22:20.
Rendete O “restituite”. Era stato Cesare a coniare le monete, quindi aveva il diritto di chiedere che gliene fosse restituita una parte. Tuttavia non aveva il diritto di esigere che una persona dedicasse la vita a lui. Dio ha dato agli uomini “la vita, il respiro e ogni cosa” (At 17:25). Quindi una persona può ‘rendere’ la sua vita e la sua devozione solo a Dio, l’unico che ha il diritto di esigere una devozione esclusiva.
a Dio ciò che è di Dio Con questa espressione si intende quello che si deve a Dio: adorarlo con tutto il cuore, amarlo con tutta l’anima e ubbidirgli in modo leale e completo (Mt 4:10; 22:37, 38; At 5:29; Ro 14:8).
Rendete Vedi approfondimento a Mt 22:21.
a Cesare ciò che è di Cesare Qui e nei passi paralleli di Mt 22:21 e Lu 20:25 è riportata l’unica circostanza della quale si abbia notizia in cui Gesù fece riferimento all’imperatore romano. Con “ciò che è di Cesare” si intende il pagamento per i servizi resi dai governi, nonché l’onore, il rispetto e la sottomissione relativa da mostrare alle autorità (Ro 13:1-7).
a Dio ciò che è di Dio Vedi approfondimento a Mt 22:21.
sadducei Questo è l’unico punto del Vangelo di Marco in cui si fa menzione dei sadducei. (Vedi Glossario.) È probabile che il termine (in greco Saddoukàios) sia riconducibile a Zadoc (nome spesso scritto Saddoùk nella Settanta), che fu nominato sommo sacerdote ai giorni di Salomone e i cui discendenti evidentemente prestarono servizio come sacerdoti per secoli (1Re 2:35).
risurrezione Il termine greco anàstasis significa letteralmente “il far alzare”, “l’alzarsi”. È utilizzato circa 40 volte nelle Scritture Greche Cristiane in riferimento alla risurrezione dei morti (Mt 22:23, 31; At 4:2; 24:15; 1Co 15:12, 13). Nella Settanta, Isa 26:19 riporta il verbo affine ad anàstasis come traduzione del verbo ebraico per “vivere” nell’espressione “i tuoi morti vivranno”. (Vedi Glossario.)
a sposare la donna fu il secondo Presso gli antichi ebrei, se un uomo moriva senza figli, ci si aspettava che il fratello ne sposasse la vedova per assicurare al defunto una discendenza (Gen 38:8). Questa consuetudine, successivamente incorporata nella Legge mosaica, era detta levirato (De 25:5, 6). Come dimostra la menzione che ne fanno i sadducei, ai giorni di Gesù il levirato era ancora praticato. Anche se la Legge permetteva a un uomo di rifiutarsi di assolvere il proprio dovere di cognato, era vergognoso che questi non volesse “dare un discendente a suo fratello” (De 25:7-10; Ru 4:7, 8).
le Scritture Questa espressione è spesso usata in riferimento agli ispirati scritti ebraici nel loro insieme.
le Scritture Vedi approfondimento a Mt 22:29.
nel libro di Mosè I sadducei riconoscevano come ispirati da Dio solo gli scritti di Mosè. Si opponevano a quello che Gesù insegnava riguardo alla risurrezione: evidentemente pensavano che questo insegnamento non avesse basi nel Pentateuco. Per sostenere la risurrezione dei morti, Gesù avrebbe potuto citare diversi passi delle Scritture, come Isa 26:19, Da 12:13 e Os 13:14. Ma, sapendo quali erano gli scritti accettati dai sadducei, ricorse a parole che Geova aveva detto a Mosè (Eso 3:2, 6).
che Dio gli disse Qui Gesù fa riferimento a una conversazione che ci fu tra Mosè e Geova verso il 1514 a.E.V. (Eso 3:2, 6). A quel tempo Abraamo era già morto da 329 anni, Isacco da 224 e Giacobbe da 197. Eppure Geova non disse: ‘Io ero il loro Dio’. Disse: ‘Io sono il loro Dio’. (Vedi approfondimento a Mr 12:27.)
ma dei vivi Secondo il passo parallelo di Lu 20:38, Gesù aggiunse: “Perché per lui [o “dal suo punto di vista”] sono tutti vivi”. La Bibbia mostra che gli esseri umani che sono vivi ma lontani da Dio sono morti dal suo punto di vista (Ef 2:1; 1Tm 5:6). D’altro canto, i servitori di Dio da lui approvati che sono ormai morti continuano a essere vivi dal suo punto di vista, dato che il suo proposito di risuscitarli si adempirà sicuramente (Ro 4:16, 17).
ma dei vivi Secondo il passo parallelo di Lu 20:38, Gesù aggiunse: “Perché per lui [o “dal suo punto di vista”] sono tutti vivi”. La Bibbia mostra che gli esseri umani che sono vivi ma lontani da Dio sono morti dal suo punto di vista (Ef 2:1; 1Tm 5:6). D’altro canto, i servitori di Dio da lui approvati che sono ormai morti continuano a essere vivi dal suo punto di vista, dato che il suo proposito di risuscitarli si adempirà sicuramente (Ro 4:16, 17).
Ascolta, o Israele Questa citazione di De 6:4, 5 è più ampia rispetto a quella che compare nei passi paralleli di Matteo e Luca. Qui è inclusa l’introduzione del cosiddetto Shemà, la professione di fede degli ebrei riportata in De 6:4-9; 11:13-21. Il nome Shemà deriva dall’ebraico shemàʽ, parola iniziale di De 6:4 che significa “ascolta!”, “odi!”
Geova è il nostro Dio; c’è un solo Geova O “Geova nostro Dio è un solo Geova”, “Geova è il nostro Dio; Geova è uno”. Nell’originale ebraico di De 6:4, qui citato, la parola tradotta “un solo” contiene l’idea di unicità. Geova è l’unico vero Dio; nessun falso dio è paragonabile a lui (2Sa 7:22; Sl 96:5; Isa 2:18-20). Nel libro di Deuteronomio, Mosè stava ricordando agli israeliti che dovevano rendere a Geova devozione esclusiva. Non dovevano imitare i popoli vicini, che adoravano varie divinità. Quei popoli credevano che alcuni dei loro falsi dèi controllassero certi elementi della natura e che altri fossero forme diverse di una stessa divinità. La parola ebraica tradotta “un solo” trasmette anche l’idea del carattere unitario di intenti e azioni. Geova Dio non è diviso, incoerente o imprevedibile. Al contrario, è sempre affidabile, coerente, leale e di parola. La conversazione riportata in Mr 12:28-34 compare anche in Mt 22:34-40, ma solo Marco include la parte introduttiva: “Ascolta, o Israele: Geova è il nostro Dio; c’è un solo Geova”. Il comandamento di amare Dio segue proprio questa affermazione, cosa che suggerisce che anche l’amore che i suoi servitori nutrono per lui dev’essere completo, non diviso.
Geova [...] Geova Nell’originale ebraico di De 6:4, qui citato, compare due volte il nome divino trascritto con quattro consonanti ebraiche (traslitterate YHWH). (Vedi App. C.)
cuore [...] anima [...] forza [...] mente Qui un esperto della Legge cita De 6:5, passo che nell’originale ebraico contiene tre termini: cuore, anima e forza. Comunque, secondo il racconto di Luca (scritto in greco), l’uomo fa riferimento ai quattro concetti di cuore, anima, forza e mente. La risposta dell’uomo mostra chiaramente che ai giorni di Gesù era opinione comune che in greco questi quattro termini usati insieme trasmettessero il senso delle tre parole ebraiche presenti in De 6:5. (Per ulteriori dettagli, vedi approfondimenti a Mr 12:30.)
anima Cioè la persona tutta, nella sua totalità. (Vedi Glossario.)
mente Cioè le facoltà intellettive. Una persona deve usare tali facoltà per conoscere Dio e accrescere il proprio amore per lui (Gv 17:3; Ro 12:1). Nell’originale ebraico di De 6:5, qui citato, compaiono tre parole: “cuore”, “anima” e “forza”. Ma in greco Matteo usa il termine “mente” al posto di “forza”. Potrebbero esserci varie ragioni che giustificano l’uso di parole diverse. Innanzitutto, anche se l’ebraico antico non aveva un termine specifico per “mente”, questo concetto era spesso incluso nel termine “cuore”. Quando è usato in senso figurato questo termine si riferisce all’essere interiore, cioè a pensieri, sentimenti, inclinazioni e motivi (De 29:4; Sl 26:2; 64:6; vedi l’approfondimento cuore in questo versetto). Per tale motivo, laddove il testo ebraico usa la parola “cuore”, la Settanta usa spesso l’equivalente greco per “mente” (Gen 8:21; 17:17; Pr 2:10; Isa 14:13). Un altro motivo per cui, citando De 6:5, Matteo potrebbe aver usato il termine greco “mente” invece di “forza” è che la parola ebraica resa “forza” (o “forza vitale”, nt.) può includere sia la forza fisica sia le capacità intellettive. In ogni caso, il fatto che ci sia una certa sovrapposizione di idee tra i termini usati in ebraico e in greco potrebbe spiegare perché gli scrittori dei Vangeli non citano Deuteronomio esattamente nello stesso modo. (Vedi approfondimenti a Mr 12:30; Lu 10:27.)
Geova Nell’originale ebraico di De 6:5, qui citato, compare il nome divino trascritto con quattro consonanti ebraiche (traslitterate YHWH). (Vedi App. C.)
cuore Quando è usato in senso figurato, il termine si riferisce generalmente all’essere interiore di una persona nella sua totalità. Comunque, quando è menzionato con “anima” e “mente”, a quanto pare assume un significato più specifico e si riferisce principalmente alle emozioni, ai desideri e ai sentimenti di una persona. Le quattro parole “cuore”, “anima”, “mente” e “forza” non si riferiscono a quattro concetti totalmente diversi; vengono usate con un significato che in parte si sovrappone, sottolineando nel modo più incisivo possibile il bisogno di un amore completo e assoluto verso Dio. (Vedi gli approfondimenti mente e forza in questo versetto.)
anima Vedi approfondimento a Mt 22:37.
mente Cioè le facoltà intellettive. Una persona deve usare tali facoltà per conoscere Dio e accrescere il proprio amore per lui (Gv 17:3; Ro 12:1). Nell’originale ebraico di De 6:5, qui citato, compaiono tre parole: “cuore”, “anima” e “forza”. Ma in greco Marco usa quattro termini: cuore, anima, mente e forza. Potrebbero esserci varie ragioni che giustificano l’uso di parole diverse. Il termine “mente” potrebbe essere stato aggiunto per trasmettere il pieno significato di concetti che in ebraico si sovrapponevano. Anche se l’ebraico antico non aveva un termine specifico per “mente”, questo concetto era spesso incluso nel termine “cuore”. Quando è usato in senso figurato questo termine si riferisce all’essere interiore, cioè a pensieri, sentimenti, inclinazioni e motivi (De 29:4; Sl 26:2; 64:6; vedi l’approfondimento cuore in questo versetto). Per tale motivo, laddove il testo ebraico usa la parola “cuore”, la Settanta usa spesso l’equivalente greco per “mente” (Gen 8:21; 17:17; Pr 2:10; Isa 14:13). L’uso di mente da parte di Marco potrebbe anche indicare che ci sia una certa sovrapposizione di idee tra il termine ebraico per “forza” e quello greco per “mente”. (Confronta Mt 22:37, dove compare “mente” invece di “forza”.) Questa sovrapposizione di idee potrebbe spiegare perché lo scriba, nel rispondere a Gesù, usa il termine “intelletto” (Mr 12:33). Potrebbe anche spiegare perché gli scrittori dei Vangeli non citano De 6:5 usando esattamente gli stessi termini. (Vedi l’approfondimento forza in questo versetto e gli approfondimenti a Mt 22:37; Lu 10:27.)
forza Come menzionato nell’approfondimento mente, nell’originale ebraico di De 6:5, qui citato, compaiono tre parole: “cuore”, “anima” e “forza”. La parola ebraica resa “forza” (o “forza vitale”, nt.) può includere sia la forza fisica sia le capacità intellettive. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui è stato incluso il concetto di “mente” quando De 6:5 è stato citato nelle Scritture Greche Cristiane. Potrebbe anche spiegare perché, nel citare lo stesso versetto, Matteo usò “mente” ma non “forza” (Mt 22:37). Secondo Lu 10:27 (scritto in greco), quando citò lo stesso versetto ebraico, uno scriba fece riferimento ai quattro concetti di cuore, anima, forza e mente. Questo dimostrerebbe che ai giorni di Gesù era opinione comune che in greco questi quattro termini usati insieme trasmettessero il senso delle tre parole ebraiche presenti in De 6:5.
Il secondo In Mr 12:29, 30 è riportata la risposta diretta di Gesù allo scriba. Ora però Gesù va oltre la domanda iniziale e cita un secondo comandamento (Le 19:18). Sottolinea che i “due comandamenti” sono indissolubilmente legati e che l’intera Legge e i Profeti si possono racchiudere in essi (Mt 22:40).
prossimo Vedi approfondimento a Mt 22:39.
prossimo Il sostantivo greco qui reso “prossimo” significa “vicino”, ma non si riferisce solo a chi vive nelle vicinanze; può riferirsi a qualunque persona con cui ci si trova a interagire (Lu 10:29-37; Ro 13:8-10; vedi approfondimento a Mt 5:43).
olocausti Il termine greco holokàutoma è composto da hòlos (“tutto”, “intero”) e kàio (“bruciare”). Ricorre solo tre volte nelle Scritture Greche Cristiane, qui e in Eb 10:6, 8. È usato nella Settanta a fronte di ʽolàh, termine ebraico che si riferisce a sacrifici bruciati completamente con il fuoco e offerti per intero a Dio, senza che alcuna parte dell’animale venisse mangiata dal fedele. Questo termine greco compare nella Settanta in 1Sa 15:22 e Os 6:6, passi che lo scriba poteva avere in mente quando parlò con Gesù (Mr 12:32). In quanto olocausto simbolico, Gesù diede interamente sé stesso.
Geova Nell’originale ebraico di Sl 110:1, qui citato, compare il nome divino trascritto con quattro consonanti ebraiche (traslitterate YHWH). (Vedi App. C.)
piazze Vedi approfondimento a Mt 23:7.
piazze O “luoghi di mercato”, “luoghi di raduno”. Il termine greco agorà è qui usato in riferimento a un luogo all’aperto dove anticamente nelle città e nei villaggi del Medio Oriente e del mondo greco-romano si comprava, si vendeva e si tenevano riunioni pubbliche.
primi posti O “posti migliori”. Evidentemente i capi della sinagoga e gli ospiti di riguardo sedevano vicino ai rotoli delle Scritture, davanti agli occhi di tutta la congregazione. Questi posti d’onore erano probabilmente riservati a persone in vista come loro.
primi posti Vedi approfondimento a Mt 23:6.
tesoro sacro Il termine originale qui presente potrebbe riferirsi all’area del tempio definita “sala del tesoro” in Gv 8:20, a quanto pare ubicata nel cortile delle donne, in cui c’erano 13 casse del tesoro. (Vedi App. B11.) Si ritiene che nel tempio ci fosse anche un tesoro principale dove veniva portato il denaro delle varie casse.
casse del tesoro Antiche fonti giudaiche riferiscono che queste casse per le contribuzioni avevano la forma di trombe rovesciate, o corni, evidentemente con una piccola apertura in alto. La gente vi depositava offerte di vario genere. La parola greca usata qui compare anche in Gv 8:20, dove è tradotta “sala del tesoro”. L’espressione sembra riferirsi a un’area che si trovava nel cortile delle donne. (Vedi approfondimento a Mt 27:6 e App. B11.) Secondo fonti rabbiniche, c’erano 13 casse del tesoro tutt’intorno al muro di questo cortile. Si ritiene che nel tempio ci fosse anche un tesoro principale dove veniva portato il denaro delle varie casse.
denaro Lett. “rame”, cioè denaro (o monete) di rame, sebbene il termine greco potesse riferirsi anche al denaro in generale. (Vedi App. B14.)
monetine In greco compare il termine leptà, plurale di leptòn, che con valore di aggettivo significa “sottile”, “fine”. Il lepton era una moneta che equivaleva a 1/128 di denaro ed era evidentemente la più piccola moneta di rame o di bronzo usata in Israele. (Vedi Glossario, “lepton”, e App. B14.)
di piccolissimo valore Lett. “che è un quadrante”. Con la parola greca kodràntes (dal latino quadrans) si indicava una moneta romana di rame o di bronzo che equivaleva a 1/64 di denaro. Marco fa riferimento a una moneta romana per spiegare il valore di monete usate comunemente dagli ebrei. (Vedi App. B14.)
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In Israele la vendemmia si faceva durante i mesi di agosto e settembre, a seconda del tipo di uva e del clima della regione. Di solito l’uva raccolta veniva messa in vasche di roccia calcarea o tini di pietra, e poi pigiata a piedi nudi; in genere gli uomini impegnati in questa attività la svolgevano cantando (Isa 16:10; Ger 25:30; 48:33).
1. Uva appena raccolta
2. Vasca superiore
3. Condotto di collegamento
4. Vasca inferiore
5. Giare di terracotta per il vino

Tiberio nacque nel 42 a.E.V. Nel 14 E.V. diventò il secondo imperatore di Roma. Morì a marzo del 37. Regnò durante tutto il ministero di Gesù, perciò era lui il Cesare in carica quando Gesù disse riguardo alla moneta del tributo: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare” (Mr 12:14-17; Mt 22:17-21; Lu 20:22-25).

Spazio aperto dove la gente si incontrava e dove si tenevano mercati. Alcuni mercati, come quello nell’immagine, erano situati lungo le strade. I venditori spesso le intasavano o bloccavano il traffico con tutte le loro merci. La gente del posto poteva acquistare articoli per la casa, stoviglie, costosi oggetti di vetro e prodotti freschi. Non essendoci la possibilità di refrigerare i cibi, era necessario andare al mercato ogni giorno per comprare le provviste. Chi andava a fare la spesa sentiva le notizie portate dai mercanti o da altri di passaggio, i bambini giocavano e chi era disoccupato aspettava di essere assunto. Gesù vi guariva i malati e Paolo vi predicava (At 17:17). Quanto agli orgogliosi scribi e farisei, amavano essere notati e salutati in questi luoghi pubblici.

Nel I secolo era comune che in occasione di un pasto ci si mettesse sdraiati attorno al tavolo. I commensali stavano reclinati sul fianco sinistro, con il gomito sinistro appoggiato a un cuscino, e mangiavano con la mano destra. Secondo la consuetudine del mondo classico, una tipica sala da pranzo aveva tre divani, o letti, disposti attorno a un tavolo basso. I romani la chiamavano triclinium (da un termine greco che indicava una stanza con, appunto, “tre letti”). In genere con questa disposizione potevano starci nove persone, tre a divano, ma diventò comune usare divani più lunghi per più persone. Tradizionalmente a ogni divano corrispondeva un grado di onore: più basso (A), medio (B) e più elevato (C). Anche la disposizione dei commensali sui divani rifletteva il grado di importanza. Una persona era considerata superiore a chi stava alla sua destra e inferiore a chi stava alla sua sinistra. A un banchetto più formale il padrone di casa di solito sedeva all’estrema sinistra (1) del divano con il grado di onore più basso. Il posto d’onore era nel divano centrale all’estrema destra (2). Anche se non è chiaro fino a che punto gli ebrei adottarono questa usanza, sembra che Gesù alludesse proprio a questa consuetudine quando insegnò ai suoi discepoli l’importanza dell’umiltà.

La ricostruzione presentata in questo video è in parte basata sui resti di una sinagoga del I secolo ritrovati a Gamala (Gamla), località circa 10 km a nord-est del Mar di Galilea. Nessuna sinagoga del I secolo è giunta intatta ai nostri giorni, quindi non si può sapere con certezza come fossero strutturate. Questa rappresentazione include alcuni degli aspetti che erano probabilmente presenti in molte sinagoghe di quel tempo.
1. I primi posti, o posti migliori, potevano trovarsi sulla pedana su cui saliva chi parlava o nelle immediate vicinanze.
2. La pedana dalla quale venivano lette le Scritture aveva una collocazione che forse variava da una sinagoga all’altra.
3. I gradini lungo le pareti potevano essere occupati da persone con una posizione di riguardo nella comunità. Gli altri probabilmente si sedevano sul pavimento sopra a delle stuoie. Sembra che la sinagoga di Gamala avesse quattro file di posti a sedere.
4. L’arca era la teca in cui venivano conservati i rotoli sacri e poteva trovarsi sulla parete in fondo.
La disposizione riguardante i posti a sedere nella sinagoga ricordava costantemente ai presenti che alcuni avevano una posizione superiore rispetto ad altri, argomento di cui spesso dibatterono i discepoli di Gesù (Mt 18:1-4; 20:20, 21; Mr 9:33, 34; Lu 9:46-48).

Secondo fonti rabbiniche, il tempio costruito da Erode conteneva 13 casse del tesoro. Il termine ebraico con cui erano chiamate (shohfàr) significa “corno di montone”, a indicare che almeno in parte la cassa poteva avere la forma di un corno o di una tromba rovesciata. Forse le parole di condanna di Gesù contro chi metaforicamente ‘suonava la tromba’ quando faceva doni di misericordia rievocarono nella mente dei suoi ascoltatori il rumore delle monete lasciate cadere in quelle casse a forma di tromba (Mt 6:2). Le due monetine offerte dalla vedova non avranno fatto molto rumore, ma Gesù mostrò che sia la donna che la sua contribuzione erano preziose per Geova.