Seconda lettera ai Corinti 1:1-24
Note in calce
Approfondimenti
Prima lettera ai Corinti A quanto pare intestazioni come questa non facevano parte del testo originale. Antichi manoscritti dimostrano che furono introdotte successivamente, senza dubbio per identificare con facilità le varie lettere. Il codice papiraceo noto come P46 attesta che i copisti avevano l’abitudine di identificare i libri biblici con un titolo. Questo codice, spesso datato intorno al 200, è la più antica collezione disponibile delle lettere di Paolo. Ne contiene nove. All’inizio della prima lettera ispirata che Paolo scrisse ai corinti, questo codice contiene il titolo Pròs Korìnthious A (“Verso [o “A”] Corinti 1”). (Vedi Galleria multimediale, “Prima lettera di Paolo ai Corinti”.) Altri antichi manoscritti, come il codice Vaticano e il codice Sinaitico, datati entrambi al IV secolo, contengono lo stesso titolo, che compare sia all’inizio che alla fine della lettera.
Seconda lettera ai Corinti A quanto pare intestazioni come questa non facevano parte del testo originale. Antichi manoscritti dimostrano che furono introdotte successivamente, senza dubbio per identificare con facilità le varie lettere. (Vedi approfondimento a 1Co titolo.)
apostolo Il sostantivo greco qui usato (apòstolos) deriva da un verbo (apostèllo) che significa “inviare”, “mandare” (Mt 10:5; Lu 11:49; 14:32). Il significato fondamentale di apòstolos risulta chiaro dalle parole di Gesù riportate in Gv 13:16, dove è tradotto “chi è mandato”. Paolo fu chiamato a essere apostolo delle nazioni, o dei non giudei, e fu scelto per questo ruolo direttamente da Gesù Cristo risorto (At 9:1-22; 22:6-21; 26:12-23). Paolo difese il suo apostolato facendo riferimento al fatto che aveva visto il Signore Gesù Cristo risuscitato (1Co 9:1, 2) e aveva compiuto miracoli (2Co 12:12). Era anche stato impiegato per far scendere lo spirito santo su credenti battezzati, il che dimostrava ulteriormente che era un vero apostolo (At 19:5, 6). Pur definendosi spesso apostolo, non si include mai fra i Dodici (1Co 15:5, 8-10; Ro 11:13; Gal 2:6-9; 2Tm 1:1, 11).
santi Spesso le Scritture Greche Cristiane si riferiscono ai fratelli spirituali di Cristo nelle congregazioni come ai “santi” (At 9:13; 26:10; Ro 12:13; 2Co 1:1; 13:13). Il termine designa coloro che vengono introdotti in una speciale relazione con Dio tramite il nuovo patto convalidato con “il sangue di un patto eterno”, il sangue versato da Gesù (Eb 10:29; 13:20). Vengono così santificati, purificati e dichiarati “santi” da Dio. Dio attribuisce loro tale condizione di santità già dal momento in cui vengono scelti come santi sulla terra e non dopo la loro morte. Quindi la Bibbia non autorizza nessun individuo e nessuna organizzazione a proclamare qualcuno “santo”. Pietro dice che devono “essere santi” perché Dio è santo (1Pt 1:15, 16; Le 20:7, 26). Il termine “santi” si applica a tutti coloro che sono uniti a Cristo e sono suoi coeredi. Più di cinque secoli prima che questo termine fosse attribuito a discepoli di Cristo, Dio aveva rivelato che persone definite “i santi del Supremo” avrebbero regnato con Cristo (Da 7:13, 14, 18, 27).
Acaia Nelle Scritture Greche Cristiane, il termine “Acaia” si riferisce alla provincia romana della Grecia meridionale con capoluogo Corinto. Nel 27 a.E.V., quando Cesare Augusto riorganizzò le due province della Grecia, la Macedonia e l’Acaia, il nome Acaia finì per includere tutto il Peloponneso e parte della Grecia continentale. La provincia dell’Acaia era sotto l’amministrazione del senato romano ed era governata da un proconsole di stanza a Corinto (2Co 1:1). Altre città della provincia dell’Acaia menzionate nelle Scritture Greche Cristiane sono Atene e Cencrea (At 18:1, 18; Ro 16:1). L’Acaia e la provincia con cui confinava a N, la Macedonia, erano spesso menzionate insieme (At 19:21; Ro 15:26; 1Ts 1:7, 8; vedi App. B13).
Paolo [...] e nostro fratello Timoteo O “da Paolo [...] e nostro fratello Timoteo”. È Paolo lo scrittore della seconda lettera ai Corinti, ma nei saluti iniziali include Timoteo. Quando Paolo scrisse questa lettera, intorno al 55, a quanto pare Timoteo si trovava con lui in Macedonia (At 19:22). Paolo lo chiama “nostro fratello” in virtù del legame spirituale che li univa.
apostolo Vedi approfondimento a Ro 1:1.
santi Vedi approfondimento a Ro 1:7.
Acaia Vedi approfondimento ad At 18:12.
Possiate avere immeritata bontà e pace Questo è il saluto che Paolo rivolge in 11 delle sue lettere (Ro 1:7; 1Co 1:3; Gal 1:3; Ef 1:2; Flp 1:2; Col 1:2; 1Ts 1:1; 2Ts 1:2; Tit 1:4; Flm 3). Usa un saluto simile nelle sue lettere a Timoteo, ma aggiungendo la qualità della “misericordia” (1Tm 1:2; 2Tm 1:2). Gli studiosi fanno notare che, invece di usare chàirein, la comune formula resa “Saluti!”, Paolo spesso usa chàris, un termine greco dal suono simile, con cui esprime il desiderio che le congregazioni possano godere di “immeritata bontà”, o “favore”, in abbondanza. (Vedi approfondimento ad At 15:23 e Glossario, “immeritata bontà”.) Il fatto che venga usato il termine “pace” rispecchia la comune formula di saluto ebraica shalòhm. (Vedi approfondimento a Mr 5:34.) A quanto pare, usando l’espressione “immeritata bontà e pace”, Paolo sottolinea il nuovo legame che i cristiani hanno con Geova Dio grazie al riscatto. Nel descrivere da chi provengono immeritata bontà e pace, Paolo menziona Dio nostro Padre separatamente dal Signore Gesù Cristo.
Saluti a voi! Il termine greco qui presente (chàiro), che significa letteralmente “rallegrarsi”, in questo caso è utilizzato come saluto per dire: “Possa andarvi tutto bene”. L’introduzione alla lettera sulla circoncisione che fu inviata alle congregazioni rispecchia lo stile epistolare comune nell’antichità: veniva menzionato prima lo scrittore e poi il destinatario; di seguito veniva inserita una consueta formula di saluto. (Vedi approfondimento ad At 23:26.) Tra tutte le lettere incluse nelle Scritture Greche Cristiane, solo quella di Giacomo contiene il termine chàiro sotto forma di saluto, proprio come avviene in questa lettera del corpo direttivo del I secolo (Gc 1:1). Il discepolo Giacomo aveva avuto una parte nella stesura di questa lettera, il che conferma che il Giacomo che scrisse la lettera che porta il suo nome è lo stesso che ebbe un ruolo rilevante durante l’adunanza di cui si parla in Atti capitolo 15.
Va’ in pace Questa espressione idiomatica è spesso usata, sia nelle Scritture Greche che in quelle Ebraiche, per rivolgere a qualcuno l’augurio che le cose gli vadano bene (Lu 7:50; 8:48; Gc 2:16; confronta 1Sa 1:17; 20:42; 25:35; 29:7; 2Sa 15:9; 2Re 5:19). Il termine ebraico spesso tradotto “pace” (shalòhm) ha un ampio significato. Indica l’assenza di guerra o di disordini (Gdc 4:17; 1Sa 7:14; Ec 3:8) e può anche trasmettere l’idea di salute, sicurezza (1Sa 25:6; 2Cr 15:5, nt.; Gb 5:24, nt.), prosperità (Est 10:3, nt.) e amicizia (Sl 41:9). Nelle Scritture Greche Cristiane il termine greco per “pace” (eirène) era usato, con la stessa ampia gamma di sfumature del termine ebraico, per esprimere i concetti di benessere, salvezza e armonia, oltre che di assenza di conflitti.
incoraggiamento O “esortazione”. Il sostantivo greco originale (paràklesis) è affine a un verbo (parakalèo) che letteralmente significa “chiamare a sé”. Spesso ha il senso di “incoraggiamento” (At 13:15; Flp 2:1) o “conforto” (Ro 15:4; 2Co 1:3, 4; 2Ts 2:16). Come indica la resa alternativa, questo termine e il verbo affine presente nello stesso versetto trasmettono anche l’idea di “esortazione”, ed è proprio così che vengono resi in alcuni contesti (1Ts 2:3; 1Tm 4:13; Eb 12:5). Il fatto che questi termini greci abbiano in sé i tre significati di esortazione, conforto e incoraggiamento indica che un cristiano non dovrebbe mai esortare o consigliare qualcuno in modo duro o aspro.
il Padre della tenera misericordia Il sostantivo greco reso “tenera misericordia” (oiktirmòs) è qui usato per descrivere la compassione, o pietà, che si prova verso gli altri. Dio è definito “il Padre”, o la Fonte, “della tenera misericordia” perché la compassione è un sentimento che ha origine da lui ed è parte della sua natura. Lo spinge quindi ad agire con tenera misericordia nei confronti dei suoi fedeli servitori che soffrono a causa di varie prove.
l’Iddio di ogni conforto Il sostantivo greco originale qui reso “conforto” (paràklesis) è affine a un verbo (parakalèo) che letteralmente significa “chiamare a sé” e che trasmette l’idea di stare vicino a qualcuno per aiutarlo e incoraggiarlo quando affronta delle prove o si sente avvilito. (Vedi approfondimento a Ro 12:8.) Secondo alcuni l’enfasi che Paolo dà al conforto che viene da Dio è un richiamo a Isa 40:1, dove viene detto: “‘Confortate, confortate il mio popolo’, dice il vostro Dio”. (Vedi anche Isa 51:12.) Un altro termine affine a paràklesis è paràkletos. Questo sostantivo, reso “soccorritore”, compare in Gv 14:26 e si riferisce allo spirito santo di Geova. Dio usa la sua potente forza attiva per dare conforto e aiuto in situazioni che da un punto di vista umano sembrano senza via d’uscita (At 9:31; Ef 3:16).
l’Iddio di ogni conforto Il sostantivo greco originale qui reso “conforto” (paràklesis) è affine a un verbo (parakalèo) che letteralmente significa “chiamare a sé” e che trasmette l’idea di stare vicino a qualcuno per aiutarlo e incoraggiarlo quando affronta delle prove o si sente avvilito. (Vedi approfondimento a Ro 12:8.) Secondo alcuni l’enfasi che Paolo dà al conforto che viene da Dio è un richiamo a Isa 40:1, dove viene detto: “‘Confortate, confortate il mio popolo’, dice il vostro Dio”. (Vedi anche Isa 51:12.) Un altro termine affine a paràklesis è paràkletos. Questo sostantivo, reso “soccorritore”, compare in Gv 14:26 e si riferisce allo spirito santo di Geova. Dio usa la sua potente forza attiva per dare conforto e aiuto in situazioni che da un punto di vista umano sembrano senza via d’uscita (At 9:31; Ef 3:16).
ci conforta O “ci incoraggia”. (Vedi approfondimento a 2Co 1:3.)
prove O “difficoltà”, “tribolazioni”. Il termine greco qui usato si riferisce fondamentalmente agli affanni o alle sofferenze provocate dalla pressione delle circostanze. È spesso usato in riferimento alle sofferenze causate dalla persecuzione (Mt 24:9; At 11:19; 20:23; 2Co 1:8; Eb 10:33; Ri 1:9). Potrebbe includere prigionia e morte a motivo della propria integrità (Ri 2:10). Comunque prove di vario genere e grado possono derivare anche da carestie (At 7:11, dove il termine greco è reso “tribolazione”), da povertà e avversità comuni a orfani e vedove (Gc 1:27, dove il termine greco è reso “sofferenze”), e persino da matrimonio e vita familiare (1Co 7:28, dove il termine greco è reso “difficoltà”).
prove O “tribolazioni”. (Vedi approfondimento a 2Co 1:4.)
prove O “difficoltà”, “tribolazioni”. Il termine greco qui usato si riferisce fondamentalmente agli affanni o alle sofferenze provocate dalla pressione delle circostanze. È spesso usato in riferimento alle sofferenze causate dalla persecuzione (Mt 24:9; At 11:19; 20:23; 2Co 1:8; Eb 10:33; Ri 1:9). Potrebbe includere prigionia e morte a motivo della propria integrità (Ri 2:10). Comunque prove di vario genere e grado possono derivare anche da carestie (At 7:11, dove il termine greco è reso “tribolazione”), da povertà e avversità comuni a orfani e vedove (Gc 1:27, dove il termine greco è reso “sofferenze”), e persino da matrimonio e vita familiare (1Co 7:28, dove il termine greco è reso “difficoltà”).
ho combattuto a Efeso con le bestie feroci Spesso i romani giustiziavano i criminali gettandoli in pasto alle bestie nelle arene. Alcuni studiosi ritengono che questo tipo di condanna non potesse essere inflitta a un cittadino romano, come lo era Paolo, ma ci sono attestazioni storiche relative ad alcuni cittadini romani che furono effettivamente gettati in pasto ad animali feroci o costretti a combatterli. Ciò che Paolo dice in 2Co 1:8-10 potrebbe benissimo descrivere un episodio all’interno di un’arena. Se si trovò ad affrontare delle bestie letterali, probabilmente Paolo riuscì a scampare per intervento divino. (Confronta Da 6:22.) Questa eventuale esperienza sarebbe una delle tante in cui Paolo si trovò “in pericolo di morte” durante il suo ministero (2Co 11:23). Altri studiosi avanzano l’ipotesi che qui Paolo usi l’espressione “bestie feroci” in senso figurato per indicare la feroce opposizione incontrata a Efeso (At 19:23-41).
tribolazione che abbiamo affrontato nella provincia dell’Asia La Bibbia non specifica quale episodio Paolo avesse in mente qui. Forse si riferiva al tumulto scoppiato a Efeso, descritto in At 19:23-41, oppure al fatto che aveva “combattuto a Efeso con le bestie feroci”, come si legge in 1Co 15:32. (Vedi approfondimento.) In entrambi i casi Paolo avrebbe potuto rimetterci la vita (2Co 1:9).
con le vostre suppliche per noi O “con le vostre fervide preghiere per noi”. Il sostantivo dèesis (“supplica”) è definito “richiesta umile e sincera”. Nelle Scritture Greche Cristiane è usato esclusivamente in riferimento a invocazioni rivolte a Dio. La Bibbia mette continuamente in risalto che pregare per i compagni di fede produce effetti positivi, sia che le preghiere vengano fatte da un singolo individuo sia che vengano fatte da un gruppo (Gc 5:14-20; confronta Gen 20:7, 17; 2Ts 3:1, 2; Eb 13:18, 19). Geova ascolta le preghiere sincere che vengono dal cuore e che sono in armonia con la sua volontà, e poi agisce (Sl 10:17; Isa 30:19; Gv 9:31; 1Gv 5:14, 15). Una supplica può incidere su ciò che Dio fa e quando lo fa. (Vedi approfondimento ad At 4:31.)
in risposta alle preghiere di tante persone O “a motivo di molte facce supplichevoli”. In questo contesto l’espressione letterale greca “(fuori) da molte facce” può trasmettere l’immagine di visi rivolti verso l’alto che indirizzano preghiere a Dio. Questo versetto suggerisce anche l’idea che, quando Dio avrebbe risposto alle preghiere rivolte in favore di Paolo, molti cristiani sarebbero stati spinti a rendere grazie a Lui. Anziché pensare ai benefìci che ne avrebbe tratto, Paolo era più interessato al fatto che fosse data gloria a Geova.
ebbero terminato la loro supplica O “ebbero terminato la loro fervida preghiera [o “implorazione”]”. Il verbo greco dèomai si riferisce all’azione di rivolgere una preghiera sincera e particolarmente sentita. Il sostantivo affine dèesis (“supplica”) è definito “richiesta umile e sincera”. Nelle Scritture Greche Cristiane il sostantivo è usato esclusivamente in riferimento a invocazioni rivolte a Dio. “Con forti grida e lacrime”, anche Gesù “offrì suppliche e richieste a colui che poteva salvarlo dalla morte” (Eb 5:7). L’uso del plurale “suppliche” indica che Gesù invocò Geova più volte. Ad esempio, nel giardino di Getsemani pregò ripetutamente e con fervore (Mt 26:36-44; Lu 22:32).
sapienza carnale Cioè la sapienza umana di questo mondo. (Confronta 1Co 3:19.)
immeritata bontà Vedi Glossario.
quello che potete leggere O forse “quello che già conoscete bene”. Il verbo greco qui usato (anaginòsko) letteralmente significa “conoscere bene”. Quando però viene usato in riferimento a qualcosa di scritto significa “riconoscere” e molto spesso viene tradotto “leggere” o “leggere ad alta voce”; è utilizzato a proposito della lettura sia privata che pubblica delle Scritture (Mt 12:3; Lu 4:16; At 8:28; 13:27).
fino in fondo Lett. “fino alla fine”. In questo contesto l’espressione greca a quanto pare significa “fino in fondo” nel senso di “completamente”. Secondo alcuni invece avrebbe valore temporale; in questo caso vorrebbe dire che Paolo sperava che i cristiani di Corinto continuassero a capire “fino alla fine”.
perché poteste gioire una seconda volta Fu nel 50, durante il suo secondo viaggio missionario, che Paolo andò a Corinto per la prima volta. Vi rimase un anno e sei mesi, e fondò la congregazione locale (At 18:9-11). Mentre era a Efeso durante il suo terzo viaggio missionario, espresse l’intenzione di tornare a Corinto una seconda volta, cosa che però non si concretizzò (1Co 16:5; 2Co 1:16, 23). Quando in questo versetto dice che i cristiani di Corinto avrebbero potuto “gioire una seconda volta”, Paolo forse si riferisce alla seconda visita che aveva sperato di fare loro, oppure alla speranza di fare una doppia visita, come indica nel versetto successivo. (Vedi approfondimento a 2Co 1:16.)
gioire Invece del sostantivo charà (“gioia”), in questo caso reso “gioire”, alcuni manoscritti greci hanno chàris (“immeritata bontà”, “favore”, “beneficio”). Ecco perché l’ultima parte del versetto forse potrebbe essere resa “per darvi un duplice beneficio”. Varie traduzioni della Bibbia in italiano trasmettono questa idea.
volevo fermarmi da voi mentre ero in viaggio per la Macedonia Nel 55, mentre era a Efeso per il suo terzo viaggio missionario, Paolo stava progettando di attraversare il Mar Egeo alla volta di Corinto e di proseguire per la Macedonia. Sulla strada del ritorno verso Gerusalemme poi pensava di ripassare da Corinto; a quanto pare voleva prendere il dono che la congregazione aveva preparato per i fratelli di Gerusalemme e del quale aveva scritto in precedenza (1Co 16:3). Nonostante fossero state queste le sue intenzioni, ebbe valide ragioni per cambiare i suoi programmi. (Vedi approfondimento a 2Co 1:17.)
quando ho preso questa decisione, l’ho fatto con leggerezza? Sembra che in una lettera antecedente a quella di 1 Corinti (vedi approfondimento a 1Co 5:9) Paolo avesse informato i cristiani di Corinto della sua intenzione di fermarsi da loro mentre era in viaggio verso la Macedonia. In seguito, nella prima lettera ispirata che scrisse loro, aveva fatto sapere che aveva cambiato itinerario e che sarebbe andato da loro solo dopo essere passato in Macedonia (1Co 16:5, 6). Per questo motivo sembra che alcuni, forse gli “apostoli sopraffini” che erano in quella congregazione (2Co 11:5), lo avessero accusato di non mantenere la parola. In sua difesa Paolo dice di non aver preso quella decisione con leggerezza. Il termine greco tradotto “leggerezza” trasmette il senso di instabilità; denota il comportamento di una persona superficiale e inaffidabile che cambia idea con facilità. Paolo però non era volubile e non faceva i suoi programmi in maniera carnale, cioè spinto da motivi egoistici o basandosi su ragionamenti umani imperfetti. Aveva posticipato la sua visita per un motivo valido. In 2Co 1:23 dice: “È per risparmiarvi che non sono ancora venuto a Corinto”. Voleva infatti dare a quei cristiani il tempo di applicare i consigli che aveva scritto loro, così che, quando sarebbe andato a Corinto, la sua visita sarebbe stata più incoraggiante.
volevo fermarmi da voi mentre ero in viaggio per la Macedonia Nel 55, mentre era a Efeso per il suo terzo viaggio missionario, Paolo stava progettando di attraversare il Mar Egeo alla volta di Corinto e di proseguire per la Macedonia. Sulla strada del ritorno verso Gerusalemme poi pensava di ripassare da Corinto; a quanto pare voleva prendere il dono che la congregazione aveva preparato per i fratelli di Gerusalemme e del quale aveva scritto in precedenza (1Co 16:3). Nonostante fossero state queste le sue intenzioni, ebbe valide ragioni per cambiare i suoi programmi. (Vedi approfondimento a 2Co 1:17.)
Nella mia lettera vi avevo scritto Paolo si riferisce chiaramente a una precedente lettera scritta ai corinti, che non è giunta fino a noi. Evidentemente Dio decise di non preservarla, forse perché aveva rilevanza solo per coloro ai quali era indirizzata. (Vedi approfondimento a 1Co 1:2.)
quando ho preso questa decisione, l’ho fatto con leggerezza? Sembra che in una lettera antecedente a quella di 1 Corinti (vedi approfondimento a 1Co 5:9) Paolo avesse informato i cristiani di Corinto della sua intenzione di fermarsi da loro mentre era in viaggio verso la Macedonia. In seguito, nella prima lettera ispirata che scrisse loro, aveva fatto sapere che aveva cambiato itinerario e che sarebbe andato da loro solo dopo essere passato in Macedonia (1Co 16:5, 6). Per questo motivo sembra che alcuni, forse gli “apostoli sopraffini” che erano in quella congregazione (2Co 11:5), lo avessero accusato di non mantenere la parola. In sua difesa Paolo dice di non aver preso quella decisione con leggerezza. Il termine greco tradotto “leggerezza” trasmette il senso di instabilità; denota il comportamento di una persona superficiale e inaffidabile che cambia idea con facilità. Paolo però non era volubile e non faceva i suoi programmi in maniera carnale, cioè spinto da motivi egoistici o basandosi su ragionamenti umani imperfetti. Aveva posticipato la sua visita per un motivo valido. In 2Co 1:23 dice: “È per risparmiarvi che non sono ancora venuto a Corinto”. Voleva infatti dare a quei cristiani il tempo di applicare i consigli che aveva scritto loro, così che, quando sarebbe andato a Corinto, la sua visita sarebbe stata più incoraggiante.
quando ho preso questa decisione, l’ho fatto con leggerezza? Sembra che in una lettera antecedente a quella di 1 Corinti (vedi approfondimento a 1Co 5:9) Paolo avesse informato i cristiani di Corinto della sua intenzione di fermarsi da loro mentre era in viaggio verso la Macedonia. In seguito, nella prima lettera ispirata che scrisse loro, aveva fatto sapere che aveva cambiato itinerario e che sarebbe andato da loro solo dopo essere passato in Macedonia (1Co 16:5, 6). Per questo motivo sembra che alcuni, forse gli “apostoli sopraffini” che erano in quella congregazione (2Co 11:5), lo avessero accusato di non mantenere la parola. In sua difesa Paolo dice di non aver preso quella decisione con leggerezza. Il termine greco tradotto “leggerezza” trasmette il senso di instabilità; denota il comportamento di una persona superficiale e inaffidabile che cambia idea con facilità. Paolo però non era volubile e non faceva i suoi programmi in maniera carnale, cioè spinto da motivi egoistici o basandosi su ragionamenti umani imperfetti. Aveva posticipato la sua visita per un motivo valido. In 2Co 1:23 dice: “È per risparmiarvi che non sono ancora venuto a Corinto”. Voleva infatti dare a quei cristiani il tempo di applicare i consigli che aveva scritto loro, così che, quando sarebbe andato a Corinto, la sua visita sarebbe stata più incoraggiante.
“sì” e nello stesso tempo “no” Lett. “sì e no”. (Vedi approfondimento a 2Co 1:17.)
Silvano Questo fratello viene menzionato da Paolo anche in 1Ts 1:1 e 2Ts 1:1, e da Pietro in 1Pt 5:12. Nel libro degli Atti viene chiamato Sila. Stando al resoconto di Luca, Silvano era un profeta, un componente di spicco della congregazione cristiana di Gerusalemme del I secolo e uno dei fratelli che accompagnarono Paolo nel suo secondo viaggio missionario. Sembra avesse la cittadinanza romana, il che spiegherebbe la ragione per cui in questo versetto compare il suo nome romano (At 15:22, 27, 40; 16:19, 37; 17:14; 18:5).
sono state “sì” mediante lui Le promesse di Dio hanno trovato conferma in Gesù, in quanto è in lui che si sono adempiute e realizzate. È mediante lui, cioè mediante tutto ciò che insegnò e fece, che tutte le promesse contenute nelle Scritture Ebraiche si sono adempiute. La perfetta integrità che Gesù dimostrò quando era sulla terra fugò qualsiasi dubbio in merito alle promesse di Geova.
mediante lui diciamo l’“amen” a Dio La parola resa “amen” è la traslitterazione di un termine ebraico che significa “così sia” o “di sicuro”. In Ri 3:14 Gesù si definisce “l’Amen”. Questo perché quando era sulla terra adempì tutto ciò che era stato profetizzato su di lui. Inoltre, dal momento che è stato sempre fedele e ha sacrificato la sua vita, è diventato la garanzia, o l’“amen” appunto, che tutto ciò che Dio ha dichiarato si realizzerà. Questa certezza dà maggior valore all’“amen” detto alla fine delle preghiere rivolte a Dio attraverso Cristo. (Vedi approfondimento a 1Co 14:16.)
dire “amen” al tuo ringraziamento Il termine greco amèn è la traslitterazione dell’ebraico ʼamèn, che significa “così sia” o “di sicuro”. In diversi versetti si legge che coloro che ascoltavano preghiere pubbliche alla fine dicevano “amen” (1Cr 16:36; Ne 5:13; 8:6). Le parole di Paolo mostrano che a quanto pare anche i cristiani, quando si radunavano, avevano l’abitudine di dire tutti insieme “amen” alla fine di una preghiera. Paolo però non specifica se lo dicevano in modo udibile o silenzioso, nel loro cuore. (Vedi Glossario, “amen”, e approfondimento a Ro 1:25.)
il suo sigillo Nei tempi biblici il sigillo veniva usato come se fosse una firma per dimostrare possesso o autenticità, oppure per sottoscrivere un accordo. Nel caso dei cristiani unti, Dio ha simbolicamente posto su di loro il suo sigillo attraverso lo spirito santo per indicare che gli appartengono e che hanno la prospettiva di vivere in cielo (Ef 1:13, 14).
come garanzia di ciò che deve venire O “come caparra [“acconto”, “pegno”]”. Le tre occorrenze nelle Scritture Greche Cristiane del termine arrabòn hanno a che fare con l’unzione da parte di Dio con lo spirito, ovvero il suo spirito santo, o forza attiva (2Co 5:5; Ef 1:13, 14). Questa speciale funzione dello spirito santo è come una sorta di acconto di quello che accadrà. A motivo di questa garanzia i cristiani unti sono convinti della loro speranza. Il completo pagamento, ossia il saldo della ricompensa, comprende il fatto che si rivestiranno di un corpo celeste incorruttibile (2Co 5:1-5). Anche il dono dell’immortalità fa parte di questa ricompensa (1Co 15:48-54).
me stesso O “la mia anima”. (Vedi Glossario, “anima”.)
Non che siamo i padroni della vostra fede Paolo era convinto che i suoi fratelli, essendo cristiani fedeli, volevano fare ciò che è giusto. Se riuscivano a rimanere saldi non era grazie a Paolo o a qualche altro essere umano, ma grazie alla loro fede. Il verbo greco reso “siamo i padroni” (kyrièuo) può trasmettere l’idea di dominare altri o di tiranneggiare. Pietro usa un verbo affine quando esorta gli anziani a non ‘spadroneggiare su quelli che sono l’eredità di Dio’ (1Pt 5:2, 3). Paolo si rendeva conto che l’autorità che aveva quale apostolo non gli dava il diritto di esercitarla in maniera dispotica. Inoltre, aggiungendo siamo invece compagni d’opera per la vostra gioia, dimostra che non pensava che lui e i suoi collaboratori fossero superiori agli altri; riteneva piuttosto che fossero servitori che facevano tutto il possibile per aiutare i corinti ad adorare Geova con gioia.
Galleria multimediale

Durante i suoi viaggi missionari, l’apostolo Paolo andò a Corinto più volte. La prima volta vi rimase 18 mesi (At 18:1, 11; 20:2, 3). All’epoca la città era un fiorente centro commerciale. A questo aveva contribuito in gran parte la sua posizione strategica: sorgeva infatti sull’istmo che collega la penisola del Peloponneso con la Grecia continentale. Questo metteva Corinto nella condizione di controllare il flusso di merci che transitavano da due porti vicini, Lecheo e Cencrea. La città era un importante crocevia che attirava mercanti e viaggiatori da ogni angolo dell’impero romano, il che la rendeva un luogo perfetto per predicare. Questo video fa accenno alla sua storia e ad alcune scoperte archeologiche, come un’iscrizione che menziona Erasto; fa vedere inoltre come potevano apparire ai giorni di Paolo l’agorà (piazza della città), il bema (tribunale) e uno dei teatri.

Nell’immagine si vede una pagina del codice papiraceo chiamato P46, che si ritiene risalga al 200 circa. Questo codice, di cui sono giunti fino a noi 86 fogli, contiene nove delle lettere ispirate di Paolo in questo ordine: Romani, Ebrei, 1 Corinti, 2 Corinti, Efesini, Galati, Filippesi, Colossesi e 1 Tessalonicesi. Nell’immagine è evidenziato il titolo, dove alla lettera si legge “Verso [o “A”] Corinti 2”. Questa collezione papiracea dimostra che i copisti adottarono molto presto l’abitudine di identificare i libri biblici con un titolo. (Vedi Galleria multimediale, “Prima lettera di Paolo ai Corinti”.)


La matrice in bronzo che si vede nelle foto contiene un nome. In epoca romana le matrici per sigilli venivano usate per marchiare la cera o l’argilla. Gli scopi erano diversi. Per esempio, come si vede nell’immagine, i vasai marchiavano i vasi di terracotta per identificare il prodotto, la sua capienza oppure chi lo aveva realizzato. A volte, per chiudere un vaso, si usava la calce a mo’ di tappo; prima che la calce si indurisse, vi veniva impresso il sigillo del commerciante o della persona che spediva il prodotto. Alcuni di questi sigilli invece servivano a identificare il proprietario di un oggetto. Paolo si riferisce metaforicamente a un sigillo di quest’ultimo tipo quando dice che Dio “ha [...] impresso [...] il suo sigillo” sui cristiani, cioè li ha unti con lo spirito santo. Questo sigillo, o marchio, indicava che Dio era il loro Proprietario (2Co 1:21, 22).