Seconda lettera ai Tessalonicesi 2:1-17
Approfondimenti
durante la sua presenza Il termine originale reso “presenza” (parousìa) compare per la prima volta in Mt 24:3, dove alcuni discepoli chiedono a Gesù informazioni sul “segno della [sua] presenza”. Si riferisce alla presenza regale di Gesù Cristo, che comincia con la sua invisibile intronizzazione quale Re messianico all’inizio degli ultimi giorni di questo sistema di cose. Anche se in molte traduzioni bibliche è reso “venuta”, il termine parousìa letteralmente significa “l’essere presso”, “l’esserci”. La presenza di Gesù copre un periodo di tempo, non si riferisce semplicemente al momento della sua “venuta”, al suo arrivo. Questo significato di parousìa emerge da Mt 24:37-39, dove la “presenza del Figlio dell’uomo” è paragonata ai “giorni di Noè [...] prima del diluvio”. Inoltre il termine parousìa è usato in Flp 2:12, dove Paolo contrappone il periodo in cui era “presente” al periodo in cui era “lontano”, o assente. (Vedi approfondimento a 1Co 16:17.) Quindi qui in 1Co 15:23 Paolo sta spiegando che la risurrezione in cielo di quelli che appartengono al Cristo, cioè gli unti fratelli coeredi di Cristo, sarebbe avvenuta qualche tempo dopo la sua intronizzazione come Re celeste del Regno di Dio.
la presenza del nostro Signore Gesù Cristo Il termine greco qui reso “presenza” è parousìa, che letteralmente significa “l’essere presso”, “l’esserci”. Indica un determinato periodo di tempo piuttosto che il momento dell’arrivo, o della venuta, di qualcuno o qualcosa. In questo contesto si riferisce alla presenza regale di Gesù Cristo, che comincia con la sua invisibile intronizzazione quale Re messianico all’inizio degli ultimi giorni di questo sistema di cose. (Vedi approfondimento a 1Co 15:23 e Glossario, “presenza”.)
il giorno di Geova Nelle Scritture questa espressione si riferisce sempre a occasioni particolari in cui Geova Dio esegue il giudizio sui suoi nemici e glorifica il suo grande nome. Si tratta di un’espressione che affonda le sue radici nelle Scritture Ebraiche. (Alcuni esempi si trovano in Isa 13:6; Ez 7:19; Gle 1:15; Am 5:18; Abd 15; Sof 1:14; Zac 14:1; Mal 4:5.) Il profeta Gioele parlò del “grande e tremendo giorno di Geova” in Gle 2:31, passo citato da Pietro alla Pentecoste del 33 E.V. (At 2:20 e approfondimento). Nel primo adempimento della profezia di Gioele, quel “giorno di Geova” arrivò su Gerusalemme nel 70 E.V. Qui in 1Ts 5:2 Paolo parla di un futuro giorno di Geova che coincide con la “grande tribolazione” predetta da Gesù in Mt 24:21. (Per maggiori informazioni sull’uso del nome divino in questo versetto, vedi App. C3 introduzione; 1Ts 5:2.)
affermazione ispirata Lett. “spirito”. (Vedi Glossario, “spirito”.) La parola greca pnèuma (spesso resa “spirito”) qualche volta è usata in relazione a un mezzo per comunicare. Per esempio in questo versetto compare insieme alle parole “discorso” e “lettera”. Il termine pnèuma è reso nello stesso modo in 1Tm 4:1 e 1Gv 4:1, 2, 3, 6; in Ri 16:13, 14 è invece reso “espressioni ispirate”. (Confronta approfondimento a 1Co 12:10.)
lettera spacciata per nostra Alcuni nella congregazione di Tessalonica affermavano che la presenza di Gesù Cristo fosse imminente. È anche possibile che una lettera erroneamente attribuita a Paolo venisse usata per sostenere che “il giorno di Geova” fosse già arrivato. Se è così, questo potrebbe spiegare la ragione per cui l’apostolo ribadì l’autenticità di questa sua seconda lettera dicendo: “Questo è il saluto scritto di mio pugno, da me, Paolo. È un segno in ogni mia lettera; io scrivo così”. (Vedi approfondimento a 2Ts 3:17.)
il giorno di Geova Vedi approfondimento a 1Ts 5:2 e App. C3 introduzione; 2Ts 2:2.
il distinguere le dichiarazioni ispirate Questa espressione, che letteralmente significa “discernimenti di spiriti”, si riferisce alla capacità soprannaturale di capire dichiarazioni ispirate. Si trattava di un dono che probabilmente comprendeva anche la capacità di riconoscere se una dichiarazione era ispirata da Dio oppure proveniva da un’altra fonte. Di sicuro questo dono servì a proteggere la congregazione dai falsi profeti (2Co 11:3, 4; 1Gv 4:1). Inoltre avrà permesso agli apostoli e agli anziani di Gerusalemme di individuare le parti della Legge da considerare ancora “cose necessarie” e quindi valide per i cristiani (At 15:19, 20, 28, 29). I cristiani avevano anche bisogno di una guida per capire se una certa lettera (o un certo scritto) dovesse essere fatta circolare fra le congregazioni e se dovesse essere inclusa nel canone biblico. Per esempio in un’occasione, parlando di alcune lettere di Paolo, l’apostolo Pietro scrisse: “Gli ignoranti e gli instabili [le] distorcono, come fanno anche con il resto delle Scritture” (2Pt 3:16). In questo modo indicò che quelle lettere facevano parte delle Scritture ispirate. Di sicuro la scelta dei libri da includere nel canone biblico fu guidata dallo spirito di Dio, e senza dubbio furono utilizzati fratelli che avevano questo dono (2Tm 3:16; vedi Glossario, “canone biblico”; “spirito”).
È un segno in ogni mia lettera; io scrivo così Alla fine di alcune lettere, Paolo include un saluto scritto di suo pugno (1Co 16:21; Col 4:18). Qui specifica che si tratta di un “segno” a conferma dell’autenticità della lettera. Forse in precedenza i tessalonicesi avevano ricevuto una lettera che veniva erroneamente attribuita a Paolo ed era usata per sostenere che “il giorno di Geova [era] venuto” (2Ts 2:1, 2). A quanto pare il “segno” di cui si parla qui dava ai tessalonicesi la certezza che questa seconda lettera a loro indirizzata era stata mandata veramente da Paolo.
se prima non viene l’apostasia Alcuni cristiani di Tessalonica si stavano facendo sviare in relazione alla “presenza del nostro Signore Gesù Cristo” e al “giorno di Geova” (2Ts 2:1, 2). Paolo però ricordò loro che prima di queste due cose se ne dovevano verificare altre due: (1) doveva venire l’apostasia (vedi l’approfondimento apostasia in questo versetto) e (2) doveva essere rivelato “l’uomo dell’illegalità”. Quello che Paolo disse a proposito dell’ampia diffusione dell’apostasia all’interno della congregazione cristiana concorda con la parabola di Gesù sul grano e la zizzania (Mt 13:24-30, 36-43). Anche in altre circostanze Paolo avvertì profeticamente che nella congregazione si sarebbero infiltrati degli apostati; successivamente lo fece pure Pietro (At 20:29, 30; 1Tm 4:1-3; 2Tm 4:3, 4; 2Pt 2:1-3).
apostasia Il sostantivo greco usato qui (apostasìa) deriva da un verbo che letteralmente significa “allontanarsi” o “stare lontano da”. Il sostantivo ha il senso di “diserzione”, “abbandono”, “ribellione”. Quindi denota più che un semplice allontanamento dovuto a debolezza spirituale o a dubbi. (Vedi approfondimento ad At 21:21.) Nel greco classico il sostantivo era usato per indicare una defezione o ribellione politica. In questo contesto Paolo lo usa per riferirsi a una defezione religiosa che si sarebbe verificata prima del “giorno di Geova” (2Ts 2:2), un allontanamento deliberato dalla vera adorazione e dal servizio reso a Dio. (Vedi Glossario, “apostasia”.)
l’uomo dell’illegalità Il termine greco qui reso “illegalità” trasmette l’idea di vivere trasgredendo in maniera deliberata la legge. Per come è usato nella Bibbia, ha in sé il senso di disprezzo per le leggi di Dio. (Vedi approfondimento a Mt 24:12.) In questo versetto Paolo mette in relazione “l’uomo dell’illegalità” con l’apostasia. Tante congregazioni ebbero problemi con l’apostasia; è quindi chiaro che l’espressione “uomo dell’illegalità” non si riferisce a un singolo individuo ma a un pericoloso gruppo di falsi cristiani. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:8.) Paolo predice anche che in un momento futuro questo “uomo” sarebbe stato rivelato, nel senso che la sua vera identità sarebbe diventata evidente. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:7.) Sulla base della lezione presente in alcuni manoscritti, in varie traduzioni della Bibbia compare l’espressione “l’uomo del peccato”. La resa “l’uomo dell’illegalità” è però supportata da manoscritti più antichi ed è in armonia con il contesto, dato che pochi versetti più avanti Paolo parla del “mistero di questa illegalità” e definisce quest’uomo “colui che pratica l’illegalità” (2Ts 2:7, 8).
il figlio della distruzione Questa espressione, che può anche essere resa “il figlio dell’annientamento”, altrove viene usata in riferimento al traditore di Gesù, Giuda Iscariota. (Vedi approfondimento a Gv 17:12.) Paolo così lascia intendere che, proprio come Giuda andò incontro a una morte eterna, “l’uomo dell’illegalità” sarà senz’altro annientato per sempre.
figlio della distruzione In questo contesto l’espressione si riferisce a Giuda Iscariota, il quale, tradendo premeditatamente il Figlio di Dio, si rese meritevole di distruzione eterna, indegno di essere risuscitato. La stessa espressione compare in 2Ts 2:3 riferita all’“uomo dell’illegalità”. Nelle lingue originali in cui fu scritta la Bibbia, a volte l’espressione “figlio di” è usata in senso metaforico per indicare qualcuno che segue una certa linea di condotta o manifesta certe caratteristiche. Ecco alcuni esempi: “figli dell’Altissimo”, “figli della luce e figli del giorno”, “figli del Regno”, “figli del Malvagio”, “figlio del Diavolo” e “figli della disubbidienza” (Lu 6:35; 1Ts 5:5; Mt 13:38; At 13:10; Ef 2:2). L’espressione “figlio di” può anche essere usata in riferimento al giudizio o al risultato a cui porta una certa linea di condotta o una certa caratteristica. In 2Sa 12:5 l’espressione tradotta “merita di morire” significa alla lettera “figlio della morte”. Nel testo originale di Mt 23:15, per indicare che qualcuno merita la distruzione eterna, si usa l’espressione “figlio di Geenna”, che sembra essere proprio ciò che Gesù intendeva quando chiamò Giuda Iscariota “figlio della distruzione”. (Vedi approfondimento a Mt 23:15 e Glossario, “Geenna”.)
il mistero di questa illegalità Qui “mistero” traduce il greco mystèrion, che descrive qualcosa di segreto e al di là della normale comprensione. Lo stesso termine originale è usato in modo simile in Ri 17:5, 7. (Per ulteriori informazioni su questo termine greco, vedi approfondimento a Mt 13:11.) Nel caso dell’“uomo dell’illegalità”, c’era un elemento di mistero perché tra gli apostati i vertici non si erano ancora affermati come gruppo chiaramente identificabile. Quel mistero, però, era già all’opera perché gli apostati si stavano infiltrando nella congregazione esercitando un’influenza corruttrice che favoriva l’illegalità (At 15:24; vedi approfondimento a 2Ts 2:3).
mediante la manifestazione della sua presenza Qui Paolo non si riferisce all’intera presenza invisibile di Cristo, ma a un evento che avrà luogo verso la fine di quel periodo. A quel punto la presenza di Cristo sarà manifesta, chiaramente evidente a tutti (Lu 21:25-28; vedi Glossario, “presenza”). Le parole di Paolo dimostrano che “l’uomo dell’illegalità”, già all’opera nel I secolo, sarebbe stato ancora attivo durante la presenza di Cristo. Questo porta a concludere che l’“uomo” a cui Paolo si riferisce non è un singolo individuo ma un gruppo di persone. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:3.) L’esecuzione del giudizio divino sull’“uomo dell’illegalità” renderà chiaro che Cristo sarà presente quale Re e che a quel punto la “grande tribolazione” da lui predetta sarà iniziata (Mt 24:21; vedi Glossario, “grande tribolazione”).
malvagità Il termine greco qui presente (reso a seconda del contesto “illegalità”, “malvagità” o “trasgressione della legge”) include l’idea di violazione e disprezzo della legge; denota l’atteggiamento di chi agisce come se non esistesse alcuna legge. Per come è usato nella Bibbia, il termine dà l’idea di totale indifferenza per le leggi di Dio (Mt 7:23; 2Co 6:14; 2Ts 2:3-7; 1Gv 3:4).
di abbandonare Mosè Lett. “l’apostasia da Mosè”. Il sostantivo greco apostasìa qui usato deriva da un verbo (afìstemi) che letteralmente significa “allontanarsi” o “stare lontano da” e che può essere reso, in base al contesto, “abbandonare” e “rinunciare” (At 19:9; 2Tm 2:19). Il sostantivo ha il senso di “diserzione”, “abbandono”, “ribellione”. Ricorre due volte nelle Scritture Greche Cristiane, qui e in 2Ts 2:3. Nel greco classico il sostantivo è usato per indicare una defezione politica, e il verbo è evidentemente usato in questo senso in At 5:37 a proposito di Giuda il galileo, che si “trascinò [verbo afìstemi] dietro della gente”. La Settanta usa il verbo in Gen 14:4 (riferito a una simile ribellione politica) e il sostantivo in Gsè 22:22; 2Cr 29:19 e Ger 2:19 (per rendere l’ebraico corrispondente a “ribellione” e “infedeltà”). Nelle Scritture Greche Cristiane il sostantivo apostasìa viene usato principalmente in riferimento a defezione religiosa, allontanamento dalla vera adorazione e dal servizio a Dio, abbandono di quanto prima professato, totale diserzione da dei princìpi o dalla fede.
si esalta al di sopra di chiunque sia definito dio o sia oggetto di adorazione Qui Paolo fa capire che “l’uomo dell’illegalità” si sarebbe esaltato insegnando cose distorte e contrarie alle leggi di Dio (2Ts 2:3). L’espressione “chiunque sia definito dio” può includere esseri umani che hanno potere, ad esempio i governanti. (Confronta Gv 10:34-36.) L’espressione “oggetto di adorazione” traduce invece un termine greco che può anche essere reso “oggetto di riverenza”. Paolo quindi lascia intendere che quest’“uomo” corrotto e pieno di sé agisce come se fosse l’autorità suprema, i cui insegnamenti sono incontestabili.
si insedia [...] nel tempio di Dio A quanto pare qui Paolo si sofferma sul comportamento ipocrita dell’“uomo dell’illegalità” (2Ts 2:3). Quest’“uomo” non può stare veramente nel tempio di Dio (o “abitazione [dimora] divina”), eppure si atteggia come se ci stesse. L’espressione “di Dio” alla lettera è “del Dio”; l’uso dell’articolo determinativo da parte di Paolo sottolinea che quest’“uomo” afferma, mentendo, di rappresentare il vero Dio.
Non ricordate che [...]? Paolo visitò la congregazione di Tessalonica nel 50 circa, e scrisse questa lettera da Corinto poco dopo, forse intorno al 51 (At 18:11). Qui incoraggia i tessalonicesi a ricordare che di persona aveva dato loro avvertimenti molto simili a quelli che ora dà loro per iscritto.
chi adesso fa da freno Qui Paolo ripete il termine greco che anche nel versetto precedente è reso “fa da freno”, e aggiunge l’avverbio tradotto “adesso”. Probabilmente si riferisce agli apostoli, che con la loro influenza contenevano l’apostasia. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:6.) Decenni dopo, intorno al 98, l’apostolo Giovanni fece capire che era arrivata “l’ultima ora” del periodo apostolico e che l’apostasia si stava ormai diffondendo (1Gv 2:18). Quell’ultimo freno all’apostasia venne “tolto di mezzo” quando Giovanni morì, verso il 100.
che cosa fa da freno A quanto pare qui Paolo si riferisce agli apostoli fedeli che, come gruppo, fungevano da freno. Quello che scrisse, sia in questo brano che altrove, dimostra che si impegnò vigorosamente per frenare, o arginare, l’apostasia. (Vedi anche At 20:29, 30; 1Tm 4:1-3; 2Tm 2:16, 17; 4:2, 4.) Anche l’apostolo Pietro si oppose a questa malefica influenza (2Pt 2:1-3). Decenni dopo, l’anziano apostolo Giovanni stava ancora contrastando la diffusione dell’apostasia, ma avvertì che si era già propagata nella congregazione (1Gv 2:18; 2Gv 7). Qui Paolo fa capire che “l’uomo dell’illegalità” sarebbe stato rivelato quando quel freno sarebbe stato “tolto di mezzo” (2Ts 2:3; vedi approfondimento a 2Ts 2:7).
sacri segreti Nella Traduzione del Nuovo Mondo il termine greco mystèrion è reso 25 volte con l’espressione “sacro segreto”. Qui è al plurale e si riferisce agli aspetti del proposito di Dio che non vengono rivelati finché lui non decide di renderli noti. A quel punto vengono pienamente svelati soltanto a coloro che sono stati scelti perché li comprendano (Col 1:25, 26). Una volta rivelati, i sacri segreti di Dio vengono diffusi nella maniera più ampia possibile. Lo si può capire dal fatto che al “sacro segreto” la Bibbia associa termini o espressioni come “annunciare”, “far conoscere”, “predicare pienamente”, “rivelare” (1Co 2:1; Ef 1:9; 3:3; Col 1:25, 26; 4:3). Il principale “sacro segreto di Dio” si concentra sull’identificazione della “discendenza” promessa, il Messia (Col 2:2; Gen 3:15). Questo sacro segreto, comunque, ha più sfaccettature e include il ruolo affidato a Gesù nel proposito di Dio (Col 4:3). Come mostrò Gesù in questa occasione, i “sacri segreti” hanno a che fare con il Regno dei cieli, o “Regno di Dio”, il governo celeste in cui Gesù ricopre il ruolo di Re (Mr 4:11; Lu 8:10; vedi approfondimento a Mt 3:2). Nelle Scritture Greche Cristiane si fa un uso del termine mystèrion diverso da quello comune alle antiche religioni misteriche. Queste religioni, spesso incentrate sui culti della fertilità che nel I secolo avevano ampia diffusione, promettevano che tramite rituali mistici i loro adepti avrebbero ottenuto l’immortalità, la rivelazione diretta e la comunione con le divinità. È chiaro che il contenuto di quei segreti non si basava sulla verità. Gli iniziati alle religioni misteriche facevano voto di tenere per sé i segreti, lasciandoli avvolti in un alone di mistero, il che era in netto contrasto con la proclamazione dei sacri segreti che avveniva nel cristianesimo. Quando nelle Scritture è usato in relazione alla falsa adorazione, mystèrion è reso “mistero” nella Traduzione del Nuovo Mondo (2Ts 2:7; Ri 17:5, 7).
l’uomo dell’illegalità Il termine greco qui reso “illegalità” trasmette l’idea di vivere trasgredendo in maniera deliberata la legge. Per come è usato nella Bibbia, ha in sé il senso di disprezzo per le leggi di Dio. (Vedi approfondimento a Mt 24:12.) In questo versetto Paolo mette in relazione “l’uomo dell’illegalità” con l’apostasia. Tante congregazioni ebbero problemi con l’apostasia; è quindi chiaro che l’espressione “uomo dell’illegalità” non si riferisce a un singolo individuo ma a un pericoloso gruppo di falsi cristiani. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:8.) Paolo predice anche che in un momento futuro questo “uomo” sarebbe stato rivelato, nel senso che la sua vera identità sarebbe diventata evidente. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:7.) Sulla base della lezione presente in alcuni manoscritti, in varie traduzioni della Bibbia compare l’espressione “l’uomo del peccato”. La resa “l’uomo dell’illegalità” è però supportata da manoscritti più antichi ed è in armonia con il contesto, dato che pochi versetti più avanti Paolo parla del “mistero di questa illegalità” e definisce quest’uomo “colui che pratica l’illegalità” (2Ts 2:7, 8).
che cosa fa da freno A quanto pare qui Paolo si riferisce agli apostoli fedeli che, come gruppo, fungevano da freno. Quello che scrisse, sia in questo brano che altrove, dimostra che si impegnò vigorosamente per frenare, o arginare, l’apostasia. (Vedi anche At 20:29, 30; 1Tm 4:1-3; 2Tm 2:16, 17; 4:2, 4.) Anche l’apostolo Pietro si oppose a questa malefica influenza (2Pt 2:1-3). Decenni dopo, l’anziano apostolo Giovanni stava ancora contrastando la diffusione dell’apostasia, ma avvertì che si era già propagata nella congregazione (1Gv 2:18; 2Gv 7). Qui Paolo fa capire che “l’uomo dell’illegalità” sarebbe stato rivelato quando quel freno sarebbe stato “tolto di mezzo” (2Ts 2:3; vedi approfondimento a 2Ts 2:7).
il mistero di questa illegalità Qui “mistero” traduce il greco mystèrion, che descrive qualcosa di segreto e al di là della normale comprensione. Lo stesso termine originale è usato in modo simile in Ri 17:5, 7. (Per ulteriori informazioni su questo termine greco, vedi approfondimento a Mt 13:11.) Nel caso dell’“uomo dell’illegalità”, c’era un elemento di mistero perché tra gli apostati i vertici non si erano ancora affermati come gruppo chiaramente identificabile. Quel mistero, però, era già all’opera perché gli apostati si stavano infiltrando nella congregazione esercitando un’influenza corruttrice che favoriva l’illegalità (At 15:24; vedi approfondimento a 2Ts 2:3).
chi adesso fa da freno Qui Paolo ripete il termine greco che anche nel versetto precedente è reso “fa da freno”, e aggiunge l’avverbio tradotto “adesso”. Probabilmente si riferisce agli apostoli, che con la loro influenza contenevano l’apostasia. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:6.) Decenni dopo, intorno al 98, l’apostolo Giovanni fece capire che era arrivata “l’ultima ora” del periodo apostolico e che l’apostasia si stava ormai diffondendo (1Gv 2:18). Quell’ultimo freno all’apostasia venne “tolto di mezzo” quando Giovanni morì, verso il 100.
l’uomo dell’illegalità Il termine greco qui reso “illegalità” trasmette l’idea di vivere trasgredendo in maniera deliberata la legge. Per come è usato nella Bibbia, ha in sé il senso di disprezzo per le leggi di Dio. (Vedi approfondimento a Mt 24:12.) In questo versetto Paolo mette in relazione “l’uomo dell’illegalità” con l’apostasia. Tante congregazioni ebbero problemi con l’apostasia; è quindi chiaro che l’espressione “uomo dell’illegalità” non si riferisce a un singolo individuo ma a un pericoloso gruppo di falsi cristiani. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:8.) Paolo predice anche che in un momento futuro questo “uomo” sarebbe stato rivelato, nel senso che la sua vera identità sarebbe diventata evidente. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:7.) Sulla base della lezione presente in alcuni manoscritti, in varie traduzioni della Bibbia compare l’espressione “l’uomo del peccato”. La resa “l’uomo dell’illegalità” è però supportata da manoscritti più antichi ed è in armonia con il contesto, dato che pochi versetti più avanti Paolo parla del “mistero di questa illegalità” e definisce quest’uomo “colui che pratica l’illegalità” (2Ts 2:7, 8).
colui che pratica l’illegalità Qui Paolo si riferisce allo stesso “uomo dell’illegalità” menzionato nel v. 3. (Vedi approfondimento.)
con lo spirito della sua bocca In qualità di “Parola di Dio”, Gesù agisce da principale portavoce di Geova (Ri 19:13; vedi approfondimento a Gv 1:1). Con l’autorità che Geova gli ha concesso nominandolo Re messianico, Gesù dichiarerà i giudizi divini contro tutti i nemici di Dio, incluso “colui che pratica l’illegalità”. (Confronta Isa 11:3, 4; Ri 19:14-16, 21.)
mediante la manifestazione della sua presenza Qui Paolo non si riferisce all’intera presenza invisibile di Cristo, ma a un evento che avrà luogo verso la fine di quel periodo. A quel punto la presenza di Cristo sarà manifesta, chiaramente evidente a tutti (Lu 21:25-28; vedi Glossario, “presenza”). Le parole di Paolo dimostrano che “l’uomo dell’illegalità”, già all’opera nel I secolo, sarebbe stato ancora attivo durante la presenza di Cristo. Questo porta a concludere che l’“uomo” a cui Paolo si riferisce non è un singolo individuo ma un gruppo di persone. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:3.) L’esecuzione del giudizio divino sull’“uomo dell’illegalità” renderà chiaro che Cristo sarà presente quale Re e che a quel punto la “grande tribolazione” da lui predetta sarà iniziata (Mt 24:21; vedi Glossario, “grande tribolazione”).
l’uomo dell’illegalità Il termine greco qui reso “illegalità” trasmette l’idea di vivere trasgredendo in maniera deliberata la legge. Per come è usato nella Bibbia, ha in sé il senso di disprezzo per le leggi di Dio. (Vedi approfondimento a Mt 24:12.) In questo versetto Paolo mette in relazione “l’uomo dell’illegalità” con l’apostasia. Tante congregazioni ebbero problemi con l’apostasia; è quindi chiaro che l’espressione “uomo dell’illegalità” non si riferisce a un singolo individuo ma a un pericoloso gruppo di falsi cristiani. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:8.) Paolo predice anche che in un momento futuro questo “uomo” sarebbe stato rivelato, nel senso che la sua vera identità sarebbe diventata evidente. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:7.) Sulla base della lezione presente in alcuni manoscritti, in varie traduzioni della Bibbia compare l’espressione “l’uomo del peccato”. La resa “l’uomo dell’illegalità” è però supportata da manoscritti più antichi ed è in armonia con il contesto, dato che pochi versetti più avanti Paolo parla del “mistero di questa illegalità” e definisce quest’uomo “colui che pratica l’illegalità” (2Ts 2:7, 8).
la Parola O “il Logos”, “il Verbo”. In greco ho lògos. L’espressione originale, qui usata come titolo, compare anche in Gv 1:14 e Ri 19:13. Giovanni identifica così colui al quale spetta questo titolo, cioè Gesù. Il titolo designa Gesù durante la sua esistenza spirituale preumana, nel corso del suo ministero sulla terra come uomo perfetto e dopo il suo innalzamento al cielo. Gesù servì come portavoce di Dio per trasmettere informazioni e istruzioni agli altri figli spirituali e agli esseri umani. È quindi ragionevole pensare che, prima che Gesù venisse sulla terra, Geova in molte occasioni abbia comunicato con gli esseri umani per mezzo della Parola quale suo portavoce angelico (Gen 16:7-11; 22:11; 31:11; Eso 3:2-5; Gdc 2:1-4; 6:11, 12; 13:3).
La presenza di colui che pratica l’illegalità Alla lettera il testo greco dice semplicemente “la presenza del quale”. Il contesto rende chiaro che la presenza a cui si fa riferimento non è quella di Cristo ma quella di “colui che pratica l’illegalità” menzionato nel versetto precedente.
è dovuta all’azione di Satana Il termine greco qui reso “azione” può anche essere reso “opera” o “attività”. Secondo un commentario, nelle Scritture Greche Cristiane “è usato solo in riferimento a una forza soprannaturale, sia essa divina o demoniaca”. Paolo indica quindi che Satana usa la sua potenza sovrumana per dare potere all’“uomo dell’illegalità” (2Ts 2:3). È inoltre interessante ricordare che “Satana” viene da un termine ebraico che significa “uno che oppone resistenza”, e in effetti “l’uomo dell’illegalità” oppone resistenza a Geova contrastando i suoi insegnamenti e osteggiando il suo popolo. (Vedi approfondimento a Mt 4:10.)
prodigi O “portenti”. I veri apostoli di Cristo compivano opere potenti, segni e prodigi perché avevano lo spirito santo di Dio (At 2:43; 5:12; 15:12; 2Co 12:12). Al contrario, simili manifestazioni compiute dal ribelle “uomo dell’illegalità” sarebbero in realtà indice della potente azione di Satana (2Ts 2:3). Questi “prodigi” possono essere definiti menzogneri o nel senso che sono una finzione o nel senso che portano a conclusioni sbagliate o ingannevoli (2Ts 2:10, 11). In questo modo allontanerebbero le persone dalla Fonte della vita e dal sentiero che conduce alla vita eterna. (Confronta Mt 7:22, 23; 2Co 11:3, 12-15; vedi approfondimento ad At 2:19.)
prodigi O “portenti”, “presagi”. Nelle Scritture Greche Cristiane il termine originale tèras ricorre sempre insieme a semèion (“segno”), ed entrambi i termini vengono usati al plurale (Mt 24:24; Gv 4:48; At 7:36; 14:3; 15:12; 2Co 12:12). Fondamentalmente tèras si riferisce a qualsiasi cosa che impressiona o suscita meraviglia. Quando si riferisce chiaramente a qualcosa che fa presagire quello che succederà in futuro, ha anche il senso di “presagio”.
Satana Dal termine ebraico satàn, che significa “uno che oppone resistenza”, “avversario”.
inganno O “raggiro”, “seduzione”. Il termine greco era a volte usato come sinonimo di piacere sensuale, il che lascia intendere che l’inganno di cui si parla qui potrebbe comportare non una vera e propria frode ma l’allettamento esercitato dai desideri peccaminosi e materialistici. (Vedi approfondimento a Col 2:8.)
inganni O “raggiri”, “seduzione”. Il termine greco usato qui è tradotto anche “fascino ingannevole” (Mt 13:22; Eb 3:13) e “insegnamenti ingannevoli” (2Pt 2:13).
amati da Geova Paolo qui assicura ai suoi fratelli di Tessalonica che, pensando a loro, è grato a Dio; inoltre ricorda loro che Geova Dio li ama. Usa un’espressione simile in 1Ts 1:4, dove li definisce “amati da Dio”. Queste espressioni sembrano richiamarne altre simili che ricorrono nelle Scritture Ebraiche a proposito dell’amore di Geova Dio per il suo popolo (De 7:7, 8; 33:12; per maggiori informazioni sull’uso del nome divino qui, vedi App. C3 introduzione; 2Ts 2:13).
le tradizioni che vi sono state insegnate Qui Paolo si riferisce a tradizioni appropriate o accettabili dal punto di vista della vera adorazione. (Vedi approfondimento a 1Co 11:2.)
tradizioni Il termine greco paràdosis, qui reso “tradizioni”, si riferisce a informazioni, istruzioni o consuetudini tramandate e trasmesse ad altri affinché ne tengano conto. Nelle Scritture Greche Cristiane a volte viene usato in senso positivo per indicare tradizioni riguardanti particolari aspetti della vera adorazione (2Ts 2:15; 3:6). Per esempio, le informazioni che l’apostolo Paolo aveva ricevuto in merito alla celebrazione della Cena del Signore potevano essere giustamente trasmesse alle congregazioni perché considerate valida tradizione cristiana (1Co 11:23). Lo stesso termine greco spesso viene usato in senso negativo per riferirsi a tradizioni errate oppure a tradizioni rispettate o osservate in modo deleterio e discutibile (Mt 15:2, 3; Mr 7:3, 5, 13; Col 2:8).
conforto eterno Il sostantivo greco originale qui reso “conforto” (paràklesis) è affine a un verbo (parakalèo) che letteralmente significa “chiamare a sé”. (Vedi approfondimento a 2Co 1:3.) Il conforto che Dio dà è “eterno”, non ha fine. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:17.)
confortino il vostro cuore In questo augurio Paolo usa un verbo greco (parakalèo), qui reso “confortare”, che alla lettera significa “chiamare a sé”. (Vedi approfondimento a Ro 12:8.) Nel v. 16 ha appena detto che Geova ama i suoi servitori (“Dio [...] ci ha amato”); a questa verità fondamentale ora collega il concetto di conforto per il cuore (Ro 8:32, 38, 39; Ef 1:7; 2:4, 5). Questo pensiero dev’essere stato particolarmente incoraggiante per i cristiani di Tessalonica, che stavano subendo la persecuzione (2Ts 1:4).
l’Iddio di ogni conforto Il sostantivo greco originale qui reso “conforto” (paràklesis) è affine a un verbo (parakalèo) che letteralmente significa “chiamare a sé” e che trasmette l’idea di stare vicino a qualcuno per aiutarlo e incoraggiarlo quando affronta delle prove o si sente avvilito. (Vedi approfondimento a Ro 12:8.) Secondo alcuni l’enfasi che Paolo dà al conforto che viene da Dio è un richiamo a Isa 40:1, dove viene detto: “‘Confortate, confortate il mio popolo’, dice il vostro Dio”. (Vedi anche Isa 51:12.) Un altro termine affine a paràklesis è paràkletos. Questo sostantivo, reso “soccorritore”, compare in Gv 14:26 e si riferisce allo spirito santo di Geova. Dio usa la sua potente forza attiva per dare conforto e aiuto in situazioni che da un punto di vista umano sembrano senza via d’uscita (At 9:31; Ef 3:16).
confortino il vostro cuore In questo augurio Paolo usa un verbo greco (parakalèo), qui reso “confortare”, che alla lettera significa “chiamare a sé”. (Vedi approfondimento a Ro 12:8.) Nel v. 16 ha appena detto che Geova ama i suoi servitori (“Dio [...] ci ha amato”); a questa verità fondamentale ora collega il concetto di conforto per il cuore (Ro 8:32, 38, 39; Ef 1:7; 2:4, 5). Questo pensiero dev’essere stato particolarmente incoraggiante per i cristiani di Tessalonica, che stavano subendo la persecuzione (2Ts 1:4).
incoraggia O “esorta”. Il verbo usato qui (parakalèo) significa letteralmente “chiamare a sé”. Ha un significato ampio e viene usato nel senso di “incoraggiare” (At 11:23; 14:22; 15:32; 1Ts 5:11; Eb 10:25), “confortare” (2Co 1:4; 2:7; 7:6; 2Ts 2:17) e in alcuni contesti “esortare” (At 2:40; Ro 15:30; 1Co 1:10; Flp 4:2; 1Ts 5:14; 2Tm 4:2; Tit 1:9, nt.). Lo stretto rapporto che c’è tra esortazione, conforto e incoraggiamento indica che un cristiano non dovrebbe mai esortare o consigliare qualcuno in modo duro o aspro.