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Alla ricerca dell’acqua che dà la vita

Alla ricerca dell’acqua che dà la vita

Alla ricerca dell’acqua che dà la vita

PIÙ di duemila anni fa nel deserto siro-arabico fiorì una città di 30.000 abitanti: Petra. Nonostante il clima proibitivo — in quella regione le precipitazioni non superano in media i 150 millimetri l’anno — i suoi abitanti impararono a ovviare alla scarsità d’acqua. E Petra divenne ricca e importante.

I suoi abitanti nabatei non avevano pompe elettriche. Non costruirono dighe imponenti. Ma sapevano come raccogliere e conservare l’acqua. Grazie a un’enorme rete di piccoli bacini, condotti, canali e cisterne, riuscivano a convogliare nella loro città e nei loro orticelli l’acqua racimolata. Non ne sprecavano una goccia. I loro pozzi e le loro cisterne erano talmente ben costruiti che i beduini odierni li utilizzano ancora.

“L’idrologia è la bellezza nascosta di Petra”, dice ammirato un ingegnere idraulico. “Quella gente era davvero geniale”. (National Geographic, dicembre 1998) Di recente alcuni esperti israeliani hanno cercato di attingere dal genio dei nabatei, che come loro coltivavano prodotti agricoli nel Negheb, dove le precipitazioni superano di rado i 100 millimetri l’anno. Gli agronomi hanno esaminato i resti di migliaia di piccole fattorie nabatee i cui proprietari incanalavano abilmente le piogge invernali verso i loro campicelli a terrazze.

Le lezioni imparate dai nabatei stanno già aiutando gli agricoltori negli stati africani del Sahel, duramente colpiti dalla siccità. I metodi moderni di conservazione dell’acqua, tuttavia, possono essere altrettanto efficaci. A Lanzarote, una delle Isole Canarie, al largo della costa africana, i contadini hanno imparato a coltivare uva e fichi dove non piove quasi mai. Piantano le vigne o i fichi in fondo a grandi buche rotondeggianti e poi coprono il terreno con uno strato di cenere vulcanica per impedire l’evaporazione. La rugiada che gocciola fino alle radici può essere sufficiente a garantire un buon raccolto.

Soluzioni a bassa tecnologia

Simili casi di adattamento ai climi aridi si riscontrano in tutto il mondo: ad esempio tra i bishnoi che vivono nel deserto del Thar, in India, tra le donne turkana in Kenya e tra gli indiani navaho in Arizona. Nel soddisfare le necessità agricole le tecniche adottate da queste popolazioni per raccogliere l’acqua piovana, frutto di un’esperienza secolare, si stanno rivelando molto più affidabili delle eclatanti soluzioni ad alta tecnologia.

Nel XX secolo si sono costruite moltissime dighe. Possenti fiumi sono stati imbrigliati, e sono stati realizzati enormi progetti di irrigazione. Uno scienziato calcola che, a livello mondiale, il 60 per cento dei fiumi e dei corsi d’acqua siano stati in qualche misura controllati. Si sono ottenuti certi vantaggi, ma gli ecologi additano i danni procurati all’ambiente, per non parlare dei milioni di persone che hanno perso la casa.

Inoltre, nonostante le buone intenzioni, di rado a beneficiare di questi progetti sono i contadini che hanno disperato bisogno di acqua. Riferendosi alle opere di irrigazione in India, l’ex primo ministro Rajiv Gandhi ha detto: “Per 16 anni abbiamo versato fiumi di denaro. La gente non ha avuto niente in cambio: niente irrigazione, niente acqua, nessun aumento nella produzione, nessun aiuto nella vita quotidiana”.

Le soluzioni a bassa tecnologia, invece, si sono dimostrate più utili e meno dannose per l’ambiente. Piccoli bacini e dighe costruiti dalle comunità locali hanno avuto un grande successo in Cina, dove ne sono stati costruiti sei milioni. In Israele la gente ha scoperto che, con un po’ di ingegno, la stessa acqua si può usare prima per lavare, poi negli impianti igienici, e infine per l’irrigazione.

Un’altra soluzione pratica è l’irrigazione a goccia, che non danneggia il suolo e richiede solo il 5 per cento dell’acqua che richiederebbero i metodi tradizionali. Fare saggio uso dell’acqua significa anche scegliere coltivazioni adatte a un clima arido, come il sorgo o il miglio, anziché coltivazioni che hanno bisogno di essere irrigate abbondantemente, come la canna da zucchero o il mais.

Con un piccolo sforzo, anche gli utenti domestici e l’industria possono diminuire i consumi d’acqua. Per produrre un chilo di carta, ad esempio, può bastare circa un litro d’acqua se la cartiera la ricicla: il risparmio d’acqua è di oltre il 99 per cento. A Città di Messico i gabinetti tradizionali sono stati sostituiti con altri che consumano un terzo dell’acqua. La città ha lanciato anche una campagna di informazione per ridurre in maniera significativa l’uso dell’acqua.

La chiave per risolvere il problema

Per risolvere la crisi idrica — come per la maggior parte dei problemi ambientali — ci vuole un cambiamento di mentalità. La gente deve essere disposta a collaborare anziché ragionare egoisticamente, pronta a fare ragionevoli sacrifici se necessario, e determinata a salvaguardare la terra per i suoi abitanti futuri. Sotto questo aspetto Sandra Postel, in un libro dedicato al problema della scarsità d’acqua, spiega: “Abbiamo bisogno di un’‘etica dell’acqua’: un codice di comportamento che ci aiuti a prendere decisioni complesse su sistemi naturali che non comprendiamo e non possiamo comprendere appieno”. — Last Oasis—Facing Water Scarcity.

Tale “etica dell’acqua”, naturalmente, richiede un approccio che non sia solo locale. Come tra vicini, anche tra paesi ci dev’essere collaborazione, visto che i fiumi non conoscono frontiere. “Le preoccupazioni relative alla quantità e alla qualità dell’acqua — storicamente considerate distinte — devono ora essere viste come un problema globale”, dice Ismail Serageldin nel suo rapporto Beating the Water Crisis (Vincere la crisi idrica).

Ma indurre le nazioni ad affrontare problemi di natura globale non è affatto semplice, come ammette il segretario generale dell’ONU Kofi Annan: “Nell’odierno mondo globalizzato”, dice, “i meccanismi a disposizione per agire globalmente sono ancora a livello embrionale. Sarebbe ora che dessimo un significato più concreto all’idea di ‘comunità internazionale’”.

È chiaro che avere un’adeguata provvista di acqua pulita, pur essendo essenziale per la sopravvivenza, non è di per sé garanzia di salute e felicità. Gli esseri umani devono prima riconoscere di essere in debito nei confronti di Colui che ha provveduto sia l’acqua che la vita stessa. (Salmo 36:9; 100:3) E anziché sfruttare in maniera miope la terra e le sue risorse, devono ‘coltivarla e averne cura’, in armonia con il comando che il Creatore diede ai nostri primogenitori. — Genesi 2:8, 15; Salmo 115:16.

Un’acqua senza pari

Dal momento che l’acqua è così importante per la vita, non è strano che nella Bibbia le venga attribuito un significato simbolico. In effetti, per godere la vita come era proposito di Dio dobbiamo riconoscere la fonte di quest’acqua simbolica. Dobbiamo anche imparare ad avere lo stesso atteggiamento di quella donna del I secolo che chiese a Gesù Cristo: “Signore, dammi quest’acqua”. (Giovanni 4:15) Notate in quali circostanze disse queste parole.

Gesù si era fermato presso un pozzo profondo vicino all’odierna Nablus: a quanto pare, si trattava dello stesso pozzo che oggi è meta di turisti provenienti da tutto il mondo. A quel pozzo venne anche una samaritana. Al pari di molte donne del I secolo, non c’è dubbio che essa si recava regolarmente lì per attingere l’acqua per la famiglia. Gesù, però, disse che poteva procurarle “acqua viva”: una fonte d’acqua che non si sarebbe mai esaurita. — Giovanni 4:10, 13, 14.

Com’è comprensibile, l’interesse della donna fu destato. Naturalmente, l’“acqua viva” di cui parlava Gesù non era acqua letterale. Gesù aveva in mente i provvedimenti spirituali che possono permettere di vivere per sempre. Ad ogni modo, l’acqua simbolica e quella letterale hanno una cosa in comune: entrambe sono necessarie se vogliamo godere appieno la vita.

In più di un’occasione Dio intervenne a favore del suo popolo quando l’acqua letterale scarseggiava. Provvide miracolosamente acqua all’enorme folla di profughi israeliti che attraversarono il deserto del Sinai diretti verso la Terra Promessa. (Esodo 17:1-6; Numeri 20:2-11) Eliseo, un profeta di Dio, purificò il pozzo di Gerico, che era diventato contaminato. (2 Re 2:19-22) E quando da Babilonia un rimanente di israeliti pentiti fece ritorno in patria, Dio fece trovare loro ‘acqua nel deserto’. — Isaia 43:14, 19-21.

Quello di cui il nostro pianeta ha urgente bisogno oggi è una fonte d’acqua inesauribile. Dal momento che il nostro Creatore, Geova Dio, risolse i problemi relativi all’acqua nel passato, non farà altrettanto anche in futuro? La Bibbia ci assicura che lo farà. Descrivendo le condizioni che prevarranno sotto il suo Regno promesso, Dio dice: “Su nudi colli aprirò fiumi, e in mezzo alle pianure delle valli, fonti. Farò del deserto uno stagno d’acqua folto di canne, e del paese arido sorgenti d’acqua, . . . affinché vedano e conoscano e prestino ascolto e abbiano perspicacia nello stesso tempo, che la medesima mano di Geova ha fatto questo”. — Isaia 41:18, 20.

La Bibbia ci promette che in quel tempo le persone “non avranno fame, né avranno sete”. (Isaia 49:10) Grazie a una nuova amministrazione globale del pianeta, la crisi idrica verrà risolta in maniera definitiva. Questa amministrazione — il Regno per la cui venuta Gesù ci insegnò a pregare — opererà “mediante il diritto e mediante la giustizia, da ora e fino a tempo indefinito”. (Isaia 9:6, 7; Matteo 6:9, 10) Come risultato, persone di ogni parte del mondo diventeranno finalmente una vera comunità internazionale. — Salmo 72:5, 7, 8.

Se ora andiamo alla ricerca dell’acqua che dà la vita, possiamo aspettarci di vedere il giorno in cui ci sarà davvero acqua a sufficienza per tutti.

[Immagini a pagina 10]

Sopra: Gli antichi abitanti di Petra sapevano come conservare l’acqua

Sotto: Un canale per l’acqua scavato a Petra dai nabatei

[Fonte]

Garo Nalbandian

[Immagine a pagina 10]

Gli agricoltori di una delle Isole Canarie hanno imparato a coltivare piante dove non piove quasi mai

[Immagini a pagina 13]

Cosa intendeva dire Gesù quando promise “acqua viva” a questa donna?