Vangelo secondo Giovanni 6:1-71
Note in calce
Approfondimenti
Mar di Galilea Bacino d’acqua dolce nella parte settentrionale d’Israele. (Il termine greco tradotto “mare” può significare anche “lago”.) Era chiamato anche Mare di Cinneret (Nu 34:11), lago di Gennezaret (Lu 5:1) e Mar di Tiberiade (Gv 6:1). Si trova a circa 210 m sotto il livello del mare. È lungo 21 km da N a S e largo 12 km; ha una profondità massima di circa 48 m. (Vedi App. A7, cartina 3B, “Avvenimenti sul Mar di Galilea”.)
Mar di Galilea, anche detto di Tiberiade Il Mar di Galilea era a volte chiamato Mar di Tiberiade, dal nome della città che si trovava sulla sponda occidentale e che era stata chiamata così in onore dell’imperatore romano Tiberio Cesare (Gv 6:23). Il nome Mar di Tiberiade compare qui e in Gv 21:1. (Vedi approfondimento a Mt 4:18.)
la Pasqua Gesù iniziò la sua predicazione dopo il battesimo, nell’autunno del 29. La Pasqua che Giovanni menziona all’inizio del ministero di Gesù deve quindi riferirsi a quella celebrata nella primavera del 30. (Vedi approfondimento a Lu 3:1 e App. A7.) Da un confronto tra i quattro Vangeli emerge che durante il ministero terreno di Gesù la Pasqua fu celebrata quattro volte, e questo porta alla conclusione che il suo ministero durò tre anni e mezzo. I Vangeli di Matteo, Marco e Luca (spesso definiti sinottici) menzionano solo l’ultima, la Pasqua in cui Gesù morì. Giovanni ne menziona in modo esplicito tre (Gv 2:13; 6:4; 11:55), e molto probabilmente si riferisce a una quarta Pasqua con l’espressione “festa dei giudei” in Gv 5:1. Questo esempio sottolinea l’importanza di fare un confronto tra i Vangeli per ottenere un quadro più completo della vita di Gesù. (Vedi approfondimenti a Gv 5:1; 6:4; 11:55.)
una festa dei giudei Anche se Giovanni non specifica a quale festa faccia riferimento, ci sono buone ragioni per concludere che si tratti della Pasqua del 31. In genere Giovanni narra gli avvenimenti in ordine cronologico. In base al contesto, questa festa si colloca poco dopo il momento in cui Gesù disse che mancavano “ancora quattro mesi alla mietitura” (Gv 4:35). La mietitura, in particolare quella dell’orzo, iniziava nel periodo della Pasqua (14 nisan). Gesù avrebbe quindi fatto quell’affermazione quattro mesi prima, all’incirca nel mese di chislev (novembre/dicembre). Tra i mesi di chislev e nisan ricorrevano anche altre due feste, quella della Dedicazione e quella dei Purim. Ma quelle feste non richiedevano che un israelita andasse a Gerusalemme. Quindi in questo caso la “festa dei giudei” per cui Gesù andò a Gerusalemme come richiesto dalla Legge che Dio aveva dato a Israele sembra essere molto probabilmente la Pasqua (De 16:16). È vero che Giovanni riferisce solo pochi avvenimenti prima della successiva menzione della Pasqua (Gv 6:4), ma un esame dello schema dell’App. A7 indica che Giovanni tratta in modo molto conciso la prima parte del ministero di Gesù, sorvolando su molti avvenimenti già menzionati dagli altri tre evangelisti. Ma le molte attività di Gesù riportate negli altri Vangeli avvalorano la conclusione che ci fu un’altra Pasqua annuale fra quella menzionata in Gv 2:13 e quella menzionata in Gv 6:4. (Vedi App. A7 e approfondimento a Gv 2:13.)
la Pasqua La Pasqua del 33, evidentemente la quarta menzionata nel Vangelo di Giovanni. (Vedi approfondimenti a Gv 2:13; 5:1; 6:4.)
la Pasqua Evidentemente la Pasqua del 32, la terza Pasqua celebrata durante il ministero terreno di Gesù. (Vedi approfondimenti a Gv 2:13; 5:1; 11:55 e App. A7.)
dare da mangiare a questa gente Questo è l’unico miracolo di Gesù descritto in tutti e quattro i Vangeli (Mt 14:15-21; Mr 6:35-44; Lu 9:10-17; Gv 6:1-13).
senza contare le donne e i bambini Nel raccontare questo miracolo Matteo è l’unico a menzionare le donne e i bambini. È dunque possibile che in totale quelli che furono miracolosamente sfamati fossero ben più di 15.000.
Fateli sedere O “Fateli sdraiare”. Il pronome -li, inglobato nel verbo, traduce il termine greco ànthropos, che spesso si riferisce sia a uomini che a donne. Dove in questo versetto compare la parola uomini l’originale ha il termine greco anèr, che in questa circostanza, alla luce di Mt 14:21, indica solo maschi adulti. (Vedi approfondimento a Mt 14:21.)
c’erano circa 5.000 uomini Raccontando questo miracolo, Matteo è l’unico ad aggiungere la specifica “senza contare le donne e i bambini” (Mt 14:21). È dunque possibile che quelli che vennero sfamati miracolosamente fossero in totale ben più di 15.000.
mondo Il termine greco kòsmos qui si riferisce all’umanità. In questo contesto, l’espressione venire nel mondo sembra riferirsi principalmente non alla nascita letterale di Gesù ma al momento in cui ‘venne’ fra gli uomini in occasione del battesimo. Una volta battezzato, Gesù svolse il ministero che gli era stato affidato portando luce nel mondo, all’umanità. (Confronta Gv 3:17, 19; 6:14; 9:39; 10:36; 11:27; 12:46; 1Gv 4:9.)
il Profeta Nel I secolo molti ebrei credevano che il profeta come Mosè menzionato in De 18:15, 18 sarebbe stato il Messia. In questo contesto, l’espressione venire nel mondo sembra riferirsi alla comparsa del Messia atteso. Giovanni è l’unico a riportare quanto descritto in questo versetto. (Vedi approfondimento a Gv 1:9.)
per farlo re Giovanni è l’unico a riferire questo episodio. Gesù rifiutò categoricamente di farsi coinvolgere dai suoi connazionali nella politica. Avrebbe assunto il potere regale solo nel modo e al tempo stabiliti da Dio. Successivamente sottolineò che i suoi discepoli avrebbero dovuto adottare la stessa posizione (Gv 15:19; 17:14, 16; 18:36).
Mar di Galilea Bacino d’acqua dolce nella parte settentrionale d’Israele. (Il termine greco tradotto “mare” può significare anche “lago”.) Era chiamato anche Mare di Cinneret (Nu 34:11), lago di Gennezaret (Lu 5:1) e Mar di Tiberiade (Gv 6:1). Si trova a circa 210 m sotto il livello del mare. È lungo 21 km da N a S e largo 12 km; ha una profondità massima di circa 48 m. (Vedi App. A7, cartina 3B, “Avvenimenti sul Mar di Galilea”.)
Mar di Galilea, anche detto di Tiberiade Il Mar di Galilea era a volte chiamato Mar di Tiberiade, dal nome della città che si trovava sulla sponda occidentale e che era stata chiamata così in onore dell’imperatore romano Tiberio Cesare (Gv 6:23). Il nome Mar di Tiberiade compare qui e in Gv 21:1. (Vedi approfondimento a Mt 4:18.)
mare Cioè il Mar di Galilea. (Vedi approfondimenti a Mt 4:18; Gv 6:1.)
Mar di Galilea Bacino d’acqua dolce nella parte settentrionale d’Israele. (Il termine greco tradotto “mare” può significare anche “lago”.) Era chiamato anche Mare di Cinneret (Nu 34:11), lago di Gennezaret (Lu 5:1) e Mar di Tiberiade (Gv 6:1). Si trova a circa 210 m sotto il livello del mare. È lungo 21 km da N a S e largo 12 km; ha una profondità massima di circa 48 m. (Vedi App. A7, cartina 3B, “Avvenimenti sul Mar di Galilea”.)
5 o 6 chilometri Lett. “circa 25 o 30 stadi”. Il termine greco stàdion indica una unità di misura lineare pari a 185 m, cioè 1/8 del miglio romano. Dal momento che il Mar di Galilea è largo circa 12 km, è probabile che i discepoli si trovassero più o meno al centro del lago (Mr 6:47; vedi approfondimento a Mt 4:18 e App. A7 e B14).
Tiberiade Città sulla sponda occidentale del Mar di Galilea, circa 15 km a S di Capernaum e poco a N di alcune sorgenti di acqua calda rinomate nell’antichità. Fu costruita da Erode Antipa più o meno tra il 18 e il 26 E.V. perché fosse la sua nuova residenza e capitale. La chiamò Tiberiade in onore di Tiberio Cesare, allora imperatore di Roma, ed è ancora chiamata così (in ebraico Teverya). Sebbene fosse la città più grande della regione, questa è l’unica volta in cui viene menzionata nelle Scritture. Non viene mai detto che Gesù sia andato a Tiberiade, forse a motivo della forte influenza pagana di cui la città risentiva. (Confronta Mt 10:5-7.) In base alla testimonianza di Giuseppe Flavio, la città di Tiberiade era stata costruita su una necropoli; molti ebrei perciò erano stati riluttanti a trasferirsi lì (Nu 19:11-14). Dopo la rivolta giudaica del II secolo, Tiberiade fu dichiarata pura e diventò la principale città di formazione giudaica, nonché la sede del Sinedrio. La Mishnàh e il Talmud palestinese (o di Gerusalemme) furono compilati qui, così come il testo masoretico che in seguito fu usato per tradurre le Scritture Ebraiche. (Vedi App. B10.)
cibo che si deteriora, [...] cibo che dura e porta alla vita eterna Gesù sapeva che alcuni si erano uniti a lui e ai suoi discepoli solo per trarne dei vantaggi materiali. Mentre il cibo letterale tiene in vita giorno per giorno, il “cibo” che proviene dalla Parola di Dio offre agli esseri umani la possibilità di vivere per sempre. Per questo motivo Gesù esorta le folle a darsi da fare per procurarsi “il cibo che dura e porta alla vita eterna”, ovvero a fare ogni sforzo per soddisfare il proprio bisogno spirituale e riporre fede in ciò che imparano (Mt 4:4; 5:3; Gv 6:28-39).
ha apposto il suo sigillo Cioè gli ha dato la sua approvazione.
I nostri antenati mangiarono la manna Gli ebrei volevano un Re messianico che li sfamasse. Per giustificare questa loro aspettativa, ricordarono a Gesù che nel deserto del Sinai Dio aveva dato ai loro antenati la manna. Citando Sl 78:24, parlarono della manna provveduta miracolosamente come di pane [o “grano”] dal cielo. Quando chiesero a Gesù un “segno” (Gv 6:30), forse avevano in mente il miracolo che aveva compiuto proprio il giorno prima, quando aveva moltiplicato cinque pani d’orzo e due pesciolini ottenendo abbastanza cibo per sfamare migliaia di persone (Gv 6:9-12).
il mondo venne all’esistenza tramite lui Qui il termine greco kòsmos (“mondo”) si riferisce all’umanità, come si evince dal seguito del versetto: il mondo non l’ha riconosciuto. Questo termine era a volte utilizzato negli scritti secolari in relazione all’universo e al creato in generale; l’apostolo Paolo potrebbe averlo usato con questa accezione quando si rivolse a un uditorio di greci (At 17:24). Comunque, nelle Scritture Greche Cristiane il termine si riferisce generalmente all’umanità o a una sua parte. Anche se Gesù partecipò alla realizzazione di tutte le cose, inclusi i cieli, la terra e tutto ciò che si trova su di essa, questo versetto si concentra sul ruolo che ebbe nel portare all’esistenza l’umanità (Gen 1:26; Gv 1:3; Col 1:15-17).
mondo Nelle Scritture Greche Cristiane il termine greco kòsmos si riferisce generalmente all’umanità o a una sua parte. (Vedi approfondimento a Gv 1:10.) In Gv 1:29, di Gesù, l’Agnello di Dio, viene detto che “toglie il peccato del mondo”. In Gv 6:33 Gesù è definito il pane di Dio, il mezzo usato da Geova per dare vita e benedizioni all’umanità.
il pane della vita Questa espressione ricorre solo due volte nelle Scritture (Gv 6:35, 48). Il contesto fa capire che vita si riferisce alla “vita eterna” (Gv 6:40, 47, 54). In questa conversazione Gesù Cristo si definisce “il vero pane dal cielo” (Gv 6:32), “il pane di Dio” (Gv 6:33) e “il pane vivo” (Gv 6:51). Come lui stesso fa notare, è vero che Dio aveva provveduto agli israeliti la manna nel deserto (Ne 9:20), ma quel cibo non li aveva tenuti in vita per sempre (Gv 6:49). I suoi fedeli discepoli, invece, hanno a disposizione una manna celeste, “il pane della vita” (Gv 6:48-51, 58), che dà loro la possibilità di vivere per sempre. Ognuno di loro “mangia questo pane” esercitando fede nel potere di redenzione che hanno la carne e il sangue sacrificati da Gesù.
So che risorgerà Marta pensava che Gesù stesse parlando della risurrezione futura, nell’ultimo giorno. (Vedi approfondimento a Gv 6:39.) La fede che lei riponeva in quella dottrina era eccezionale. Alcuni capi religiosi dell’epoca, detti sadducei, negavano che ci sarebbe stata una risurrezione, malgrado questo fosse un chiaro insegnamento delle Scritture ispirate (Da 12:13; Mr 12:18). Quanto ai farisei, credevano nell’immortalità dell’anima. Marta, tuttavia, sapeva che Gesù insegnava la speranza nella risurrezione e che aveva perfino compiuto risurrezioni, anche se nessuno di quelli che aveva risuscitato era morto da così tanto tempo come Lazzaro.
li risusciti nell’ultimo giorno Gesù afferma quattro volte che risusciterà i morti nell’ultimo giorno (Gv 6:40, 44, 54). In Gv 11:24 anche Marta parla della risurrezione “nell’ultimo giorno”. (Confronta Da 12:13; vedi approfondimento a Gv 11:24.) In Gv 12:48 questo “ultimo giorno” è messo in relazione con un tempo di giudizio, che a quanto pare corrisponderà al Regno millenario, quando Cristo giudicherà l’umanità, compresi tutti i morti che saranno risuscitati (Ri 20:4-6).
vita eterna In questa circostanza, l’espressione “vita eterna” viene usata quattro volte (Gv 6:27, 40, 47, 54) da Gesù e una volta (Gv 6:68) da uno dei suoi discepoli. Nel Vangelo di Giovanni ci sono 17 occorrenze di “vita eterna”, mentre negli altri tre Vangeli messi insieme ce ne sono 8.
persone di ogni tipo Gesù dichiara che attirerà a sé persone provenienti da ogni ambiente, indipendentemente dalla nazionalità, dalla razza o dalle condizioni economiche (At 10:34, 35; Ri 7:9, 10; vedi approfondimento a Gv 6:44). È degno di nota che, in questa occasione, “dei greci” che erano al tempio per adorare vollero vedere Gesù. (Vedi approfondimento a Gv 12:20.) Molte traduzioni rendono il termine greco pàs in un modo che dà l’idea che infine Gesù attirerà a sé tutti gli esseri umani. Quest’idea, però, non è in armonia con il resto delle Scritture ispirate (Sl 145:20; Mt 7:13; Lu 2:34; 2Ts 1:9). È vero che pàs significa letteralmente “tutto” o “ogni” (Ro 5:12), ma Mt 5:11 e At 10:12 mostrano chiaramente che può significare “ogni tipo”, “ogni genere”; ci sono anche altre traduzioni che in questi versetti lo traducono con “di ogni sorta”, “di tutti i tipi” (Gv 1:7; 1Tm 2:4).
lo attiri Sebbene il verbo greco venga usato per descrivere l’azione di tirare su le reti da pesca (Gv 21:6, 11), qui non sta a indicare che Dio attiri le persone contro la loro volontà. Il verbo può significare anche “attirare”, “attrarre”, e l’affermazione di Gesù potrebbe alludere a Ger 31:3, dove Geova dice al suo popolo: “Ti ho attratto con amore leale”. (Qui nella Settanta compare lo stesso verbo greco.) In Gv 12:32 (vedi approfondimento) si legge che, in modo simile, Gesù attira a sé persone di ogni tipo. Le Scritture indicano che Geova ha dato agli esseri umani il libero arbitrio. Ogni persona ha la facoltà di scegliere se servirlo o meno (De 30:19, 20). Geova attira con delicatezza chi ha un cuore dalla giusta disposizione (Sl 11:5; Pr 21:2; At 13:48). Lo fa tramite il messaggio biblico e il suo spirito santo. A coloro che il Padre attira si applica la profezia di Isa 54:13, citata in Gv 6:45. (Confronta Gv 6:65.)
Geova Nell’originale ebraico di Isa 54:13, qui citato, compare il nome divino trascritto con quattro consonanti ebraiche (traslitterate YHWH). I manoscritti in greco del Vangelo di Giovanni che sono attualmente disponibili usano qui theòs (forse rispecchiando il termine usato in Isa 54:13 in copie della Settanta), il che spiega perché la maggior parte delle traduzioni ha “Dio”. Comunque, dato che questa citazione è un forte richiamo alle Scritture Ebraiche, nel testo del versetto è stato usato il nome divino. (Vedi App. C.)
ha in sé la vita O “ha in sé il dono della vita”. Gesù ha “in sé la vita” perché suo Padre Geova gli ha concesso un potere che in origine solo Lui aveva. Questo potere senza dubbio include l’autorità di dare agli uomini l’opportunità di avere una condizione approvata agli occhi di Dio e quindi di ottenere la vita, come pure la capacità di dare la vita risuscitando i morti. Circa un anno dopo aver fatto l’affermazione qui riportata, Gesù indicò che i suoi discepoli potevano avere vita in sé. (Per il significato dell’espressione “vita in voi” applicata ai discepoli di Gesù, vedi approfondimento a Gv 6:53.)
vita in voi In precedenza, come riportato in Gv 5:26, Gesù aveva detto che gli era stato concesso di “avere in sé la vita”, proprio come suo Padre “ha in sé la vita”. (Vedi approfondimento a Gv 5:26.) Ora, a distanza di circa un anno, usa la stessa espressione riferendosi ai suoi discepoli. Qui mette sullo stesso piano le espressioni “vita in voi” e “vita eterna” (Gv 6:54). Anziché indicare la capacità di dare la vita, in questo contesto l’espressione “vita in sé” sembra riferirsi all’essere vivi nel senso più pieno. I cristiani unti sono vivi nel senso più pieno dal momento in cui vengono risuscitati alla vita immortale in cielo. Quelli che hanno la speranza terrena, invece, lo saranno dopo aver superato la prova finale, che avrà luogo subito dopo la fine del Regno millenario di Cristo (1Co 15:52, 53; Ri 20:5, 7-10).
si nutre della mia carne e beve il mio sangue Dal contesto si comprende che le due azioni qui descritte vanno intese in senso figurato, con il significato di esercitare fede in Gesù Cristo (Gv 6:35, 40). Gesù fece questa affermazione nel 32, perciò non stava parlando della Cena del Signore, che avrebbe istituito solo un anno dopo. Disse queste parole appena prima della “Pasqua, la festa dei giudei” (Gv 6:4), quindi chi lo ascoltava avrebbe probabilmente pensato alla festa ormai prossima e al significato che il sangue dell’agnello ebbe nel salvare delle vite la notte in cui gli israeliti lasciarono l’Egitto (Eso 12:24-27). Gesù stava sottolineando che, in maniera analoga, il suo sangue avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel dare ai suoi discepoli la possibilità di ottenere la vita eterna.
unito a me O “in me”. Questa espressione denota un legame intimo, sintonia e unità.
una sinagoga O forse “un’assemblea pubblica”. Il sostantivo greco qui usato (synagogè) letteralmente significa “riunione”, “assemblea”. Nelle Scritture Greche Cristiane si riferisce quasi sempre all’edificio o al luogo in cui gli ebrei si radunavano per la lettura delle Scritture, l’insegnamento, la predicazione e la preghiera. (Vedi Glossario, “sinagoga”.) Anche se in questo contesto il termine potrebbe essere usato in senso più ampio per indicare qualsiasi tipo di riunione a cui poteva partecipare chiunque, molto probabilmente denota “una sinagoga” in cui Gesù si rivolse a un uditorio composto da ebrei che erano sotto la Legge mosaica.
ti porta a peccare O “ti fa inciampare”. Nelle Scritture Greche Cristiane il termine greco skandalìzo è usato con un significato metaforico: potrebbe includere il cadere nel peccato o il far cadere nel peccato qualcun altro. In questo contesto il termine in questione potrebbe anche essere reso “diventa per te una trappola (laccio)”. Nell’uso biblico il peccato può implicare la violazione di una delle leggi di Dio in campo morale, la perdita della fede oppure l’adesione a falsi insegnamenti. A volte il termine skandalìzo può essere usato nel senso di “scandalizzarsi”, “offendersi”. (Vedi approfondimenti a Mt 13:57; 18:7.)
ostacoli che portano a peccare O “pietre d’inciampo”. Sembra che in origine il termine greco skàndalon, in questo versetto reso “ostacolo che porta a peccare” o semplicemente “ostacolo”, si riferisse a una trappola; alcuni sostengono che indicava il legnetto della trappola a cui si attaccava l’esca. Per estensione, ha finito per indicare un ostacolo che farebbe inciampare o cadere qualcuno. In senso figurato si riferisce a un’azione o una circostanza che induce una persona a scandalizzarsi, ad avere una condotta sbagliata, a cadere dal punto di vista morale o a peccare. In Mt 18:8, 9 il verbo affine (skandalìzo) è tradotto “portare a peccare” e potrebbe essere anche reso “diventare una trappola (laccio)”.
Questo vi turba? O “Questo vi fa inciampare?”, “Questo vi scandalizza?”, “Questo vi porta a non credere più?” Nelle Scritture Greche Cristiane il termine greco skandalìzo è usato con un significato metaforico e spesso si riferisce al cadere nel peccato o al far cadere nel peccato qualcun altro. A seconda del contesto può implicare la violazione di una delle leggi di Dio in campo morale, la perdita della fede, l’adesione a falsi insegnamenti oppure l’offendersi. (Vedi approfondimenti a Mt 5:29; 18:7.)
cosa significa questo Lett. “che cos’è”. Qui la voce verbale greca estìn (letteralmente “è”) vuol dire “significa”, “rappresenta”. (Vedi approfondimento a Mt 26:26.)
rappresenta La parola greca estìn (che letteralmente significa “è”) qui ha il senso di “rappresenta”, “significa”, “simboleggia”. Questo significato era chiaro agli apostoli, dato che in quella circostanza davanti a loro c’erano sia Gesù con il suo corpo perfetto sia il pane azzimo che stavano per mangiare. Quindi quel pane non poteva essere il suo corpo letterale. È degno di nota che la stessa parola greca è presente in Mt 12:7, dove è resa “significa” in molte traduzioni bibliche.
lo spirito Evidentemente lo spirito santo di Dio. Gesù aggiunge che, a differenza della forza e della sapienza che Dio concede attraverso il suo spirito, la carne non è di nessuna utilità. Questo indica che le capacità e la sapienza degli uomini, riflesse nei loro scritti, nelle loro filosofie e nei loro insegnamenti, non possono far ottenere la vita eterna.
la carne Sembra che questa espressione si riferisca in linea di massima a ciò che è legato ai limiti dell’esistenza dell’uomo in quanto essere fatto di carne, inclusi i suoi ragionamenti e i risultati che raggiunge. Tutta l’esperienza e la saggezza umana — tutti gli scritti, le filosofie e gli insegnamenti umani — non sono di nessuna utilità al fine di ottenere la vita eterna.
sono spirito e sono vita Il termine greco reso “sono” (estìn) qui può avere il senso di “significano”, “rappresentano”. Questa espressione quindi potrebbe essere resa “significano spirito e significano vita”. (Vedi approfondimenti a Mt 12:7; 26:26.) Evidentemente Gesù intende dire che le sue parole sono ispirate dallo spirito santo e possono dare la vita.
un calunniatore O “un diavolo”. Il termine greco diàbolos, usato quasi sempre in riferimento al Diavolo, significa “calunniatore”. Nelle poche occorrenze in cui non indica il Diavolo viene reso “calunniatori” (2Tm 3:3) oppure “calunniatrici” (1Tm 3:11; Tit 2:3). Quando si riferisce al Diavolo, in greco è preceduto nella maggior parte dei casi dall’articolo determinativo. (Vedi approfondimento a Mt 4:1 e Glossario, “articolo determinativo”.) Qui è usato per descrivere Giuda Iscariota, che aveva sviluppato un’indole malvagia. Forse a questo punto Gesù individuò in lui i primi segnali di un comportamento sbagliato, che in seguito permise a Satana di servirsi di lui come complice nell’uccidere Gesù (Gv 13:2, 11).
sapeva Dal momento che Gesù era in grado di decifrare i pensieri e le inclinazioni di coloro che lo circondavano, è chiaro che Giuda, quando era stato scelto come apostolo, non aveva un’inclinazione al tradimento (Mt 9:4; Mr 2:8; Gv 2:24, 25). Ma quando successivamente Giuda iniziò a sviluppare un atteggiamento malvagio, Gesù colse il cambiamento e fu in grado di individuare il suo traditore. Nonostante sapesse che Giuda lo avrebbe tradito, Gesù lavò comunque i piedi di quel traditore. (Vedi approfondimenti a Gv 6:64; 6:70.)
Gesù sapeva [...] chi era colui che lo avrebbe tradito Gesù aveva in mente Giuda Iscariota. Gesù aveva trascorso una notte intera a pregare suo Padre prima di scegliere i 12 apostoli (Lu 6:12-16); questo vuol dire che all’inizio Giuda era fedele a Dio. Ma Gesù sapeva dalle profezie delle Scritture Ebraiche che sarebbe stato tradito da una persona a lui molto vicina (Sl 41:9; 109:8; Gv 13:18, 19). Quando Giuda cominciò a sviarsi, Gesù, che poteva leggere i cuori e i pensieri, colse il cambiamento (Mt 9:4). Avendo usato la sua prescienza, Dio sapeva che Gesù sarebbe stato tradito da un amico fidato. Ma l’idea che Giuda dovesse necessariamente sbagliare, come se fosse già scritto nel suo destino, è incompatibile con le qualità di Dio e il modo in cui ha sempre agito.
fin dall’inizio Questa espressione non si riferisce alla nascita di Giuda o al momento in cui fu scelto come apostolo, cosa che avvenne dopo che Gesù ebbe pregato un’intera notte (Lu 6:12-16). Si riferisce piuttosto a quando Giuda iniziò a comportarsi slealmente, cambiamento che Gesù colse subito (Gv 2:24, 25; Ri 1:1; 2:23; vedi approfondimenti a Gv 6:70; 13:11). Le azioni di Giuda furono quindi premeditate e pianificate, non il frutto di un cambiamento improvviso. Nelle Scritture Greche Cristiane il termine greco archè (qui tradotto “inizio”) può avere vari significati in base al contesto. Ad esempio, in 2Pt 3:4, dove viene tradotto “principio”, si riferisce all’inizio della creazione. Ma nella maggioranza dei casi viene usato in un senso più specifico. Un esempio si trova in queste parole pronunciate da Pietro: “Lo spirito santo scese su di loro [i non ebrei] come in principio era sceso su di noi” (At 11:15). Con l’espressione “in principio” non si stava riferendo al momento della sua nascita o al momento in cui era stato scelto come apostolo, ma al giorno della Pentecoste del 33; quello fu l’inizio del versamento dello spirito santo con un preciso scopo (At 2:1-4). In Lu 1:2; Gv 15:27; 1Gv 2:7 si possono trovare altre occorrenze in cui il valore da attribuire all’espressione “dall’inizio” è determinato dal contesto.
Diavolo Il termine greco qui usato è diàbolos, che significa “calunniatore” (Gv 6:70; 2Tm 3:3). Il verbo affine (diabàllo) significa “accusare”, “incolpare”, ed è reso “fu accusato” in Lu 16:1.
un calunniatore O “un diavolo”. Il termine greco diàbolos, usato quasi sempre in riferimento al Diavolo, significa “calunniatore”. Nelle poche occorrenze in cui non indica il Diavolo viene reso “calunniatori” (2Tm 3:3) oppure “calunniatrici” (1Tm 3:11; Tit 2:3). Quando si riferisce al Diavolo, in greco è preceduto nella maggior parte dei casi dall’articolo determinativo. (Vedi approfondimento a Mt 4:1 e Glossario, “articolo determinativo”.) Qui è usato per descrivere Giuda Iscariota, che aveva sviluppato un’indole malvagia. Forse a questo punto Gesù individuò in lui i primi segnali di un comportamento sbagliato, che in seguito permise a Satana di servirsi di lui come complice nell’uccidere Gesù (Gv 13:2, 11).
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La Bibbia usa parole diverse che indicano vari tipi di cesti. Ad esempio, dopo che Gesù ebbe sfamato miracolosamente circa 5.000 uomini, si legge che gli avanzi furono raccolti in 12 recipienti; il termine greco usato in riferimento a questi recipienti suggerisce l’idea di un cesto di vimini relativamente piccolo che si poteva portare a mano. Il testo greco riporta invece un termine diverso in riferimento ai sette cesti in cui vennero messi gli avanzi dopo che Gesù ebbe sfamato circa 4.000 uomini (Mr 8:8, 9). Questo termine designa un cesto di grandi dimensioni, ed è lo stesso usato per descrivere il tipo di cesta in cui Paolo fu calato attraverso un’apertura nelle mura di Damasco (At 9:25).