Lettera a Filemone 1:1-25

1  Paolo, prigioniero+ a motivo di Cristo Gesù, e Timòteo+ nostro fratello, a te, Filèmone, nostro amato compagno d’opera, 2  e ad Affìa, nostra sorella, ad Archìppo,+ compagno di battaglia, e alla congregazione che si riunisce a casa tua.+ 3  Possiate avere immeritata bontà e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. 4  Ringrazio sempre il mio Dio quando ti menziono nelle mie preghiere,+ 5  dato che sento parlare della tua fede e dell’amore che hai per il Signore Gesù e per tutti i santi. 6  Prego che la fede che condividiamo ti spinga a riconoscere ogni cosa buona che abbiamo mediante Cristo. 7  Ho provato grande gioia e conforto udendo del tuo amore, perché grazie a te, fratello, il cuore dei santi ha trovato sollievo. 8  Proprio per questo, benché io abbia in Cristo piena libertà di ordinarti di fare ciò che è opportuno, 9  preferisco esortarti in nome dell’amore,+ essendo quello che sono: Paolo, un uomo anziano, e ora anche prigioniero a motivo di Cristo Gesù. 10  Ti esorto riguardo a mio figlio, del quale sono divenuto padre+ durante la mia prigionia:* Onèsimo,+ 11  che un tempo non ti era utile, ma che ora è utile a te e a me. 12  Te lo rimando, lui che mi è così caro. 13  Avrei voluto tenerlo qui con me perché mi servisse al posto tuo, ora che sono prigioniero a motivo della buona notizia.+ 14  Comunque non voglio fare nulla senza il tuo consenso, affinché il bene che farai non sia fatto per forza, ma volontariamente.+ 15  Forse in realtà è per questo che lui è rimasto lontano da te per breve tempo: perché tu potessi riaverlo per sempre, 16  non più come schiavo+ ma come qualcosa di più, come un caro fratello,+ particolarmente caro a me ma ancora di più a te, sia nella carne che nel Signore. 17  Perciò, se mi consideri un amico, accoglilo benevolmente come accoglieresti me. 18  Inoltre, se ti ha fatto qualche torto o ti deve qualcosa, mettilo in conto a me. 19  Io, Paolo, lo scrivo di mio pugno: pagherò io. Senza parlare del fatto che tu mi devi addirittura te stesso. 20  Sì, fratello, vorrei da te questo aiuto per amore del Signore:* da’ sollievo al mio cuore per amore di Cristo.* 21  Ti scrivo confidando nella tua disponibilità, certo che farai anche più di ciò che chiedo.+ 22  Nel frattempo, comunque, preparami un posto in cui stare, perché spero di esservi restituito grazie alle vostre preghiere.+ 23  Ti saluta Èpafra,+ mio compagno di prigionia a motivo di Cristo Gesù, 24  come pure Marco,+ Aristàrco,+ Dema e Luca,+ miei compagni d’opera.+ 25  L’immeritata bontà del Signore Gesù Cristo sia con lo spirito che voi mostrate.

Note in calce

Lett. “nelle catene”.
O “in Cristo”.
O “nel Signore”.

Approfondimenti

Lettera a Filemone A quanto pare intestazioni come questa non facevano parte del testo originale. Antichi manoscritti dimostrano che furono introdotte successivamente, senza dubbio per identificare con più facilità i vari libri. Il codice Sinaitico, famoso manoscritto del IV secolo, al termine della lettera contiene la dicitura “A Filemone”.

Paolo [...] e Timoteo O “da Paolo [...] e Timoteo”. È Paolo lo scrittore di questa lettera a Filemone, ma nei saluti iniziali include Timoteo, come fa in altre lettere (2Co 1:1; Col 1:1; 1Ts 1:1; 2Ts 1:1). Quando Paolo la scrisse, durante la sua prima detenzione a Roma, Timoteo era lì con lui. (Vedi approfondimento a Flp 1:1.) È probabile che Filemone conoscesse Timoteo, il quale era con Paolo a Efeso quando la buona notizia fu portata ad altre città della stessa regione, inclusa Colosse (At 19:22; 1Co 4:17; 16:8-10; vedi App. B13; vedi anche approfondimento a 1Co 16:9).

prigioniero In molte delle sue lettere, Paolo si definisce “apostolo” di Cristo Gesù. (Vedi ad esempio 1Co 1:1; Ef 1:1; Col 1:1; 1Tm 1:1; Tit 1:1.) Qui però non lo fa. Forse non vuole che Filemone si senta costretto a ubbidirgli a motivo della sua posizione. Appropriatamente usa la parola “prigioniero”, termine che, stando a un commentario, “poteva fare appello al cuore del suo amico”. Questo avrebbe ricordato a Filemone la situazione difficile in cui si trovava Paolo, il che forse lo avrebbe predisposto a reagire con benevolenza alla richiesta che gli verrà fatta più avanti nella lettera (Flm 9-12, 17).

prigioniero a motivo di Cristo Gesù Lett. “prigioniero di Cristo Gesù”. Paolo è detenuto a Roma per il fatto che è un discepolo di Cristo, ecco perché dice di essere prigioniero a motivo suo (Flm 9; vedi approfondimento a 2Tm 1:8).

Filemone, nostro amato compagno d’opera Filemone era un fratello della congregazione di Colosse, città nella provincia dell’Asia (Col 4:9). È possibile che fu grazie a Paolo che conobbe il cristianesimo (Flm 19). Anche se Paolo non predicò a Colosse, forse i due si incontrarono a Efeso nel periodo in cui “tutti quelli che abitavano nella provincia dell’Asia [...] poterono ascoltare la parola del Signore” (At 19:10). Filemone non lo accompagnò nei suoi viaggi missionari, ma Paolo lo considerava un compagno d’opera a motivo del contributo che diede alla diffusione della buona notizia. (Vedi approfondimenti a Ro 16:3; 1Co 3:9.)

Affia [...] Archippo Oltre a Filemone, nella lettera vengono menzionati per nome solo questi due componenti della congregazione che si riuniva nella sua casa. Molti studiosi hanno pertanto avanzato l’ipotesi che Affia fosse la moglie di Filemone e che Archippo fosse loro figlio. Alcuni ritengono che Paolo li menzioni perché Onesimo era stato schiavo in casa loro. Se le cose stavano così, tutti e tre erano coinvolti nella questione di cui scrisse Paolo. Che fossero parenti o no, Affia e Archippo furono considerati degni di essere menzionati in questa lettera. Paolo dà onore ad Affia chiamandola nostra sorella. Archippo è probabilmente lo stesso uomo che Paolo menziona nella lettera ai Colossesi. (Vedi approfondimento a Col 4:17.) Qui in Flm 2 Paolo lo definisce compagno di battaglia, sottolineando così lo stretto legame che c’era fra loro nonché il leale e coraggioso servizio che Archippo rendeva a Cristo. (Confronta Flp 2:25.)

e alla congregazione che si riunisce a casa tua Paolo indirizza questa lettera in primo luogo a Filemone, ma anche ad Affia, ad Archippo e a tutta la congregazione. Spesso i cristiani del I secolo si riunivano in case private (Col 4:15; vedi approfondimento a 1Co 16:19). Anche se in tutta la lettera Paolo parla direttamente a Filemone, è interessante notare che in greco nei vv. 3, 22 e 25 abbia usato i pronomi al plurale. È quindi possibile che volesse che la lettera fosse letta a tutta la congregazione. I pensieri espressi e i princìpi in essa contenuti erano così preziosi che di sicuro sarebbero stati utili a tutti.

Possiate avere immeritata bontà e pace Vedi approfondimento a Ro 1:7.

immeritata bontà Vedi Glossario.

quando ti menziono nelle mie preghiere Queste parole fanno capire quanto la preghiera fosse importante per Paolo. Le sue preghiere per Filemone esprimevano gratitudine a Dio (“ringrazio”), erano frequenti (“sempre”) ed erano personali (“ti menziono”). L’uso del pronome singolare (“ti”) indica che Paolo pregava per il suo amico Filemone in modo specifico. (Confronta Ro 1:9; 1Co 1:4; Ef 1:16; Flp 1:3-5; 1Ts 1:2.)

della tua fede e dell’amore che hai Fede e amore sono un importante tema di questa lettera indirizzata a Filemone. Spesso Paolo cita insieme queste due qualità (Ef 1:15; Col 1:4). Qui loda Filemone (il cui nome significa “amorevole”) perché le manifesta entrambe. Filemone infatti esprime la sua fede e il suo amore per Gesù con il modo in cui tratta i santi, ovvero i suoi fratelli e le sue sorelle.

fratello I primi cristiani spesso si riferivano l’uno all’altro utilizzando i termini “fratello” e “sorella” (Ro 16:1; 1Co 7:15; Flm 1, 2). Usando queste parole che esprimono affetto davano risalto non solo alla loro unità cristiana ma anche al forte legame che li rendeva una famiglia spirituale in cui Geova era il Padre (Mt 6:9; 23:9; Ef 2:19 e approfondimento; 1Pt 3:8). Stando ad alcuni studiosi, qui e nel v. 20, dove Paolo chiama Filemone “fratello”, l’uso del vocativo fa trasparire il calore della loro amicizia. Alcune traduzioni hanno pertanto la resa “fratello mio” o “fratello caro”.

il cuore Lett. “le viscere”. Qui Paolo usa un termine greco (splàgchnon) che alla lettera si riferisce agli organi interni. In senso figurato indica un sentimento profondo, emozioni intense o la sede di tali emozioni. (Vedi anche approfondimento a 2Co 6:12.) Paolo ricorre alla stessa parola greca nei vv. 12 e 20. Un’opera di consultazione osserva: “L’uso ripetuto del termine in questa breve lettera la dice lunga su quanto Paolo si sentisse coinvolto”.

piena libertà O “libertà di parola”, “assenza di paura”. Il termine greco parresìa significa fondamentalmente “coraggio nel parlare”. Forse, specificando in Cristo, Paolo allude all’autorità che Gesù gli ha conferito come apostolo. Comunque, come spiega nel versetto successivo, non vuole ricorrere alla sua autorità per impartire ordini a Filemone, né intende approfittare del legame cristiano che li unisce per imporgli di fare qualcosa contro la sua volontà (Flm 9, 14). Perciò, in questo contesto, il termine usato da Paolo e reso “piena libertà” sembra voler indicare un discorso franco tra amici.

preferisco esortarti in nome dell’amore Paolo ha già detto che l’affetto di Filemone per Cristo e i suoi compagni di fede era ben noto (Flm 5, 7). L’apostolo confidava nel fatto che sarebbe stato questo sentimento a spingere Filemone a fare la cosa più amorevole (Flm 21). Sapeva anche, però, che non poteva forzarlo a mostrare amore. In relazione a questo versetto, un’opera di consultazione afferma: “L’amore può essere sollecitato, ma non imposto”.

un uomo anziano All’epoca della stesura di questa lettera, Paolo era forse sulla cinquantina o sessantina. Alcune fonti spiegano che la parola greca usata qui poteva riferirsi a “un uomo tra i 50 e i 56 anni”. Comunque, nella Settanta, lo stesso termine è utilizzato in riferimento ad Abraamo ed Eli, i quali, nelle occasioni descritte, erano molto più vecchi (Gen 25:8; 1Sa 2:22; LXX). Perciò il semplice fatto che Paolo abbia parlato di sé usando questo termine non è sufficiente per determinare quanti anni avesse quando scrisse la lettera a Filemone. Per stabilirlo, in realtà, sono molto più utili alcuni fatti relativi alla sua vita: si era convertito al cristianesimo intorno al 34 e aveva scritto questa lettera circa 25 anni dopo, quindi tra il 60 e il 61; inoltre all’epoca della sua conversione non poteva essere giovanissimo dato che era già conosciuto e stimato dal sommo sacerdote. Alcuni ritengono quindi che sia nato più o meno nello stesso periodo di Gesù o poco dopo. Alcune traduzioni della Bibbia rendono il termine originale con “un ambasciatore”, ma la maggioranza degli studiosi propende per la resa “un uomo anziano”, che è lo stesso modo in cui il termine è stato inteso in Lu 1:18 (“vecchio”) e Tit 2:2 (“uomini d’età avanzata”). (Confronta 2Co 5:20 e approfondimento; Ef 6:20 e approfondimento.)

prigioniero a motivo di Cristo Gesù Vedi approfondimenti a Flm 1.

Onesimo Onesimo era uno schiavo al servizio di un cristiano di nome Filemone; dopo aver probabilmente derubato il suo padrone, era fuggito a Roma, dove si era convertito (Flm 18; vedi approfondimento a Col 4:9). Anche se la breve lettera a Filemone è incentrata su Onesimo, è solo qui che il suo nome viene menzionato per la prima volta. Durante la sua detenzione a Roma, Paolo era diventato come un padre per Onesimo, da quello che si legge in questo versetto. Lo chiama addirittura mio figlio, il che suggerisce che a quanto pare aveva avuto un ruolo decisivo nella sua conversione. (Confronta 1Co 4:15; Gal 4:19.)

che un tempo non [...] era utile, ma che ora è utile In questo versetto Paolo descrive il cambiamento radicale che era avvenuto nella vita di Onesimo. Questo schiavo “un tempo non [...] era utile”; non solo era fuggito dal suo padrone ma anche prima, quando era al suo servizio, non è detto che fosse affidabile. (Vedi approfondimento a Flm 18.) Una volta convertito al cristianesimo, però, era diventato “utile” sia all’apostolo Paolo che a Filemone.

non [...] utile, [...] utile A quanto pare in questo versetto Paolo ricorre a un gioco di parole. Il termine reso “utile” ha un significato simile al nome Onesimo, che vuol dire appunto “vantaggioso”, “utile”. (Secondo alcune opere di consultazione, era un nome comune nel I secolo, soprattutto tra gli schiavi.) Inoltre Paolo gioca sui due termini greci àchrestos (“inutile”, “non utile”) ed èuchrestos (“utile”). In pratica dice che colui che si chiama “utile” è stato per tanto tempo “non [...] utile”, ma adesso è diventato veramente “utile”. (Vedi anche approfondimenti a Col 4:9; Flm 10.)

Te lo rimando Rimandando Onesimo da Filemone, Paolo mostra la dovuta sottomissione alle autorità (Ro 13:1). È vero che aveva detto agli schiavi che, se avevano legalmente la possibilità di diventare liberi, dovevano approfittarne (1Co 7:21). Comunque sapeva che Cristo non aveva mai autorizzato i suoi discepoli a trasgredire la legge del paese in cui vivevano opponendosi alla schiavitù come istituzione (Gv 17:15, 16; 18:36 e approfondimento; vedi anche approfondimento a 1Tm 6:1).

che mi è così caro Lett. “è le mie viscere”. (Vedi approfondimento a Flm 7.)

mi servisse Qui Paolo forse ha in mente svariati modi in cui Onesimo avrebbe potuto essergli d’aiuto. Il verbo greco diakonèo (“servire”) trasmette fondamentalmente l’idea di non risparmiarsi nel servire umilmente gli altri. In questo contesto può riferirsi al fatto che Onesimo avrebbe potuto aiutare Paolo svolgendo attività utili come procurargli o preparargli del cibo oppure fare per lui altre cose di carattere pratico. In ultima analisi, assistere Paolo equivaleva a prodigarsi umilmente a favore della buona notizia. (Vedi approfondimenti a Lu 8:3; 22:26.)

volontariamente O “spontaneamente”, “deliberatamente”. Qui Paolo riconosce che spetta a Filemone decidere come gestire la situazione che riguarda Onesimo. Per questo motivo dice: “Non voglio fare nulla senza il tuo consenso”. Confida nel fatto che Filemone avrebbe usato bene la sua libertà di scelta e avrebbe agito spinto dall’amore (2Co 9:7). Il concetto di libertà di scelta, o libero arbitrio, ovvero la possibilità di prendere decisioni nella propria vita, è fondamentale nelle Scritture (De 30:19, 20; Gsè 24:15; Gal 5:13; 1Pt 2:16). Il termine greco originale che compare in questo versetto è usato diverse volte anche nella Settanta in riferimento a offerte volontarie (Le 7:16; 23:38; Nu 15:3; 29:39). Geova non esigeva questo tipo di offerte né puniva chi non si recava nella sua casa a presentarle. Erano gesti che dovevano nascere dall’amore e dalla gratitudine, sentimenti che non possono mai essere imposti.

Forse in realtà è per questo che lui è rimasto lontano Qui Paolo sembra indicare che ci fosse la mano di Geova dietro a quello che era accaduto a Onesimo, il quale era diventato cristiano dopo essere fuggito dal suo padrone. Adesso Filemone avrebbe potuto accoglierlo non più come uno schiavo, ma come un fratello spirituale. Paolo mette poi in contrapposizione due aspetti temporali: per breve tempo (lett. “per un’ora”) e per sempre. Quello che intende dire è che le eventuali difficoltà causate a Filemone dall’assenza di Onesimo erano state di relativamente breve durata, mentre il loro legame spirituale sarebbe durato per tutta l’eternità. Da quel momento in poi, infatti, i due avrebbero servito insieme per sempre (Gda 21; Ri 22:5).

non più come schiavo ma [...] come un caro fratello Paolo qui mette in evidenza che ora Onesimo sarebbe stato per Filemone qualcosa di più di uno schiavo: da questo momento in poi sarebbero stati in primo luogo fratelli spirituali e compagni d’opera nel ministero (Mt 23:8; 28:19, 20). È probabile che Onesimo sia tornato alla sua vita da schiavo nella casa di Filemone; ma, come sostengono alcuni studiosi, è anche possibile che Filemone lo abbia liberato. (Vedi approfondimento a Flm 12.) Comunque, anche se Onesimo fosse rimasto uno schiavo, la fede cristiana gli avrebbe permesso di svolgere meglio il suo lavoro, dato che ora avrebbe agito sulla base dei princìpi biblici (Ef 6:5-8; Col 3:22, 23; Tit 2:9, 10; vedi approfondimento a 1Tm 6:2).

un amico Il termine greco qui reso “amico” letteralmente significa “compartecipe”. Scrivendo a Filemone, Paolo non si definisce mai apostolo; piuttosto, usando questo termine, che può anche essere tradotto “compagno”, “associato”, si mette sul suo stesso piano. La parola, che ha in sé l’idea di associazione, veniva usata per riferirsi a soci in affari (Lu 5:10; 2Co 8:23; 1Pt 5:1). In questo contesto, però, trasmette più calore. Secondo un commentario, il termine, che indica lo stretto legame tra Paolo e Filemone, mette in evidenza l’“appartenenza, profondamente vincolante, allo stesso Signore, la quale stringe in comune attività fondata su fede ed amore” (E. Lohse, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, trad. di R. Bazzano, ed. italiana a cura di O. Soffritti, Paideia, Brescia, 1979, p. 361). È anche interessante notare che Aristotele abbia usato questo stesso termine per descrivere il legame, o associazione appunto, che si crea tra amici; infatti scrisse: “L’amico instaura un’associazione fondata o sulla stirpe, o sulla vita” (Etica eudemia, VII, 10, 21-22, in Le tre etiche, a cura di A. Fermani, Bompiani, Milano, 2008).

accoglilo benevolmente Con queste parole Paolo dimostra di avere grande fiducia in Filemone. All’epoca alcuni padroni punivano gli schiavi disubbidienti fustigandoli, marchiandoli a fuoco o addirittura uccidendoli; lo facevano anche solo per mettere in guardia gli altri loro schiavi.

mettilo in conto a me Come risulta da alcuni documenti del I secolo, questa espressione di solito veniva usata quando si accettava di pagare un debito. Sulla base di questo versetto alcuni commentatori ritengono che, prima di fuggire, Onesimo potrebbe aver derubato il suo padrone Filemone, forse perché pensava che non sarebbe riuscito a sopravvivere a lungo senza avere del denaro per acquistare del cibo o per pagarsi un passaggio su una nave. Paolo desiderava così tanto far rappacificare questi due cristiani che era persino disposto a intervenire di tasca propria.

Io, Paolo, lo scrivo di mio pugno Sembra che Paolo abbia scritto questa breve lettera di suo pugno, anche se non era quello che faceva di solito. Se non ci vedeva bene, scrivere non sarebbe stato facile per lui. (Vedi approfondimenti a Gal 4:15; 6:11.) Comunque alcuni studiosi propongono un’idea diversa, cioè che forse Paolo abbia scritto solo alcune parole di proprio pugno, a mo’ di firma. In ogni caso questo tocco personale avrebbe dato più peso alla sua richiesta e avrebbe convalidato la sua promessa di ripagare qualsiasi debito Onesimo potesse aver contratto.

tu mi devi addirittura te stesso Questa espressione lascia intendere che Paolo abbia aiutato Filemone a diventare cristiano. (Vedi approfondimento a Flm 1.) Qualunque perdita Filemone possa aver subìto, come gli ricorda qui Paolo, è insignificante se paragonata a tutto quello che ha guadagnato (Flm 18; confronta Ef 1:18; 2:12).

al mio cuore Lett. “le mie viscere”. (Vedi approfondimento a Flm 7.)

confidando Paolo ripone in Filemone una fiducia che non è una vana speranza. Usa un termine greco che indica grande fiducia, o convinzione, e che ricorre spesso nelle sue lettere. Per esempio lo utilizza per parlare della sua convinzione nel fatto che Dio realizzerà quello che ha in mente per i suoi servitori (Flp 1:6) e della fiducia che Gesù ha in Dio (Eb 2:13); in Ro 8:38 è reso “sono convinto”. Paolo è sicuro che Filemone non si limiterà a ubbidire con riluttanza. Questa fiducia probabilmente avrebbe spinto Filemone a collaborare di buon grado e con gioia, forse non limitandosi solo a quello che Paolo gli stava chiedendo. Ecco perché l’apostolo scrive: farai anche più di ciò che chiedo.

perché spero di esservi restituito grazie alle vostre preghiere Paolo usa in greco il pronome plurale qui reso “vostre”; è quindi probabile che si riferisca alle preghiere congiunte fatte dalla congregazione che si riuniva a casa di Filemone. (Vedi approfondimento a Flm 2.) Paolo suggerisce l’idea che queste preghiere possono contribuire al raggiungimento di un notevole risultato: la fine della sua detenzione a Roma. In questo modo riconosce che le preghiere dei cristiani fedeli possono spingere Geova Dio ad agire prima di quando altrimenti sarebbe intervenuto oppure a fare qualcosa che altrimenti non avrebbe fatto (Eb 13:19).

di esservi restituito O “di essere liberato per voi”. Qui Paolo usa un’espressione che letteralmente si può tradurre “sarò per favore divino restituito a voi”, cioè in risposta alle preghiere della congregazione di Colosse. Un commentario fa notare che qui Paolo usa la forma passiva di questo verbo, a indicare che “solo Dio può garantire la liberazione di Paolo”.

Epafra Questo è il nome di un fratello della congregazione di Colosse che probabilmente aveva contribuito a fondare la congregazione locale. (Vedi approfondimenti a Col 1:7; 4:12.) Durante la prima detenzione di Paolo, Epafra andò a Roma. E probabilmente vi rimase, dato che qui Paolo menziona espressamente i suoi saluti e lo definisce “mio compagno di prigionia a motivo di Cristo Gesù”.

mio compagno di prigionia Per parlare di Epafra, qui Paolo ricorre a un termine greco che utilizza anche in altre lettere, per riferirsi però ad Aristarco, Andronico e Giunia (Ro 16:7; Col 4:10). È probabile che questi amici di Paolo siano stati letteralmente arrestati come lui. Alcuni, però, ritengono che Paolo abbia usato questo termine in senso figurato per indicare che con coraggio quei cristiani erano andati a trovarlo e avevano passato del tempo con lui durante la sua detenzione.

Marco Vedi approfondimento a Col 4:10.

Aristarco Si tratta di un fratello macedone di Tessalonica che viaggiò con Paolo e che molto probabilmente aveva un retaggio ebraico. (Vedi approfondimento a Col 4:11.) Aristarco rimase al fianco di Paolo anche in circostanze pericolose, come ad esempio l’attacco di una folla a Efeso e un complotto ordito dagli ebrei in Grecia (At 19:29; 20:2-4). In seguito, quando Paolo fu mandato a Roma come prigioniero, questo amico leale lo accompagnò. Durante il viaggio fecero naufragio (At 27:1, 2, 41). A quanto pare Aristarco continuò ad assistere Paolo durante gli arresti domiciliari a Roma (At 28:16, 30). Forse anche Aristarco trascorse un periodo di detenzione con l’apostolo, il quale riconobbe con gratitudine che per lui era stato “fonte di grande conforto” (Col 4:10, 11; vedi anche approfondimenti a Flm 23; 2Co 8:18).

Dema Vedi approfondimenti a Col 4:14; 2Tm 4:10.

Luca Vedi approfondimento a Col 4:14.

immeritata bontà Vedi Glossario.

lo spirito che voi mostrate Concludendo la sua lettera, Paolo usa in greco il pronome plurale qui reso “voi”, probabilmente rivolgendo queste parole a tutti quelli menzionati nei vv. 1 e 2, inclusa la “congregazione che si riunisce a casa [di Filemone]” (Flm 2 e approfondimento). Paolo esprime la speranza che l’immeritata bontà di Gesù Cristo sia con il loro “spirito”. Qui il termine si riferisce alla forza interiore, o inclinazione mentale dominante, che spingeva quelle persone a dire o a fare le cose in un certo modo. (Vedi Glossario, “spirito”.) Con la benedizione di Cristo sarebbero state in grado di continuare a parlare e agire in modo conforme alla volontà di Dio e all’esempio di Cristo (Gal 6:18 e approfondimento; Flp 4:23).

Galleria multimediale

Introduzione video al libro di Filemone
Introduzione video al libro di Filemone
Onesimo ritorna dal suo padrone, Filemone
Onesimo ritorna dal suo padrone, Filemone

Quando Onesimo arrivò a Colosse a casa del suo padrone, Filemone, gli portò una lettera da parte dell’apostolo Paolo, che era agli arresti domiciliari a Roma. Qualche tempo prima Onesimo era fuggito in quella città, dove, avendo avuto contatti con Paolo, era diventato cristiano. Appresa la situazione di Onesimo, Paolo lo aveva incoraggiato a tornare da Filemone. In base alla legge romana quest’ultimo avrebbe avuto il diritto di punirlo severamente, perciò Onesimo forse si sarà chiesto quale trattamento lo aspettava. Paolo, comunque, scrisse a Filemone per esortarlo ad accogliere benevolmente Onesimo, non più solo come uno schiavo ma come un fratello cristiano (Flm 15-17). Paolo espresse anche fiducia nel fatto che Filemone avrebbe seguito i suoi consigli (Flm 21). La lettera concorda con il resto delle Scritture Greche Cristiane, che più volte incoraggiano tutti i cristiani a considerarsi fratelli, a prescindere da condizione economica e sociale (Ro 12:10; 1Co 16:20; Col 4:15; 1Ts 4:9, 10).

Le mansioni di uno schiavo
Le mansioni di uno schiavo

Nell’impero romano la figura dello schiavo faceva parte della vita quotidiana. La legislazione romana regolava alcuni aspetti del rapporto schiavo-padrone. Gli schiavi svolgevano buona parte dei lavori nelle case delle famiglie ricche che vivevano in tutti i territori dell’impero. Cucinavano, pulivano e accudivano i bambini. C’erano anche schiavi che svolgevano attività artigianali, che venivano usati nelle cave o che lavoravano nelle fattorie. Quelli più istruiti potevano fare i medici, gli insegnanti o i segretari. In pratica gli schiavi svolgevano qualunque mansione, a parte servire nell’esercito. In alcuni casi potevano essere affrancati, ovvero resi liberi. (Vedi Glossario, “libero; liberto”.) In merito alla schiavitù, i cristiani del I secolo non presero posizione contro l’autorità governativa, né fomentarono rivolte di schiavi (1Co 7:21). Rispettavano il fatto che possedere degli schiavi fosse un diritto legale e non giudicavano chi li aveva, anche se si trattava di loro compagni di fede cristiani. È per questo che l’apostolo Paolo rimandò lo schiavo Onesimo dal suo padrone Filemone. Essendo diventato cristiano, Onesimo ritornò di buon grado dal suo padrone, assoggettandosi come schiavo a un altro cristiano (Flm 10-17). Paolo incoraggiò gli schiavi a lavorare con onestà e scrupolosità (Tit 2:9, 10).