Vangelo secondo Luca 23:1-56
Approfondimenti
a Cesare O “all’imperatore”. L’imperatore romano all’epoca del ministero terreno di Gesù era Tiberio, ma “Cesare” non si riferiva solo all’imperatore regnante. Poteva simboleggiare l’autorità civile romana (lo Stato) e i suoi rappresentanti, che Paolo chiama “autorità superiori” e a cui Pietro fa riferimento parlando del “re” e dei suoi “governatori” (Ro 13:1-7; 1Pt 2:13-17; Tit 3:1; vedi Glossario, “Cesare”).
a Cesare Vedi approfondimento a Mt 22:17.
Tu stesso lo dici Questa risposta è evidentemente usata da Gesù per sostenere la veracità della dichiarazione di Pilato. (Confronta approfondimenti a Mt 26:25, 64.) Gesù conferma di essere re, ma non nel senso che ha in mente Pilato: il Regno di Gesù “non fa parte di questo mondo” e non costituisce una minaccia per Roma (Gv 18:33-37).
Sei tu il re dei giudei? In tutti e quattro i Vangeli la domanda di Pilato è formulata esattamente allo stesso modo (Mt 27:11; Mr 15:2; Lu 23:3; Gv 18:33). Nei territori dell’impero romano nessuno poteva regnare senza il consenso di Cesare. Fu a quanto pare per questo motivo che Pilato, nell’interrogare Gesù, si concentrò sulla questione del potere regale di Gesù stesso.
Tu stesso lo dici Vedi approfondimento a Mt 27:11.
Erode Cioè Erode Antipa, figlio di Erode il Grande. Erode Antipa era il tetrarca della Galilea e della Perea. Solo Luca riferisce che Gesù fu portato davanti a Erode (Lu 3:1; vedi Glossario).
Lo vestirono di porpora Si trattò di un gesto compiuto per schernire Gesù e farsi beffe della sua regalità. Il racconto di Matteo (27:28) dice che i soldati gli misero addosso “un manto scarlatto”, un tipo di manto indossato da re, magistrati o ufficiali dell’esercito. In Marco e Giovanni (19:2) si legge che Gesù fu vestito di porpora, ma nell’antichità il termine “porpora” denotava varie sfumature di colore tra il rosso e il blu. Inoltre l’angolo di osservazione, il riflesso della luce e lo sfondo potrebbero aver influito sulla percezione del colore. Il fatto che nei Vangeli siano menzionati colori diversi dimostra una stesura indipendente da parte dei singoli evangelisti.
veste sontuosa Nell’intento di deridere Gesù quale re dei giudei, prima di rimandarlo da Pilato, Erode Antipa (ebreo nominale e tetrarca della Galilea e della Perea) potrebbe aver preso uno dei suoi abiti sontuosi e regali, probabilmente bianco. Il termine greco reso qui “veste” (esthès) di solito si riferiva a un indumento riccamente ornato. Angeli apparvero con vesti del genere (Lu 24:4; vedi anche Gc 2:2, 3). Lo stesso termine è usato per descrivere la “veste” reale indossata da Erode Agrippa I (At 12:21). Il termine invece qui reso “sontuosa” (lampròs) è affine a un verbo che significa “splendere”; quando è usato in riferimento a capi di vestiario, ne sottolinea l’eleganza e a volte il colore bianco o che brilla. A quanto pare la veste in questione era diversa dal “manto scarlatto”, chiamato anche “mantello color porpora”, con cui successivamente i soldati di Pilato rivestirono Gesù presso il palazzo del governatore (Mt 27:27, 28, 31; Gv 19:1, 2, 5; vedi approfondimenti a Mt 27:28; Mr 15:17). Erode, Pilato e i soldati romani avevano probabilmente lo stesso intento quando misero addosso a Gesù questi due abiti diversi: deriderlo quale cosiddetto re dei giudei (Gv 19:3).
manto scarlatto Si trattava del tipo di manto indossato da re, magistrati o ufficiali dell’esercito. In Mr 15:17 e Gv 19:2 si legge che Gesù fu vestito di porpora, ma nell’antichità il termine “porpora” denotava varie sfumature di colore tra il rosso e il blu. Inoltre l’angolo di osservazione, il riflesso della luce e lo sfondo potrebbero aver influito sulla percezione del colore. Il fatto che nei Vangeli siano menzionati colori diversi dimostra una stesura indipendente da parte dei singoli evangelisti.
Alcuni manoscritti qui leggono: “Ora egli aveva l’obbligo di liberare loro un uomo di festa in festa”. Queste parole però non compaiono in diversi autorevoli manoscritti antichi e a quanto pare non facevano parte del testo originale di Luca. Pochi altri manoscritti aggiungono queste parole dopo il v. 19. Frasi simili con delle piccole variazioni nella formulazione si trovano anche in Mt 27:15 e Mr 15:6, dove non ci sono incertezze legate al testo riportato. Si ritiene che questa in Luca sia un’interpolazione fatta da copisti, i quali hanno aggiunto una spiegazione sulla base dei brani paralleli dei Vangeli di Matteo e Marco.
liberaci Barabba L’episodio descritto in Lu 23:16-25 è menzionato da tutti e quattro gli evangelisti (Mt 27:15-23; Mr 15:6-15; Gv 18:39, 40). Comunque Matteo, Marco e Giovanni aggiungono un dettaglio: il fatto che il governatore rilasciasse un prigioniero in occasione della festa era una consuetudine. (Vedi approfondimenti a Mt 27:15; Mr 15:6; Gv 18:39.)
Tra voi [...] c’è l’usanza che io vi liberi un uomo L’abitudine di liberare un prigioniero è menzionata anche in Mt 27:15 e Mr 15:6. Pare che avesse avuto origine tra gli ebrei, dal momento che Pilato disse: “Tra voi [...] c’è l’usanza”. Anche se l’usanza di liberare un prigioniero non trova basi né precedenti nelle Scritture Ebraiche, sembra che ai giorni di Gesù fosse consolidata tra gli ebrei. Questa usanza non doveva risultare sconosciuta ai romani, visto che ci sono testimonianze secondo cui i romani liberarono prigionieri per ingraziarsi le folle.
liberava un prigioniero L’episodio che segue è riportato da tutti e quattro gli evangelisti (Mt 27:15-23; Lu 23:16-25; Gv 18:39, 40). Anche se l’usanza di liberare un prigioniero non trova basi né precedenti nelle Scritture Ebraiche, sembra che ai giorni di Gesù fosse consolidata tra gli ebrei. Questa usanza non doveva risultare sconosciuta ai romani, visto che ci sono testimonianze secondo cui i romani liberarono prigionieri per ingraziarsi le folle.
l’abitudine di liberare un prigioniero L’episodio che segue è riportato da tutti e quattro gli evangelisti (Mr 15:6-15; Lu 23:16-25; Gv 18:39, 40). Anche se l’usanza di liberare un prigioniero non trova basi né precedenti nelle Scritture Ebraiche, sembra che ai giorni di Gesù fosse consolidata tra gli ebrei. Questa usanza non doveva risultare sconosciuta ai romani, visto che ci sono testimonianze secondo cui i romani liberarono prigionieri per ingraziarsi le folle.
Cirene Città nordafricana ubicata nei pressi della costa, nell’odierna Libia, a SSO dell’isola di Creta. (Vedi App. B13.) Forse Simone, benché nato a Cirene, si era poi stabilito in Israele.
palo di tortura O “palo per l’esecuzione”. (Vedi Glossario, “palo”; “palo di tortura”; vedi anche Lu 9:23; 14:27, dove il termine è usato in senso metaforico.)
quando l’albero è verde, [...] quando sarà secco A quanto pare Gesù si sta riferendo alla nazione giudaica. Questa è paragonata a un albero che sta morendo ma non è del tutto secco, perché sia Gesù sia alcuni giudei che ripongono fede in lui sono ancora presenti. Tuttavia, a breve Gesù verrà ucciso e i giudei fedeli saranno unti con lo spirito santo ed entreranno a far parte dell’Israele spirituale (Ro 2:28, 29; Gal 6:16). Allora la nazione giudaica morirà a livello spirituale, diventando come un albero secco (Mt 21:43).
criminali Il termine greco qui usato è kakoùrgos, che significa letteralmente “malfattore”. Nei passi paralleli di Mt 27:38, 44 e Mr 15:27, dove quegli uomini vengono definiti “delinquenti”, compare il termine greco leistès, che può riferirsi a chi deruba usando la violenza o anche a un bandito o un rivoltoso. Lo stesso termine è usato in relazione a Barabba (Gv 18:40), che secondo Lu 23:19 era in prigione per sedizione e omicidio.
Golgota Da un termine ebraico che significa “teschio”. (Vedi Gv 19:17; confronta Gdc 9:53, dove la parola ebraica gulgòleth è resa “cranio”.) Ai giorni di Gesù questo luogo si trovava fuori dalle mura di Gerusalemme. Tuttavia l’esatta ubicazione è incerta. (Vedi App. B12.) La Bibbia non dice che il Golgota fosse su un colle, pur menzionando il fatto che alcuni osservavano l’esecuzione da lontano (Mr 15:40; Lu 23:49).
Teschio Il nome greco Kranìon è equivalente al nome ebraico Golgota. (Vedi approfondimenti a Mt 27:33; Gv 19:17.) Qui alcune Bibbie in italiano riportano il termine “Calvario”, che deriva dal termine latino per “teschio” (calvaria) usato nella Vulgata.
Golgota Da un termine ebraico che significa “teschio”. (Confronta Gdc 9:53; 2Re 9:35; 1Cr 10:10; in questi versetti la parola ebraica gulgòleth è resa “cranio”, “teschio”.) Ai giorni di Gesù questo luogo si trovava fuori dalle mura di Gerusalemme. Benché l’esatta ubicazione sia incerta, secondo alcuni è ragionevole pensare che si trovasse nelle vicinanze del punto in cui oggi sorge la Chiesa del Santo Sepolcro. (Vedi App. B12.) La Bibbia non dice che il Golgota fosse su un colle, pur menzionando il fatto che alcuni osservavano l’esecuzione da lontano (Mr 15:40; Lu 23:49).
Luogo del Teschio L’espressione Kranìou Tòpon è la resa greca del nome ebraico Golgota. (Vedi l’approfondimento Golgota in questo versetto. Per una trattazione dell’uso che le Scritture Greche Cristiane fanno del termine ebraico, vedi approfondimento a Gv 5:2.) In Lu 23:33 alcune Bibbie in italiano riportano il termine “Calvario”, che deriva dal termine latino per “teschio” (calvaria) usato nella Vulgata.
Ma Gesù [...] fanno Questa prima parte del versetto non compare in alcuni antichi manoscritti. Ma dal momento che altri manoscritti antichi e autorevoli riportano queste parole, la Traduzione del Nuovo Mondo, come molte altre versioni della Bibbia, le ha inserite nel testo.
perdonali Il contesto non specifica a chi si riferisse Gesù con questa richiesta, ma è probabile che stesse pensando alle folle che spinsero per la sua esecuzione; tra quelle folle c’erano alcuni che poco tempo dopo si pentirono (At 2:36-38; 3:14, 15). Forse pensava anche ai soldati romani che lo avevano messo al palo; questi ignoravano chi fosse realmente e perciò non avevano compreso la gravità di quello che stavano facendo. D’altro canto, Gesù non avrebbe mai chiesto a suo Padre di perdonare i capi sacerdoti, dato che erano responsabili della sua morte. Loro sapevano esattamente cosa stavano facendo quando avevano orchestrato di ucciderlo; lo avevano consegnato per invidia (Mt 27:18; Mr 15:10; Gv 11:45-53). È pure improbabile che Gesù stesse chiedendo a suo Padre di perdonare i criminali che erano accanto a lui, visto che nessuno di loro era responsabile della sua morte.
vino aspro O “aceto di vino”. Probabilmente un leggero vinello aspro detto in latino acetum, o posca quando era diluito con acqua. Si trattava di una bevanda a buon mercato che i poveri, inclusi i soldati romani, usavano per placare la sete. Il termine greco qui usato (òxos) ricorre anche nel testo della Settanta in Sl 69:21, dove era profetizzato che al Messia avrebbero dato da bere “aceto”.
vino aspro Vedi approfondimento a Mt 27:48.
un’iscrizione sopra di lui Alcuni manoscritti aggiungono quanto segue: “(scritta) in lettere greche e latine ed ebraiche”. Tuttavia queste parole non compaiono in altri manoscritti antichi e autorevoli, perciò sono ritenute un’interpolazione fatta dai copisti per armonizzare il testo con quello di Gv 19:20.
palo O “albero”. Il termine greco xỳlon (lett. “legno”) qui è sinonimo del greco stauròs (reso “palo di tortura”) e indica lo strumento utilizzato per mettere a morte Gesù, quello a cui fu inchiodato. Nelle Scritture Greche Cristiane, Luca, Paolo e Pietro usarono cinque volte il termine xỳlon in questa accezione (At 5:30; 10:39; 13:29; Gal 3:13; 1Pt 2:24). Nella Settanta xỳlon si trova in De 21:22, 23 come traducente del sostantivo ebraico ʽets (“albero”, “legno”, “pezzo di legno”) nell’espressione “e tu l’hai appeso a un palo”. Quando cita questo versetto in Gal 3:13, Paolo usa xỳlon nella frase: “Maledetto ogni uomo appeso al palo”. Nella Settanta questa parola greca si trova anche in Esd 6:11 (2 Esdra 6:11, LXX) e traduce il termine aramaico ʼaʽ, che corrisponde all’ebraico ʽets. In questo versetto si legge: “Se qualcuno viola questo decreto [del re persiano], venga tolta una trave dalla sua casa e lui vi sia appeso”. Il fatto che gli scrittori biblici abbiano usato xỳlon come sinonimo di stauròs è un’ulteriore prova che Gesù fu messo al palo su un legno diritto senza un braccio trasversale, dato che in questo particolare contesto xỳlon è usato con tale significato.
messi al palo Lett. “appesi”. Il verbo greco usato qui è kremànnymi, e non stauròo. Quando è riferito all’esecuzione di Gesù, kremànnymi compare in combinazione con l’espressione epì xỳlou (“a un palo [o “albero”, “legno”]”) (Gal 3:13; vedi approfondimento ad At 5:30). Nella Settanta questo verbo compare spesso per descrivere qualcuno appeso a un palo o a un albero (Gen 40:19; De 21:22; Est 8:7).
In verità ti dico oggi: Il testo greco delle Scritture Greche Cristiane che compare nei più antichi manoscritti oggi disponibili è scritto tutto in lettere maiuscole. Inoltre non presenta punteggiatura né spazi tra le parole, come invece è comune nelle lingue moderne. Anche se alcuni autori e copisti di tanto in tanto aggiungevano segni che forse avevano valore di punteggiatura, si trattava di segni che non venivano usati né spesso né sistematicamente. Pertanto la punteggiatura che compare nelle traduzioni bibliche moderne si basa sulla grammatica greca e sul contesto dei singoli passi. In questo versetto, la grammatica greca giustificherebbe un segno di interpunzione (i due punti o la virgola) sia prima che dopo la parola resa “oggi”. La posizione della punteggiatura all’interno di questa frase dipende da come i traduttori considerano il senso di quello che Gesù stava dicendo e da come intendono il messaggio della Bibbia nel suo insieme. Varie edizioni critiche del testo greco, come quelle di Westcott e Hort, di Nestle e Aland, e dell’Alleanza Biblica Universale, inseriscono una virgola prima della parola greca resa “oggi”. Tuttavia mettere la punteggiatura dopo “oggi” è coerente con le affermazioni fatte da Gesù in precedenza e con gli insegnamenti esposti in altri punti delle Scritture. Ad esempio, Gesù aveva detto che sarebbe morto e che sarebbe rimasto “nel cuore della terra”, ovvero la tomba, fino al terzo giorno (Mt 12:40; Mr 10:34). In più di un’occasione aveva detto ai discepoli che sarebbe stato ucciso e sarebbe poi risorto il terzo giorno (Lu 9:22; 18:33). Inoltre la Bibbia afferma che Gesù fu risuscitato come “primizia di quelli che si [erano] addormentati nella morte” e che ascese al cielo 40 giorni dopo (1Co 15:20; Gv 20:17; At 1:1-3, 9; Col 1:18). Dal momento che Gesù fu risuscitato non lo stesso giorno in cui morì ma il terzo giorno dalla sua morte, è evidente che il criminale non poteva essere con lui nel Paradiso lo stesso giorno in cui Gesù gli disse quelle parole.
Coerentemente con questo ragionamento, una versione siriaca del Vangelo di Luca nota come Codex Curetonianus, risalente al V secolo, traduce così questo versetto: “Amen, io ti dico oggi che con me tu sarai nel Giardino di Eden” (F. C. Burkitt, The Curetonian Version of the Four Gospels). È anche degno di nota che autori greci e commentatori, sia antichi che di epoca successiva, confermano che la resa di queste parole è da sempre una questione controversa. Ad esempio, Esichio di Gerusalemme, che visse fra il IV e il V secolo, commentando Lu 23:43, scrisse: “In effetti, alcuni leggono come segue: ‘In verità io ti dico oggi’, e inseriscono una virgola; poi aggiungono: ‘Tu sarai con me nel Paradiso’” (in Patrologiae Graecae, vol. 93, coll. 1432-1433). Teofilatto, che visse fra l’XI e il XII secolo, scrisse di alcuni che sostenevano la necessità di “inserire un segno di punteggiatura dopo ‘oggi’, tenendo insieme le parole ‘In verità io ti dico oggi’”, a cui poi facevano seguire l’espressione “tu sarai con me nel Paradiso” (Patrologiae Graecae, vol. 123, col. 1104). Lo studioso G. M. Lamsa, commentando l’uso della parola “oggi” in Lu 23:43, afferma: “In questo versetto l’enfasi è sulla parola ‘oggi’ e il testo si dovrebbe rendere: ‘In verità ti dico oggi: tu sarai con me nel Paradiso’. La promessa venne fatta quel giorno ma si sarebbe adempiuta in seguito. Questo [uso della parola ‘oggi’] è tipico del linguaggio orientale e sottintende che la promessa era stata fatta in un certo giorno e sarebbe stata sicuramente mantenuta” (Gospel Light—Comments on the Teachings of Jesus From Aramaic and Unchanged Eastern Customs). Pertanto la frase greca che ricorre in Lu 23:43 sembra riflettere un modo tipicamente semitico di dare enfasi. Nelle Scritture Ebraiche ricorrono numerosi esempi di questo uso idiomatico di “oggi” in espressioni solenni come promesse e comandi (De 4:26; 6:6; 7:11; 8:1, 19; 30:15; Zac 9:12). Come suggeriscono le summenzionate considerazioni, quindi, Gesù usò il termine “oggi” per richiamare l’attenzione non sul momento in cui il criminale sarebbe stato nel Paradiso ma sul momento in cui lui fece la promessa.
Varie traduzioni, come quelle inglesi di Rotherham e di Lamsa (edizione del 1933) e quelle tedesche di L. Reinhardt e di W. Michaelis, riconoscono che l’enfasi va giustamente posta sul momento in cui viene fatta la promessa e non sul momento in cui si adempie. Queste traduzioni rendono il versetto in modo simile alla Traduzione del Nuovo Mondo.
Paradiso La parola italiana “paradiso” viene dal greco paràdeisos; parole simili si trovano anche in ebraico (pardès, in Ne 2:8; Ec 2:5; Ca 4:13) e in persiano (pairidaēza). Tutt’e tre le parole trasmettono fondamentalmente l’idea di un bel parco o giardino. I traduttori della Settanta usarono il termine paràdeisos per tradurre l’ebraico gan (“giardino”) nell’espressione “giardino in Eden” in Gen 2:8. Alcune traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane (definite J17, 18, 22 nell’App. C) qui in Lu 23:43 leggono: “Tu sarai con me nel giardino di Eden”. Questo “Paradiso” promesso al criminale appeso accanto a Gesù non è il “paradiso di Dio” menzionato in Ri 2:7; infatti la promessa di Ri 2:7 venne fatta “a chi vince”, cioè a coloro che avrebbero regnato con Cristo nel Regno celeste (Lu 22:28-30). Quel criminale non aveva vinto il mondo con Gesù Cristo, né era nato “d’acqua e di spirito” (Gv 3:5; 16:33). Evidentemente sarà uno degli “ingiusti” che verranno risuscitati qui sulla terra come sudditi del Regno quando Cristo governerà per 1.000 anni la terra trasformata in Paradiso (At 24:15; Ri 20:4, 6).
verso la 3a ora Cioè circa le 9 del mattino. Nel I secolo gli ebrei dividevano la giornata in 12 ore, iniziando dall’alba, verso le 6 (Gv 11:9). Quindi la 3ª ora corrispondeva all’incirca alle 9 del mattino, la 6ª all’incirca a mezzogiorno e la 9ª all’incirca alle 3 del pomeriggio. Dal momento che la gente non aveva orologi precisi, le indicazioni temporali di solito erano approssimative (Gv 1:39; 4:6; 19:14; At 10:3, 9).
verso la 3a ora Cioè circa le 9 del mattino. Nel I secolo gli ebrei dividevano la giornata in 12 ore, iniziando dall’alba, verso le 6 (Gv 11:9). Quindi la 3ª ora corrispondeva all’incirca alle 9 del mattino, la 6ª all’incirca a mezzogiorno e la 9ª all’incirca alle 3 del pomeriggio. Dal momento che la gente non aveva orologi precisi, le indicazioni temporali di solito erano approssimative (Gv 1:39; 4:6; 19:14; At 10:3, 9).
circa la sesta ora Cioè mezzogiorno circa. (Vedi approfondimento a Mt 20:3.)
tenebre Quelle tenebre furono il risultato di un miracolo compiuto da Dio; non possono essere attribuite a un’eclissi solare. L’eclissi solare si verifica quando c’è la luna nuova. Ma quello era il periodo della Pasqua, perciò la luna era piena. Inoltre le tenebre durarono tre ore, un lasso di tempo molto più ampio dell’eclissi totale più lunga che si possa verificare (meno di otto minuti). Luca specifica che era “venuta a mancare la luce del sole” (Lu 23:45).
nona ora Cioè circa le 3 del pomeriggio. (Vedi approfondimento a Mt 20:3.)
cortina Tenda con bellissime decorazioni che nel tempio separava il Santissimo dal Santo. La tradizione ebraica indica che questo pesante drappo era all’incirca lungo 18 m, largo 9 m e spesso 7 cm. Squarciando in due questa tenda, Geova non solo manifesta la sua ira nei confronti degli assassini di suo Figlio, ma rende noto che è ora possibile accedere ai cieli (Eb 10:19, 20; vedi Glossario).
santuario Il termine greco naòs qui si riferisce all’edificio centrale che include Santo e Santissimo.
cortina Vedi approfondimento a Mt 27:51.
santuario Vedi approfondimento a Mt 27:51.
rese lo spirito O “spirò”, “smise di respirare”, “morì”. Il termine greco tradotto “spirito” (pnèuma) qui può essere inteso nel senso di “respiro” o “forza vitale”. Questo è confermato dal fatto che nel passo parallelo di Mr 15:37 viene usato il verbo greco ekpnèo (che letteralmente significa “espirare”, ma che potrebbe essere reso anche “esalare l’ultimo respiro”). Secondo alcuni, l’espressione originale tradotta “rese lo spirito” indica che Gesù smise volontariamente di lottare per restare in vita, dato che tutto era compiuto (Gv 19:30). Volontariamente “[versò] la sua vita alla morte” (Isa 53:12; Gv 10:11).
affido il mio spirito Gesù stava citando Sl 31:5. Lì Davide invocò Dio di custodire il suo spirito, o forza vitale; era un modo per dire che metteva la sua vita nelle mani di Dio. Alla morte, Gesù affidò la sua forza vitale a Geova; in questo modo le sue prospettive di vita futura sarebbero state interamente nelle mani di Dio. (Vedi Glossario, spirito.)
spirò Il verbo greco che ricorre qui è ekpnèo. Il verbo, che letteralmente significa “espirare”, potrebbe essere reso anche “esalare l’ultimo respiro”. (Vedi approfondimento a Mt 27:50.) Le Scritture mostrano chiaramente che, quando lo spirito uscì da lui, Gesù spirò, morì; non andò verso il cielo. Gesù stesso aveva predetto che non sarebbe stato risuscitato dai morti se non “il terzo giorno” (Mt 16:21; Lu 9:22). E come indica At 1:3, 9, la sua effettiva ascensione al cielo avvenne 40 giorni dopo.
centurione Ufficiale dell’esercito romano che aveva il comando di una centuria, unità di circa 100 soldati. (Vedi Glossario.) Secondo i brani paralleli di Matteo e Marco, anche il centurione riconobbe che Gesù “era il Figlio di Dio” (Mt 27:54; Mr 15:39).
Giuseppe La varietà dei dettagli che gli scrittori dei Vangeli forniscono riguardo a Giuseppe fa emergere alcune delle loro caratteristiche. L’esattore di tasse Matteo lo definisce “un ricco”; Marco, che scrisse principalmente per i romani, dice che era un “rispettabile membro del Consiglio” che aspettava il Regno di Dio; il medico Luca, una persona empatica, lo descrive come un “uomo buono e giusto” che non aveva votato a favore del complotto contro Gesù tramato dal Consiglio; Giovanni è l’unico a scrivere che Giuseppe era “discepolo di Gesù ma in segreto per paura dei giudei” (Mt 27:57-60; Mr 15:43-46; Lu 23:50-53; Gv 19:38-42).
Sinedrio Corte suprema giudaica che si trovava a Gerusalemme. Il termine greco synèdrion (reso “Sinedrio”) deriva da una parola che significa “con”, “insieme”, e una che significa “seggio”. Anche se era un termine generico usato per indicare un’assemblea o una riunione, in Israele poteva designare un organo giudiziario, un tribunale religioso. (Vedi approfondimento a Mt 5:22 e Glossario; per la possibile ubicazione della sala del Sinedrio, vedi App. B12.)
Giuseppe Vedi approfondimento a Mr 15:43.
membro del Consiglio O “consigliere”, cioè membro del Sinedrio, la corte suprema giudaica che si trovava a Gerusalemme. (Vedi approfondimento a Mt 26:59 e Glossario, “Sinedrio”.)
Arimatea Il nome di questa città deriva da un termine ebraico che significa “altura”. In Lu 23:51 Arimatea è definita “città della Giudea”. (Vedi App. B10.)
Arimatea Vedi approfondimento a Mt 27:57.
tomba O “tomba commemorativa”. Si trattava di un vano ricavato nella tenera roccia calcarea, e non di una grotta naturale. Spesso all’interno di queste tombe si trovavano dei ripiani o delle nicchie dove si collocavano le salme. (Vedi Glossario, “tomba commemorativa”.)
tomba Vedi approfondimento a Mt 27:60.
Preparazione Vedi approfondimento a Mt 27:62.
Preparazione Nome dato al giorno che precedeva il Sabato settimanale e durante il quale gli ebrei si preparavano cucinando per l’indomani e ultimando qualsiasi lavoro che non poteva essere rimandato a dopo il Sabato. In questo caso, il giorno della Preparazione cadde il 14 nisan (Mr 15:42; vedi Glossario).
tomba O “tomba commemorativa”. (Vedi Glossario, “tomba commemorativa”.)
Galleria multimediale

Questa è la foto di una riproduzione dell’osso di un calcagno umano trafitto da un chiodo di ferro lungo 11,5 cm. Il reperto originale fu rinvenuto nel 1968 durante degli scavi a N di Gerusalemme e risale all’epoca romana. Sarebbe la prova archeologica che i chiodi erano probabilmente utilizzati per assicurare al palo chi veniva giustiziato. Questo chiodo potrebbe essere simile a quelli usati dai soldati romani per mettere Gesù Cristo al palo. Il reperto si trovava in un ossuario, urna in cui si riponevano le ossa del defunto dopo la decomposizione. Questo indica che chi veniva messo al palo poteva comunque ricevere una sepoltura.

Gli ebrei avevano la consuetudine di seppellire i defunti in grotte naturali o tombe ricavate nella roccia. Queste tombe si trovavano di solito fuori dalla città, a eccezione delle tombe dei re. Le tombe ebraiche ritrovate si distinguono per la loro semplicità; questo era evidentemente dovuto al fatto che la religione degli ebrei non ammetteva il culto dei morti e non lasciava in alcun modo spazio all’idea di un’esistenza cosciente in un mondo spirituale dopo la morte.