Lettera agli Ebrei 2:1-18
Note in calce
Approfondimenti
Per questo dobbiamo Paolo collega il consiglio di questo versetto all’argomento che ha trattato fino a questo punto: la superiorità di Cristo rispetto agli angeli (Eb 1:1-14). Nel passato Dio aveva parlato per mezzo di profeti umani imperfetti e anche di angeli (Eb 2:2). Ora invece ha fatto qualcosa di ancora più grande: ha parlato per mezzo di suo Figlio, colui che è alla sua destra. È pertanto necessario ascoltare il più importante Portavoce di Dio.
prestare ancora più attenzione alle cose che abbiamo udito Qui Paolo sottolinea in modo enfatico che i cristiani devono prestare particolare attenzione a quello che hanno imparato dagli insegnamenti del Figlio di Dio. I cristiani ebrei correvano il pericolo di farsi distrarre dalla potente influenza del giudaismo con l’imponenza del suo tempio, del sacerdozio e delle tradizioni. Ecco perché dovevano rimanere concentrati. Il verbo greco originale, qui reso “prestare attenzione”, in senso letterale veniva usato con il significato di dirigere una nave per farle mantenere la rotta verso il porto o per ormeggiarla. I cristiani dovevano quindi tenersi stretti a quello che avevano imparato, senza perdere la rotta. Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che qui inizi una metafora di carattere nautico che viene poi sviluppata nella parte finale del versetto.
così da non andare mai alla deriva Sembra che qui Paolo continui la metafora di carattere nautico iniziata poc’anzi. Il verbo greco reso “andare alla deriva” a volte veniva utilizzato per riferirsi a una nave che rischiava di oltrepassare un porto sicuro a motivo di forti correnti o di venti contrari che potevano spingerla alla deriva, soprattutto se l’equipaggio era distratto. Paolo ricorre a questa metafora per mettere seriamente in guardia i cristiani ebrei: se si fossero distratti trascurando la propria fede o lasciando con negligenza che si indebolisse, avrebbero rischiato di andare alla deriva spiritualmente e di perdere la salvezza (Eb 2:3; confronta approfondimento a Eb 3:12).
la parola trasmessa mediante angeli Oltre ad At 7:53 e a Gal 3:19, questa è la terza occorrenza nelle Scritture Greche Cristiane in cui si dice che Dio usò degli angeli per trasmettere la Legge mosaica al suo popolo. (Vedi approfondimenti ad At 7:53; Gal 3:19; confronta At 7:38.) Le Scritture Ebraiche non lo dicono in maniera esplicita. Comunque molti ebrei dei giorni di Paolo si sarebbero detti d’accordo con questa verità. Infatti, la tradizione ebraica del I secolo insegnava che Dio aveva impiegato degli angeli per trasmettere la Legge. (Confronta Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XV, 136 [v, 3].) Fatto interessante, in De 33:2 Mosè descrive Geova con le sue “sante miriadi” e con “i suoi guerrieri”, e poi nei versetti successivi dice che Geova diede la Legge al suo popolo. Invece di “guerrieri”, nel v. 2 la Settanta usa il termine greco per “angeli”.
si è dimostrata certa Paolo indica che la Legge mosaica si era dimostrata certa, nel senso di sicura, perché aveva garantito o assicurato che venisse fatta giustizia per “ogni trasgressione”. Si era inoltre dimostrata certa, nel senso di stabile, perché era rimasta legalmente vincolante per un lungo periodo di tempo.
se avremo trascurato Il verbo greco qui presente significa “non darsi pensiero”, “essere incurante”. (Confronta Mt 22:5, dove lo stesso verbo è reso con il termine “indifferenti”.) Se quindi un cristiano trascura la salvezza resa possibile da Cristo non lo fa involontariamente; questa sua noncuranza è piuttosto una scelta deliberata. Ecco perché Paolo esorta i cristiani ebrei a “prestare ancora più attenzione” del solito alla parola di Dio espressa tramite suo Figlio (Eb 2:1).
Essa fu inizialmente annunciata dal nostro Signore La salvezza, ovvero il messaggio della salvezza, fu annunciata da Dio tramite il “nostro Signore”, cioè Gesù Cristo. Molti di coloro che ascoltarono Gesù diventarono suoi discepoli e a loro volta diedero testimonianza ad altri; è in questo modo che la salvezza fu confermata da coloro che avevano ascoltato Gesù in persona (Mt 28:19, 20; At 1:1, 8; 10:39-43; 1Tm 2:5, 6). Quindi anche i credenti che forse non avevano mai visto o ascoltato Gesù direttamente potevano essere sicuri che il messaggio di salvezza era stato loro trasmesso solo ed esclusivamente dal Figlio di Dio (1Pt 1:8).
Dio rendeva ulteriore testimonianza O “Dio si unì [a loro] nel rendere testimonianza”. Quando i cristiani del I secolo predicavano riguardo a Gesù, Geova Dio confermava la loro testimonianza permettendo loro di compiere in modo miracoloso segni, prodigi e varie opere potenti. (Vedi Glossario, “miracoli, opere potenti”, e approfondimenti ad At 2:19; 4:22.) In alcuni casi Dio rendeva questa ulteriore testimonianza concedendo loro doni dello spirito santo, come ad esempio la capacità di parlare in altre lingue, di profetizzare, di capire le espressioni ispirate e di compiere guarigioni (1Co 12:4-11; vedi approfondimento a 1Co 12:4). Questi miracoli e doni indicavano che la congregazione cristiana formata da poco aveva il sostegno di Dio. (Vedi approfondimento a 1Co 13:11.)
la futura terra abitata Con questa espressione a quanto pare Paolo sta facendo riferimento alla società umana che in futuro vivrà sulla terra sotto il governo di Gesù Cristo (Sl 37:29; Mt 5:5 e approfondimento; 2Pt 3:13; confronta Eb 1:6 e approfondimento). Alcuni studiosi ritengono che l’espressione originale tradotta “la terra abitata” (o “l’ecumene”, alla lettera “la abitata”) includa i cieli. Comunque tutte le altre occorrenze di questo termine nelle Scritture Greche Cristiane si riferiscono o all’intera terra o a una parte di essa abitata da esseri umani. Questo è un motivo per cui qui l’espressione è resa “la terra abitata”. (Vedi approfondimenti a Lu 2:1; At 17:31.) È vero che la fede cristiana include la speranza secondo cui alcuni esseri umani vanno in cielo (Eb 3:1), ma questo versetto indica che il proposito originale di Dio di trasformare la terra in un paradiso è rimasto invariato. (Confronta Lu 23:43 e approfondimento.)
in un passo qualcuno ha testimoniato Paolo non specifica né l’autore della citazione che sta per fare né il libro biblico da cui la prende. La cosa che interessava maggiormente a Paolo, come pure a tutti i fedeli che l’avrebbero letta, era che è Geova l’Autore di questa profezia, come pure di altre che si trovano nella Bibbia (2Tm 3:16; 2Pt 1:21). La citazione in questione è tratta da Sl 8:4-6; Paolo applica queste parole a Gesù. (Vedi approfondimento a Eb 2:9).
Lo facesti di poco inferiore agli angeli Quando il re Davide scrisse le parole citate qui (Sl 8:4-6), stava paragonando gli esseri umani ai potenti angeli. (Vedi Sl 8:5, nt.) Gli uomini sono fatti di “sangue e carne” (Eb 2:14; Sl 144:3). Gli angeli, invece, sono superiori agli esseri umani perché sono creature spirituali dotate di più forza e di maggiori capacità (2Pt 2:11). Qualche Bibbia, come ad esempio La Nuova Diodati, rende così questo versetto di Ebrei: “Tu lo hai fatto per un po’ di tempo inferiore agli angeli”. Ma il testo ebraico di Sl 8:5, citato da Paolo, non trasmette questa idea. (In merito all’applicazione di questo passo a Gesù, vedi approfondimento a Eb 2:9.)
lo coronasti di gloria e onore Paolo continua la sua citazione di Sl 8:4-6. Lì Davide aveva scritto che Dio ha creato gli esseri umani con un certo grado di “gloria e splendore” e ha dato loro autorità sulla terra (Gen 1:26-28; Eb 2:6-8). Comunque Paolo fa capire che quel passo ha anche un significato più profondo in quanto addita profeticamente l’unico uomo perfetto che discese da Adamo, Gesù Cristo. Come mostrano i versetti successivi, Gesù sarebbe stato coronato di gloria e onore ancora maggiori perché sarebbe stato disposto a sacrificare la sua vita umana perfetta (Eb 2:9 e approfondimento). Facendolo, avrebbe dato agli esseri umani ubbidienti la possibilità di riottenere la gloria e l’onore che Dio aveva conferito loro in origine. (Confronta approfondimento a 1Co 15:45.)
Ponesti ogni cosa sotto i suoi piedi Qui Paolo cita l’ultima parte di Sl 8:6. Anche se il passo di Sl 8:4-9 può essere applicato in generale all’essere umano mortale, sotto ispirazione Paolo spiega più volte che questo salmo è in realtà una profezia che riguarda il Messia (1Co 15:27; Ef 1:22). Le parole qui citate da Paolo non possono essere applicate pienamente a nessun essere umano imperfetto; infatti solo al primo uomo Adamo fu data questa autorità sulla creazione terrestre (Gen 1:28). Adamo, però, venne meno al suo incarico. Geova quindi diede grande autorità a Gesù, “il Figlio dell’uomo”, perché era sicuro che questi sarebbe riuscito dove Adamo aveva fallito (Mt 20:28; 28:18). Quando lo inviò sulla terra come essere umano, “lo [fece] di poco inferiore agli angeli”, ma alla fine Gesù sarebbe diventato il Re messianico e avrebbe avuto “ogni cosa sotto i suoi piedi” (Eb 2:7, 8).
Gesù, che era stato fatto di poco inferiore agli angeli Come spiegato nell’approfondimento a Eb 2:7, Paolo applica le parole di Sl 8:4-6 a Gesù. In effetti, quando venne qui sulla terra, Gesù era “di poco inferiore agli angeli”, era un “figlio dell’uomo” (Eb 2:6; vedi approfondimento a Mt 8:20). Quale essere umano perfetto era il giusto equivalente di Adamo. Per questo motivo poté dare la sua vita umana perfetta come sacrificio di riscatto; facendo ciò “ha gustato la morte per tutti”. (Vedi anche Glossario, “Figlio dell’uomo”, e approfondimenti a Gv 1:14.)
immeritata bontà Vedi Glossario.
ha gustato la morte per tutti Alla lettera il verbo greco qui reso “ha gustato” significa “assaggiare”, come nel caso di un cibo o una bevanda (Mt 27:34), ma è usato anche in senso metaforico. Nei Vangeli, ad esempio, l’espressione “gustare la morte” compare più volte ed è resa “morire” (Mt 16:28, nt.; Mr 9:1, nt.; Lu 9:27, nt.) o “sperimentare la morte” (Gv 8:52). Gesù per così dire gustò, o assaggiò, la morte quando diede la sua vita come riscatto. Stando a un commentario, l’espressione “gustare la morte” descrive “la terribile e penosa esperienza di morire, che è tipica degli esseri umani e che fu vissuta anche da Gesù”. Inoltre, quando era sulla terra, Gesù assaggiò la morte anche nel senso che vide di persona le conseguenze che ha sugli esseri umani e provò il dolore che affligge chi perde un caro (Gv 11:33-36).
Era giusto Era giusto, o appropriato, dal punto di vista di Geova che Gesù soffrisse così che potesse diventare perfetto in un senso particolare. Le sofferenze che affrontò lo prepararono ulteriormente per gli incarichi che avrebbe ricoperto in seguito. Diventò infatti perfettamente idoneo per servire in cielo quale Sommo Sacerdote compassionevole e Re messianico (Eb 2:17; 4:15; 5:8, 9; 7:1, 17, 25). Per questo motivo non è contraddittorio dire che un uomo già senza peccato possa comunque essere reso perfetto (1Pt 2:22).
Colui per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose Questa definizione deve necessariamente riferirsi a Geova, in quanto è lui che ha reso Gesù “perfetto attraverso le sofferenze”, come dice il versetto. Soltanto Geova è il Creatore dell’universo. (Confronta Ro 11:36; Ri 4:11.) Ma espressioni simili a volte sono applicate anche a Gesù, che “è l’immagine dell’Iddio invisibile” (Col 1:15; vedi anche Gv 1:3, 10; Eb 1:2), e che, nella sua esistenza preumana, lo ha affiancato nella realizzazione di tutte le Sue opere creative. (Vedi approfondimento a Col 1:16.)
nel portare molti figli alla gloria All’epoca del battesimo di Gesù, Geova usò lo spirito santo, o la sua potenza all’opera, per generarlo quale suo Figlio unto con lo spirito. Di conseguenza, Gesù “[nacque] di nuovo”, con la possibilità di tornare a vivere in cielo (Gv 3:3; 17:5). Diventò così il primo di “molti figli” a essere portato alla gloria celeste. In seguito, alla Pentecoste del 33, Dio iniziò a portare altri “figli alla gloria” quando, tramite Gesù, unse con lo spirito santo un gruppo di discepoli. Questi divennero pertanto figli di Dio, proprio come Gesù (At 2:1-4). Da quel momento in poi, Geova avrebbe continuato a scegliere e ungere singoli esseri umani, con lo scopo di nominare 144.000 cristiani che regnassero con Gesù in cielo (2Tm 2:12; 4:18; Ri 5:10; 14:1, 3; 20:4, 6). I cristiani unti sono portati alla gloria nel senso più pieno quando, dopo essersi dimostrati fedeli nelle prove, ricevono la ricompensa celeste (2Tm 4:8). In totale quindi i “molti figli” portati alla gloria in cielo saranno 144.001, ovvero Gesù e i suoi fratelli spirituali.
colui che li conduce alla salvezza O “il principale Condottiero (Agente) della loro salvezza”. Cioè Gesù Cristo, il quale ha aperto la strada per la salvezza e vi ha condotto altri. (Vedi Glossario, “principale Condottiero”, e approfondimenti ad At 3:15; 5:31; Eb 12:2.)
colui che santifica Cioè Gesù Cristo (Eb 13:12).
quelli che sono santificati Cioè i cristiani unti.
provengono tutti da uno Provengono cioè da Geova Dio. Egli è infatti il Padre di Gesù Cristo e ne adotta i discepoli ungendoli con lo spirito santo (Ro 8:14-17).
lui non si vergogna di chiamarli fratelli Quale “erede di tutte le cose”, Gesù occupa una posizione elevata (Eb 1:2). Al contrario, i suoi discepoli unti sono dei semplici esseri umani imperfetti. Eppure Gesù è felice di considerarli fratelli. È unito a loro da un legame stretto e affettuoso. In fin dei conti sono tutti fratelli spirituali perché hanno lo stesso Padre, Geova Dio (Mt 25:40; Gv 20:17; vedi approfondimenti a Mt 12:49; 28:10). Queste parole, con cui Paolo ricorda ai cristiani ebrei quello che Gesù prova per i suoi discepoli, devono essere state di enorme incoraggiamento per loro, che invece spesso subivano insulti, scherni e persecuzione dai loro connazionali (Eb 10:32-34).
quando dice Paolo qui cita dal Sl 22 e, sotto ispirazione, presenta le parole che seguono come se a dirle sia Gesù. Il Sl 22 contiene diversi passi profetici che additavano il Messia. (Confronta Sl 22:1 con Mt 27:46 e approfondimento; Sl 22:8 con Mt 27:41-43; Sl 22:15, 16 con Gv 19:28; Sl 22:18 con Mt 27:35; Lu 23:34; Gv 19:24.) Anche se non troviamo riscontro del fatto che Gesù abbia mai citato espressamente le parole di Sl 22:22 nel corso del suo ministero, si può ben dire che le abbia pronunciate in senso metaforico in quanto visse in armonia con esse e le adempì.
in mezzo alla congregazione Qui Paolo cita Sl 22:22, passo nel quale il re Davide espresse tutto il suo apprezzamento per il privilegio di lodare Geova in mezzo al popolo d’Israele. Lui e gli israeliti, infatti, formavano la “congregazione di Geova” (De 23:3). Nonostante fosse il loro re, Davide chiamò i suoi sudditi “miei fratelli”. (Confronta De 17:15; 1Cr 28:2.) Allo stesso modo, anche se esercita la sua autorità sulla congregazione cristiana, Gesù Cristo considera tutti i cristiani unti suoi fratelli spirituali (Mt 25:40; vedi approfondimento a Col 1:13). Cristo e i suoi discepoli unti costituiscono insieme la “casa di Dio”. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:15.)
“Riporrò la mia fiducia in lui” Qui Paolo cita Isa 8:17 dalla Settanta e, sotto ispirazione, attribuisce queste parole a Gesù. (Confronta approfondimento a Eb 2:12.) Quando visse come essere umano in carne e ossa, Gesù dovette confidare in Dio per adattarsi a tutta una serie di nuove circostanze (Eb 2:9 e approfondimento; confronta Gv 1:14 e approfondimento). A differenza di Adamo, Gesù dimostrò di affidarsi completamente a Geova; fece questo perfino di fronte all’ostilità che culminò con la sua esecuzione (Lu 23:46; confronta Sl 22:8; Mt 27:43). Quindi, essendo “un sommo sacerdote misericordioso e fedele”, è in grado di “venire in aiuto di quelli che sono messi alla prova” (Eb 2:16-18).
“Ecco, io e i figli che Geova mi ha dato” Sotto ispirazione Paolo cita Isa 8:18 e paragona Gesù e i suoi discepoli unti al profeta Isaia e ai suoi figli (Eb 2:13, 14). Come si evince dal contesto, “i figli” sono a tutti gli effetti figli di Dio e “fratelli” di Cristo, che è il Primogenito di Dio (Eb 1:6; 2:11, 12 e approfondimento; vedi anche Gv 1:12; 1Gv 3:1). Applicando in questo modo il passo di Isaia, Paolo usa un’immagine molto toccante che descrive gli unti discepoli di Cristo come parte della famiglia di Geova.
Geova Nell’originale ebraico di Isa 8:18, da cui è presa questa citazione, compare il nome divino trascritto con quattro consonanti ebraiche (traslitterate YHWH). Ecco perché qui il nome divino è usato nel testo principale. In questo passo i manoscritti in greco giunti fino a noi leggono Theòs (“Dio”), forse perché copie disponibili della Settanta usano il termine “Dio” in Isa 8:18. Questo potrebbe spiegare perché la maggior parte delle traduzioni ha “Dio” qui in Eb 2:13. (Vedi App. C1 e C2.)
sono fatti di sangue e carne O “sono partecipi del sangue e della carne”. Tutti i “figli”, ovvero i discepoli unti di Gesù, hanno provato cosa significa essere “sangue e carne”, cioè esseri umani. (Vedi approfondimento a Gal 1:16.) Quando venne sulla terra, anche Gesù fu un essere umano a tutti gli effetti, in quanto come loro era fatto di sangue e carne. (Vedi approfondimenti a Gv 1:14.)
per ridurre a nulla Geova dà a suo Figlio l’autorità di schiacciare Satana, il che alla fine si tramuterà nella sua distruzione definitiva (Gen 3:15; vedi approfondimento a Ro 16:20). È mediante la sua morte che Gesù decretò la sconfitta e la distruzione di Satana. Gesù infatti morì mantenendo un’integrità perfetta, intatta, e così vanificò qualsiasi tentativo di Satana di corromperlo. Rimanendo fedele fino alla morte, quindi, Cristo garantì che un giorno avrebbe cancellato “le opere del Diavolo”, eliminato la morte e infine distrutto Satana stesso (1Gv 3:8; 1Co 15:26 e approfondimento; Ri 20:10, 14).
colui che può causare la morte, cioè il Diavolo Questa affermazione è in armonia con quello che Gesù disse riguardo a Satana: “Lui fu omicida fin dal principio” (Gv 8:44). Il comportamento omicida di Satana si manifestò per la prima volta quando indusse Adamo ed Eva a ribellarsi in Eden; questo portò alla loro morte e a quella di tutti i loro discendenti (Ro 5:12). Da quel momento in poi Satana ha causato la morte ingannando e adescando gli esseri umani con l’obiettivo di allontanarli da Dio; ha continuato anche a promuovere odio e atteggiamenti omicidi. (Confronta 1Gv 3:12.) Comunque i cristiani non hanno alcun motivo di vivere nel terrore, come se il Diavolo potesse ucciderli in qualsiasi momento (Mt 4:10, 11; confronta Gc 4:7). Anche se è vero che “può causare la morte”, Satana non può superare i limiti che Geova gli ha imposto. (Confronta Gb 1:12; 2:6.)
liberare O “emancipare”. Mediante la sua morte Gesù è stato in grado di fare qualcosa che nessun sacerdote umano poteva fare: “ridurre a nulla” il Diavolo, “colui che può causare la morte” (Eb 2:14, 17). Inoltre con il suo sacrificio di riscatto ha aperto la via per la risurrezione. Ha potuto quindi liberare gli esseri umani dal paralizzante “timore della morte”, di cui molti sono schiavi. Scrivendo ai cristiani di Corinto, Paolo aveva predetto una futura vittoria sulla morte e aveva detto espressamente: “L’ultimo nemico a essere ridotto a nulla sarà la morte” (1Co 15:54-57; vedi approfondimento a 1Co 15:26). Paolo ricorda a quei cristiani che continuavano a considerare la morte come un nemico che questa non avrebbe causato loro nessun danno permanente se si fossero mantenuti fedeli a Dio.
viene in aiuto [...] della discendenza di Abraamo Qui con l’espressione “discendenza di Abraamo” ci si riferisce ai fratelli di Cristo, i cristiani unti. (Vedi approfondimenti a Gal 3:16, 29.) Il verbo greco tradotto “viene in aiuto” significa fondamentalmente “prendere”, “afferrare”. Potrebbe indicare l’azione di afferrare in modo deciso qualcuno e guidarlo mentre affronta una situazione pericolosa. Per esempio Geova ‘prese per mano’ gli israeliti per portarli fuori dall’Egitto (Eb 8:9). Il tempo verbale usato in questo versetto trasmette l’idea che l’aiuto che Cristo dà ai cristiani unti è costante, dura nel tempo. Per così dire Gesù li afferra e li aiuta a rimanere integri nonostante le difficoltà. In qualità di Mediatore e di Sommo Sacerdote, li aiuta perciò a mantenere una posizione pura agli occhi di Dio (Eb 2:18; 7:25). Per quanto riguarda gli angeli, invece, non è necessario che li aiuti nello stesso modo. Questa è la prima menzione di Abraamo nella lettera agli Ebrei; nel resto di questa lettera ispirata sarà menzionato più e più volte (Eb 2:16; 6:13, 15; 7:1, 2, 4-6, 9; 11:8, 17).
discendenza Lett. “seme”. (Vedi approfondimento a Gal 3:29; App. A2.)
doveva diventare simile ai suoi “fratelli” Gesù diventò simile ai suoi discepoli nel senso che diventò un essere umano a tutti gli effetti: non solo ebbe un corpo di sangue e carne, ma visse sulla sua pelle esperienze spiacevoli e sentimenti tristi, che sono comuni a tutti gli esseri umani (Eb 2:10). Per esempio provò cosa significa la fame, la sete, la stanchezza, il tradimento, l’umiliazione, l’angoscia, il dolore o la morte (Mt 4:2; 21:18; 27:27-30; Mr 4:37, 38; 14:33, 34; 15:37; Lu 22:44, 47, 48; Gv 4:6, 7; 19:1-3, 28). Gesù mostrò sensibilità ed empatia nei confronti di chi gli stava attorno, che si trattasse di perfetti sconosciuti o di persone a lui care (Mr 5:34; Lu 13:11, 12, 16; Gv 11:32-35). “Pertanto doveva” vivere come essere umano per poter essere un Sommo Sacerdote comprensivo e compassionevole per l’umanità (Eb 4:15).
sommo sacerdote La lettera agli Ebrei è l’unico libro delle Scritture Greche Cristiane a definire Gesù “sommo sacerdote”. Questa è la prima occorrenza; le altre si trovano in Eb 3:1; 4:14, 15; 5:5, 10; 6:20; 7:26; 8:1; 9:11. (Vedi Glossario e approfondimento a Eb 4:14.)
offrire un sacrificio propiziatorio O “offrire un sacrificio di espiazione”, “fare espiazione”. (Vedi approfondimento a Eb 9:5 e Glossario, “espiazione”.) In qualità di “sommo sacerdote misericordioso e fedele”, Gesù sacrificò la propria vita come riscatto per i peccati degli esseri umani. Questo sacrificio di espiazione dà a tutti coloro che esercitano fede la possibilità di “ottenere una liberazione eterna” (Eb 9:11, 12; Gv 3:16; 1Gv 2:2; 4:10; vedi approfondimenti a Ro 3:25; Eb 9:5).
quando è stato messo alla prova Il verbo greco usato qui ha un significato ampio. In base al contesto, può essere reso “essere messo alla prova” o “essere tentato”. È usato sia in riferimento a tentazioni sia a prove di fede più grandi (1Co 10:13; Eb 4:15; 11:17; Ri 2:10). Gesù venne messo alla prova in molti modi. All’inizio del suo ministero, fu tentato per tre volte da Satana, “il governante del mondo” (Gv 14:30; Mt 4:1-11). Durante il suo ministero fu messo alla prova costantemente, in alcuni casi persino dai suoi amici (Mt 16:22, 23). E alla fine del suo ministero affrontò la prova più difficile quando morì dopo essere stato torturato (Eb 12:2). Di fronte a ogni prova Gesù dimostrò un’integrità perfetta perché era motivato dall’amore per suo Padre (Gv 14:31).
può venire in aiuto Dato che è stato messo alla prova sotto ogni aspetto e ha sofferto davvero tanto, Gesù riesce a comprendere fino in fondo le sofferenze dei suoi discepoli; è in grado infatti di “capire le nostre debolezze” (Eb 4:15, 16). Paolo ha spiegato che Cristo viene in aiuto dei suoi discepoli in veste di sommo sacerdote misericordioso e compassionevole (Eb 2:17; vedi approfondimento a Eb 2:16). Gesù mantiene così la promessa di essere con loro fino alla fine (Mt 28:20). Li aiuta in vari modi tramite lo spirito santo di Geova (Lu 11:13; 12:11, 12; Gv 14:13, 14, 16, 26; 15:26).