Lettera agli Efesini 1:1-23
Note in calce
Approfondimenti
Prima lettera ai Corinti A quanto pare intestazioni come questa non facevano parte del testo originale. Antichi manoscritti dimostrano che furono introdotte successivamente, senza dubbio per identificare con facilità le varie lettere. Il codice papiraceo noto come P46 attesta che i copisti avevano l’abitudine di identificare i libri biblici con un titolo. Questo codice, spesso datato intorno al 200, è la più antica collezione disponibile delle lettere di Paolo. Ne contiene nove. All’inizio della prima lettera ispirata che Paolo scrisse ai corinti, questo codice contiene il titolo Pròs Korìnthious A (“Verso [o “A”] Corinti 1”). (Vedi Galleria multimediale, “Prima lettera di Paolo ai Corinti”.) Altri antichi manoscritti, come il codice Vaticano e il codice Sinaitico, datati entrambi al IV secolo, contengono lo stesso titolo, che compare sia all’inizio che alla fine della lettera.
Lettera agli Efesini A quanto pare intestazioni come questa non facevano parte del testo originale. Antichi manoscritti dimostrano che furono introdotte successivamente, senza dubbio per identificare con facilità i vari libri. (Vedi approfondimento a 1Co titolo e Galleria multimediale, “Lettera di Paolo agli Efesini”.)
apostolo Il sostantivo greco qui usato (apòstolos) deriva da un verbo (apostèllo) che significa “inviare”, “mandare” (Mt 10:5; Lu 11:49; 14:32). Il significato fondamentale di apòstolos risulta chiaro dalle parole di Gesù riportate in Gv 13:16, dove è tradotto “chi è mandato”. Paolo fu chiamato a essere apostolo delle nazioni, o dei non giudei, e fu scelto per questo ruolo direttamente da Gesù Cristo risorto (At 9:1-22; 22:6-21; 26:12-23). Paolo difese il suo apostolato facendo riferimento al fatto che aveva visto il Signore Gesù Cristo risuscitato (1Co 9:1, 2) e aveva compiuto miracoli (2Co 12:12). Era anche stato impiegato per far scendere lo spirito santo su credenti battezzati, il che dimostrava ulteriormente che era un vero apostolo (At 19:5, 6). Pur definendosi spesso apostolo, non si include mai fra i Dodici (1Co 15:5, 8-10; Ro 11:13; Gal 2:6-9; 2Tm 1:1, 11).
santi Spesso le Scritture Greche Cristiane si riferiscono ai fratelli spirituali di Cristo nelle congregazioni come ai “santi” (At 9:13; 26:10; Ro 12:13; 2Co 1:1; 13:13). Il termine designa coloro che vengono introdotti in una speciale relazione con Dio tramite il nuovo patto convalidato con “il sangue di un patto eterno”, il sangue versato da Gesù (Eb 10:29; 13:20). Vengono così santificati, purificati e dichiarati “santi” da Dio. Dio attribuisce loro tale condizione di santità già dal momento in cui vengono scelti come santi sulla terra e non dopo la loro morte. Quindi la Bibbia non autorizza nessun individuo e nessuna organizzazione a proclamare qualcuno “santo”. Pietro dice che devono “essere santi” perché Dio è santo (1Pt 1:15, 16; Le 20:7, 26). Il termine “santi” si applica a tutti coloro che sono uniti a Cristo e sono suoi coeredi. Più di cinque secoli prima che questo termine fosse attribuito a discepoli di Cristo, Dio aveva rivelato che persone definite “i santi del Supremo” avrebbero regnato con Cristo (Da 7:13, 14, 18, 27).
apostolo Vedi approfondimento a Ro 1:1.
santi Vedi approfondimento a Ro 1:7.
a Efeso Anche se non compaiono in tutti gli antichi manoscritti greci, queste parole si trovano in manoscritti autorevoli e antiche traduzioni. Tra coloro che non le considerano come appartenenti al testo originale, alcuni suggeriscono che in realtà Paolo avesse indirizzato questa lettera ai cristiani di Laodicea (Col 4:16). Ma non c’è nessun manoscritto che riporti la dicitura “a Laodicea”. Anzi, se in questo punto menzionano una città, i manoscritti a nostra disposizione hanno sempre e solo Efeso. E quegli antichi manoscritti greci che in questo versetto omettono le parole “a Efeso” hanno comunque l’intestazione “Agli Efesini”. Per di più, autori cristiani dei primi secoli accettavano questa lettera come scritta agli efesini.
Efeso In epoca biblica questa città era un ricco e importante centro religioso e commerciale sulla costa occidentale dell’Asia Minore, di fronte all’isola di Samo. Era il capoluogo della provincia romana dell’Asia. (Vedi Glossario, App. B13 e Galleria multimediale, “Efeso: teatro e dintorni”.)
uniti a Lett. “in”. Questa espressione descrive un legame intimo, armonia e unità. Nella sua lettera agli Efesini, Paolo dice più volte che i cristiani unti sono uniti a Cristo Gesù, il che sottolinea l’importante ruolo che lui ha nel favorire l’unità. (Vedi ad esempio Ef 1:4, 11; 2:13, 21.)
Possiate avere immeritata bontà e pace Vedi approfondimento a Ro 1:7 e Glossario, “immeritata bontà”.
Possiate avere immeritata bontà e pace Questo è il saluto che Paolo rivolge in 11 delle sue lettere (1Co 1:3; 2Co 1:2; Gal 1:3; Ef 1:2; Flp 1:2; Col 1:2; 1Ts 1:1; 2Ts 1:2; Tit 1:4; Flm 3). Usa un saluto simile nelle sue lettere a Timoteo, ma aggiungendo la qualità della “misericordia” (1Tm 1:2; 2Tm 1:2). Gli studiosi fanno notare che, invece di usare chàirein, la comune formula resa “Saluti!”, Paolo spesso usa chàris, un termine greco dal suono simile, con cui esprime il desiderio che le congregazioni possano godere di “immeritata bontà” in abbondanza. (Vedi approfondimento ad At 15:23.) Il fatto che venga usato il termine “pace” rispecchia la comune formula di saluto ebraica shalòhm. (Vedi approfondimento a Mr 5:34.) A quanto pare, usando l’espressione “immeritata bontà e pace”, Paolo sottolinea il nuovo legame che i cristiani hanno con Geova Dio grazie al riscatto. Nel descrivere da chi provengono immeritata bontà e pace, Paolo menziona Dio nostro Padre separatamente dal Signore Gesù Cristo.
nei luoghi celesti Qui Paolo parla dei cristiani unti come se, benché ancora sulla terra, avessero già ricevuto “ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti”. Il contesto spiega che Dio li ha “designati come eredi” dell’eredità celeste insieme a suo Figlio e che ha dato loro una garanzia, o caparra, di questa eredità (Ef 1:11, 13, 14). Quando sono “designati come eredi” vengono elevati, o ‘risuscitati’, a una posizione superiore anche se sono ancora sulla terra (Ef 1:18-20; 2:4-7).
fondazione del mondo Il termine greco qui reso “fondazione” viene tradotto “concepire” in Eb 11:11, dove è legato a “discendente”. Qui compare nell’espressione “fondazione del mondo” e sembra riferirsi a quando Adamo ed Eva ebbero dei figli. Gesù collega la “fondazione del mondo” ad Abele, evidentemente il primo uomo al mondo a essere considerato degno di redenzione e il primo il cui nome fu scritto nel rotolo della vita a partire “dalla fondazione del mondo” (Lu 11:51; Ri 17:8; vedi approfondimento a Mt 25:34).
uniti a Lett. “in”. Questa espressione descrive un legame intimo, armonia e unità. Nella sua lettera agli Efesini, Paolo dice più volte che i cristiani unti sono uniti a Cristo Gesù, il che sottolinea l’importante ruolo che lui ha nel favorire l’unità. (Vedi ad esempio Ef 1:4, 11; 2:13, 21.)
fondazione del mondo Vedi approfondimento a Lu 11:50.
uniti a lui Cioè con Cristo (Ef 1:3; vedi approfondimento a Ef 1:1).
chiamati secondo il suo proposito Il termine greco qui tradotto “proposito” (pròthesis) si potrebbe rendere letteralmente “il porre avanti”. Ricorre anche in Ro 9:11 ed Ef 1:11; 3:11. Visto che i suoi propositi si realizzano sempre, Dio può preconoscere e predire quello che accadrà (Isa 46:10). Per esempio, anche se sapeva in anticipo che ci sarebbe stata una classe di “chiamati”, o eletti, non ha predestinato i singoli individui che formano quella classe. Inoltre Dio prende provvedimenti per essere sicuro che i suoi propositi si realizzino (Isa 14:24-27).
adozione come figli Lett. “assunzione a figlio”, “accettazione come figlio”. In greco huiothesìa. Il concetto di “adozione” era ben noto nel mondo classico. Molto spesso non venivano adottati dei bambini, ma dei ragazzi o dei giovani adulti. È noto che alcuni padroni liberarono degli schiavi per poterli adottare legalmente. L’imperatore romano Augusto era stato adottato da Giulio Cesare. Paolo ricorre alla metafora dell’adozione per descrivere la nuova condizione di coloro che vengono chiamati ed eletti da Dio. Tutti i discendenti dell’imperfetto Adamo erano schiavi del peccato, per cui non potevano essere considerati figli di Dio. Ma, grazie al sacrificio di riscatto di Gesù, Geova può liberarli dalla schiavitù del peccato e adottarli come figli, così che possano diventare eredi insieme a Cristo (Ro 8:14-17; Gal 4:1-7). Per sottolineare il cambiamento nella relazione che hanno con Dio, Paolo dice che questi figli che sono stati adottati gridano: “Abba, Padre!” Si tratta di un appellativo affettuoso che uno schiavo non avrebbe mai usato nei confronti del padrone. (Vedi l’approfondimento Abba in questo versetto.) È Geova a decidere chi sono coloro che vuole adottare come figli (Ef 1:5). Li riconosce come figli sin dal momento in cui li unge con il suo spirito (Gv 1:12, 13; 1Gv 3:1). Loro, però, devono dimostrarsi fedeli durante la loro vita terrena se vogliono vedere realizzato il privilegio di essere risuscitati alla vita in cielo come eredi insieme a Cristo (Ri 20:6; 21:7). Ecco perché Paolo dice che attendono “con impazienza l’adozione come figli, la liberazione per riscatto dal [...] corpo” (Ro 8:23).
l’adozione come figli Nelle Scritture Greche Cristiane, Paolo menziona diverse volte l’adozione per descrivere la nuova condizione di coloro che vengono chiamati ed eletti da Dio. Questi ricevono la prospettiva della vita immortale in cielo. Essendo discendenti di Adamo, prima dell’adozione erano imperfetti e schiavi del peccato come lui, e quindi non avevano per nascita lo status di figli di Dio. Grazie al sacrificio di espiazione di Gesù vengono adottati e diventano figli di Dio e “coeredi di Cristo” (Ro 8:14-17). Non sono loro a decidere di essere adottati: è Dio a farlo, in base alla sua volontà (Ef 1:5). Li riconosce come figli sin dal momento in cui li unge con il suo spirito (Gv 1:12, 13; 1Gv 3:1). Comunque, la loro condizione di figli spirituali adottati da Dio si realizza a tutti gli effetti solo se rimangono fedeli sino alla fine della loro vita umana (Ro 8:17; Ri 21:7). È per questo motivo che Paolo disse: “Attendiamo con impazienza l’adozione come figli, la liberazione per riscatto dal nostro corpo” (Ro 8:23; vedi approfondimento a Ro 8:15). L’adozione, che nell’antichità era un concetto ben noto, nel mondo classico era nata soprattutto per fare gli interessi di chi adottava, non di chi veniva adottato. Paolo, invece, mette in evidenza che con amore Geova ha agito facendo gli interessi di chi viene adottato (Gal 4:3, 4).
Infatti egli ci ha preordinato Nel testo greco originale l’espressione resa “nell’amore” alla fine del v. 4 si può anche riferire alla frase con cui si apre il v. 5. In quel caso il passaggio tra i due versetti si potrebbe tradurre così: “4 ...davanti a lui. Nell’amore infatti 5 egli ci ha preordinato...”
egli ci ha preordinato Geova preordinò, o decise in anticipo, che alcuni discepoli di Cristo venissero adottati quali Suoi figli perché governassero con Gesù in cielo. Egli preordinò il gruppo composto da quei discepoli, non i singoli individui. Questo proposito di Geova era incluso nella profezia di Gen 3:15, da lui pronunciata poco dopo che Adamo aveva peccato (Gal 3:16, 29; vedi approfondimento a Ro 8:28).
perché fossimo adottati come suoi figli Vedi approfondimenti a Ro 8:15; Gal 4:5.
riscatto Qui compare il termine greco lỳtron, che deriva da lỳo (“sciogliere”, “liberare”) e che nel greco non biblico era usato in riferimento al prezzo pagato per liberare uno schiavo o una persona vincolata da un debito oppure per riscattare prigionieri di guerra. Compare due volte nelle Scritture Greche Cristiane, qui e in Mr 10:45. Il termine affine antìlytron compare in 1Tm 2:6 ed è reso “riscatto corrispondente”. Altri termini affini sono lytròomai, reso “liberare”, “riscattare” (Tit 2:14; 1Pt 1:18; anche ntt.), e apolỳtrosis, spesso reso “liberazione per riscatto” (Ro 3:24; 8:23; Ef 1:7; Col 1:14; Eb 9:15, nt.; 11:35, nt.). (Vedi Glossario.)
liberandoli mediante il riscatto pagato da Cristo Gesù Lett. “attraverso la liberazione che [è] in Cristo Gesù”. Il termine greco apolỳtrosis (“liberazione”, “redenzione”) è affine a diversi altri termini collegati con il riscatto. (Vedi approfondimento a Mt 20:28.)
immeritata bontà di Dio Visto che in passato aveva opposto resistenza a Gesù e ai suoi discepoli (At 9:3-5), Paolo aveva ogni motivo per sottolineare l’immeritata bontà di Geova. (Vedi Glossario, “immeritata bontà”.) Paolo comprese che era solo grazie all’immeritata bontà di Dio che poteva svolgere il suo ministero (1Co 15:10; 1Tm 1:13, 14). Quando si incontrò con gli anziani di Efeso, accennò a questa qualità due volte (At 20:24, 32). Nelle sue 14 lettere, Paolo menzionò l’“immeritata bontà” una novantina di volte, molto più di qualunque altro scrittore della Bibbia. Ad esempio, fece riferimento all’immeritata bontà di Dio o di Gesù nell’introduzione di tutte le sue lettere, tranne quella agli Ebrei, e nella conclusione di ogni lettera.
la liberazione per riscatto Vedi approfondimenti a Mt 20:28; Ro 3:24 e Glossario, “riscatto”.
mediante il suo sangue Cioè mediante il sangue di Gesù Cristo. Anche se alcune traduzioni qui usano la parola “morte”, la resa letterale “sangue” è coerente con il concetto biblico del potere espiatorio del sangue. (Vedi Glossario, “espiazione”.) Nel Giorno dell’Espiazione venivano sacrificati determinati animali. Il sommo sacerdote poi portava parte del loro sangue nel Santissimo del tabernacolo o del tempio e lo presentava davanti a Dio (Le 16:2-19). Come viene spiegato da Paolo nella lettera agli Ebrei, Gesù adempì quanto era stato prefigurato dal Giorno dell’Espiazione (Eb 9:11-14, 24, 28; 10:11-14). Proprio come in quel giorno il sommo sacerdote portava il sangue dei sacrifici nel Santissimo, così Gesù presentò il valore del suo sangue davanti a Dio in cielo.
secondo la ricchezza dell’immeritata bontà di Dio Efeso era una città prospera, ma nella sua lettera agli Efesini Paolo sottolinea che le vere ricchezze, quelle spirituali, sono strettamente connesse con l’immeritata bontà di Dio (Ef 1:18; 2:7; 3:8). Scrivendo loro, usa 12 volte il termine greco solitamente reso “immeritata bontà”. Anche quando, qualche tempo prima di scrivere questa lettera, si era incontrato con gli anziani di Efeso, aveva menzionato questa bella qualità (At 20:17, 24, 32; vedi approfondimento ad At 13:43 e Glossario, “immeritata bontà”).
il sacro segreto della sua volontà L’espressione “sacro segreto” compare svariate volte nella lettera agli Efesini. Generalmente parlando, il “sacro segreto” di Geova si incentra su Gesù Cristo (Col 2:2; 4:3). Ha comunque molte sfaccettature, che riguardano ad esempio: l’identità di Gesù quale discendente promesso, o Messia, e la posizione che ricopre nel proposito di Dio (Gen 3:15); un governo celeste, il messianico Regno di Dio (Mt 13:11; Mr 4:11); la congregazione dei cristiani unti con lo spirito, di cui Cristo è capo (Ef 5:32; Col 1:18; Ri 1:20); il ruolo di questi unti, che con Gesù avrebbero ereditato il Regno (Lu 22:29, 30); la scelta degli unti non solo tra ebrei ma anche tra non ebrei (Ro 11:25; Ef 3:3-6; Col 1:26, 27). (Vedi approfondimenti a Mt 13:11; 1Co 2:7.)
sapienza di Dio espressa in un sacro segreto L’espressione si riferisce a ciò che Dio ha saggiamente stabilito di fare per porre fine alla ribellione iniziata nell’Eden e per portare pace e unità a livello universale. (Vedi Glossario, “sacro segreto”.) Il “sacro segreto” (in greco mystèrion; vedi approfondimento a Mt 13:11) iniziò a essere rivelato con la profezia di Geova riportata in Gen 3:15. Questo “sacro segreto” si incentra su Gesù Cristo (Ef 1:9, 10; Col 2:2) e riguarda la sua identità quale discendente promesso, o Messia, e la sua posizione nel Regno di Dio (Mt 13:11); include anche la scelta degli unti (sia tra ebrei che non ebrei), che insieme a Cristo avrebbero ereditato il Regno (Lu 22:29, 30; Ro 11:25; Ef 3:3-6; Col 1:26, 27), e la natura del tutto unica di questa congregazione composta da 144.000 “comprati fra gli uomini come primizie per Dio e per l’Agnello” (Ri 14:1, 4). Queste sfaccettature possono essere colte solo da coloro che studiano in modo accurato le Scritture.
sacri segreti Nella Traduzione del Nuovo Mondo il termine greco mystèrion è reso 25 volte con l’espressione “sacro segreto”. Qui è al plurale e si riferisce agli aspetti del proposito di Dio che non vengono rivelati finché lui non decide di renderli noti. A quel punto vengono pienamente svelati soltanto a coloro che sono stati scelti perché li comprendano (Col 1:25, 26). Una volta rivelati, i sacri segreti di Dio vengono diffusi nella maniera più ampia possibile. Lo si può capire dal fatto che al “sacro segreto” la Bibbia associa termini o espressioni come “annunciare”, “far conoscere”, “predicare pienamente”, “rivelare” (1Co 2:1; Ef 1:9; 3:3; Col 1:25, 26; 4:3). Il principale “sacro segreto di Dio” si concentra sull’identificazione della “discendenza” promessa, il Messia (Col 2:2; Gen 3:15). Questo sacro segreto, comunque, ha più sfaccettature e include il ruolo affidato a Gesù nel proposito di Dio (Col 4:3). Come mostrò Gesù in questa occasione, i “sacri segreti” hanno a che fare con il Regno dei cieli, o “Regno di Dio”, il governo celeste in cui Gesù ricopre il ruolo di Re (Mr 4:11; Lu 8:10; vedi approfondimento a Mt 3:2). Nelle Scritture Greche Cristiane si fa un uso del termine mystèrion diverso da quello comune alle antiche religioni misteriche. Queste religioni, spesso incentrate sui culti della fertilità che nel I secolo avevano ampia diffusione, promettevano che tramite rituali mistici i loro adepti avrebbero ottenuto l’immortalità, la rivelazione diretta e la comunione con le divinità. È chiaro che il contenuto di quei segreti non si basava sulla verità. Gli iniziati alle religioni misteriche facevano voto di tenere per sé i segreti, lasciandoli avvolti in un alone di mistero, il che era in netto contrasto con la proclamazione dei sacri segreti che avveniva nel cristianesimo. Quando nelle Scritture è usato in relazione alla falsa adorazione, mystèrion è reso “mistero” nella Traduzione del Nuovo Mondo (2Ts 2:7; Ri 17:5, 7).
un’amministrazione Il termine greco qui usato (oikonomìa) letteralmente significa “amministrazione della casa” o “gestione domestica”. Si riferisce non a uno specifico governo ma a un modo di gestire o amministrare le cose. Questa spiegazione è in armonia con l’uso che di questo termine viene fatto in Ef 3:9. (Confronta Lu 16:2 [dove è reso “gestione”]; Ef 3:2 [dove è reso “incarico di amministrare”; nt.]; Col 1:25 [dove è reso “incarico”; nt.].) Questa “amministrazione” non è il Regno messianico di Dio. È piuttosto il modo in cui lui decide di gestire la sua famiglia, o casa, universale con l’obiettivo di radunare i governanti del Regno celeste e realizzare il suo proposito di unire tutte le creature senzienti. Questo porterà pace e unità con lui tramite Gesù Cristo.
per radunare nel Cristo tutte le cose L’amministrazione che Dio ha implementato si realizzerà in due fasi. Nella prima vengono radunate le cose nei cieli, cioè quelli chiamati a regnare con Cristo in cielo (Ro 8:16, 17; Ef 1:11; 1Pt 1:4); questa fase iniziò alla Pentecoste del 33 (At 2:1-4). Nella seconda vengono radunate le cose sulla terra, cioè i sudditi del governo celeste che vivranno nel Paradiso sulla terra (Gv 10:16; Ri 7:9, 10; 21:3, 4).
egli ci ha preordinato Geova preordinò, o decise in anticipo, che alcuni discepoli di Cristo venissero adottati quali Suoi figli perché governassero con Gesù in cielo. Egli preordinò il gruppo composto da quei discepoli, non i singoli individui. Questo proposito di Geova era incluso nella profezia di Gen 3:15, da lui pronunciata poco dopo che Adamo aveva peccato (Gal 3:16, 29; vedi approfondimento a Ro 8:28).
essendo stati preordinati Vedi approfondimento a Ef 1:5.
avete ricevuto tramite lui un sigillo Nei tempi biblici il sigillo veniva usato come se fosse una firma per dimostrare possesso o autenticità, oppure per sottoscrivere un accordo. Nel caso dei cristiani unti, Dio con lo spirito santo pone simbolicamente su di loro il suo sigillo tramite Cristo per indicare che gli appartengono e che hanno la prospettiva di vivere in cielo. (Vedi approfondimento a 2Co 1:22.)
il suo sigillo Nei tempi biblici il sigillo veniva usato come se fosse una firma per dimostrare possesso o autenticità, oppure per sottoscrivere un accordo. Nel caso dei cristiani unti, Dio ha simbolicamente posto su di loro il suo sigillo attraverso lo spirito santo per indicare che gli appartengono e che hanno la prospettiva di vivere in cielo (Ef 1:13, 14).
spirito santo O “santa forza attiva”. Il termine “spirito”, che in greco è neutro, denota una forza impersonale in azione che scaturisce da Dio. (Vedi Glossario, “spirito”; “spirito santo”.)
spirito O “forza attiva”. Il termine greco pnèuma è di genere neutro, perciò i pronomi che lo sostituiscono sono neutri. Pnèuma ha diversi significati, e tutti si riferiscono a ciò che è invisibile agli occhi umani e che rivela forza in movimento. (Vedi Glossario.) In questo contesto, “spirito” si riferisce allo spirito santo di Dio, qui chiamato spirito della verità. Questa espressione ricorre anche in Gv 15:26 e 16:13, dove Gesù spiega che “il soccorritore” (Gv 16:7), cioè “lo spirito della verità”, avrebbe guidato i suoi discepoli “in tutta la verità”.
che Il “che” all’inizio del versetto si riferisce allo “spirito santo” di Dio, la sua forza attiva, di cui si parla nel versetto precedente. Anche se alcuni manoscritti greci qui hanno il pronome maschile, in altri manoscritti è ben attestata la lezione con il pronome neutro. L’uso del pronome neutro è in armonia con il modo in cui altri versetti della Bibbia fanno riferimento allo spirito di Dio. Alcuni studiosi sostengono che furono scribi di epoca successiva a usare il pronome greco di genere maschile per poter descrivere lo spirito santo come una persona. (Vedi approfondimenti a Mt 28:19; Gv 14:17.)
garanzia O “caparra”, “acconto”, “pegno”. Qui Paolo usa un termine giuridico (arrabòn) che spesso indica il pagamento anticipato di una somma inferiore al totale da versare. Nelle Scritture Greche Cristiane questo termine greco ricorre tre volte, e sempre con un significato metaforico, per riferirsi all’unzione da parte di Dio con “lo spirito santo promesso”, la sua forza attiva (Ef 1:13, 14; 2Co 1:22; 5:5). Per i cristiani unti questa speciale funzione dello spirito santo è come una sorta di acconto o caparra, un anticipo della loro eredità celeste grazie al quale sono convinti della loro speranza. Nel momento in cui ricevono un corpo celeste incorruttibile, questa speranza si realizza appieno (2Co 5:1-5).
della nostra eredità Qui ci si riferisce all’eredità celeste dei cristiani unti con lo spirito santo di Dio. Lo spirito funge da garanzia della loro eredità (1Pt 1:4, 5). Per i cristiani unti ricevere questa eredità non comporta solo vivere in cielo. Loro infatti sono “le cose nei cieli” che devono essere radunate per diventare “eredi di Dio e coeredi di Cristo” (Ef 1:10; Ro 8:16, 17). Il verbo greco per “ereditare”, affine al sostantivo usato qui, ha il significato fondamentale di ricevere in eredità qualcosa a cui si ha diritto, spesso a motivo di parentela, come nel caso di un figlio che riceve un’eredità dal padre (Gal 4:30). Qui però, come nella maggioranza delle altre occorrenze nelle Scritture Greche Cristiane, il sostantivo viene usato nel senso più ampio di ricevere in dono qualcosa da Dio (Mt 19:29; 1Co 6:9).
proprietà di Dio Lett. “proprietà”. Questa proprietà è la congregazione dei cristiani unti con lo spirito (At 20:28), che in 1Pt 2:9 sono definiti “un popolo acquistato come speciale proprietà”.
rivelazione Lett. “scoprimento”, “svelamento”. Il sostantivo greco apokàlypsis è spesso usato, come in questo versetto, in riferimento alla rivelazione della volontà e dei propositi di Dio o di altre questioni di natura spirituale (Ef 3:3; Ri 1:1). Geova è la Fonte ultima di queste rivelazioni. (Confronta approfondimento a Lu 2:32.)
rivelazione Vedi approfondimento a Ro 16:25.
gli occhi del vostro cuore L’espressione “gli occhi del cuore” si riferisce alla vista simbolica di una persona, alla sua percezione delle cose (Isa 44:18; Ger 5:21; Ez 12:2, 3; Mt 13:13-16). Paolo dice ai cristiani unti con lo spirito che Dio li ha illuminati per far capire loro a quale speranza li ha chiamati. Questa percezione spirituale li convince della gloriosa ricompensa che li attende, ricompensa resa certa dalla grande potenza che Dio ha manifestato risuscitando Gesù dai morti.
questo sistema di cose O “questa era”, “questa epoca”. Qui il termine greco aiòn si riferisce all’attuale sistema di cose ingiusto (Gal 1:4). Paolo indica che c’è anche un sistema di cose futuro, un’epoca in cui ci sarà un governo sotto l’autorità di Cristo. (Vedi Glossario, “sistema di cose”.)
Galleria multimediale

Nell’immagine si vede una pagina del codice papiraceo chiamato P46, che si ritiene risalga al 200 circa. Questo codice è una raccolta di nove delle lettere di Paolo. (Vedi Galleria multimediale, “Prima lettera di Paolo ai Corinti” e “Seconda lettera di Paolo ai Corinti”.) In questa foto si vede l’inizio della lettera di Paolo agli Efesini. La pagina fa parte del papiro Michigan Inv. 6238 (conservato presso la biblioteca dell’università del Michigan, ad Ann Arbor). Nell’immagine è evidenziato il titolo, dove alla lettera si legge “Verso [o “A”] Efesini”.


La matrice in bronzo che si vede nelle foto contiene un nome. In epoca romana le matrici per sigilli venivano usate per marchiare la cera o l’argilla. Gli scopi erano diversi. Per esempio, come si vede nell’immagine, i vasai marchiavano i vasi di terracotta per identificare il prodotto, la sua capienza oppure chi lo aveva realizzato. A volte, per chiudere un vaso, si usava la calce a mo’ di tappo; prima che la calce si indurisse, vi veniva impresso il sigillo del commerciante o della persona che spediva il prodotto. Alcuni di questi sigilli invece servivano a identificare il proprietario di un oggetto. Paolo si riferisce metaforicamente a un sigillo di quest’ultimo tipo quando dice che Dio “ha [...] impresso [...] il suo sigillo” sui cristiani, cioè li ha unti con lo spirito santo. Questo sigillo, o marchio, indicava che Dio era il loro Proprietario (2Co 1:21, 22).